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Home CULTURA INTERVISTE

Elio Carchidi

Loredana De Pace di Loredana De Pace
1 Maggio 2022
in INTERVISTE
L'ex arbitro Pierluigi Collina fotografato da Elio Carchidi

L'ex arbitro Pierluigi Collina fotografato da Elio Carchidi

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Nel 2003 Elio Carchidi fonda il suo laboratorio creativo. È lo STUDIO154, all’interno del quale il ritrattista romano rivolge il suo luminoso mediotele verso lo sguardo di star della tv, del calcio, ma anche di modelle, politici e musicisti.

Fra close-up, ritratti ambientati dalla luce morbida e bianconeri taglienti, i volti fotografati da Elio Carchidi nella sua pluriennale carriera sono il frutto di scelte precise, tecniche e concettuali. Libertà espressiva, valorizzazione del soggetto, lavoro di squadra sono gli elementi imprescindibili del suo fare fotografia. Alle nostre domande risponde con spigliatezza, sapendo il fatto suo. Ma lamenta la “fatica” di fotografare per mestiere: da spirito libero com’è, ce lo immaginiamo più a suo agio nei volti “qualsiasi” da trasformare in un ritratto dei suoi.

Eppure per mestiere Elio Carchidi di persone ne ha incontrate e fotografate tante. Con lui è stato perciò interessante parlare di persone, perché ne ha fotografate tante, ma anche e soprattutto di tecniche di ripresa. Della sua preferenza per i mediotele superluminosi che, però, spesso abbandona per zoom molto meno “aperti”, come pure del suo non avere un tipo di illuminazione prediletto, perché quel che conta è saper adattare le luci all’occasione.

Ecco il risultato della nostra chiacchierata.


Lo Studio 154 è il tuo laboratorio creativo, una struttura che segue clienti importanti e ha una storia intensa. Ce ne racconti la genesi?

Studio 154 nasce nel 2003 dalla mia spasmodica ricerca di autonomia, sia di tipo creativo che economico. Le esperienze lavorative vissute a contatto con i reparti marketing di grandi aziende mi hanno messo davanti alcune realtà costrittive come quella di dovermi limitare nell’esprimermi artisticamente dipendendo spesso da direttive commerciali imposte e non sempre condivise. Lavorare nella pubblicità e in alcuni settori della moda significa conciliare la creatività – nel mio caso nata dall’amore per l’artigianalità della fotografia – con esigenze di mercato che richiedono tempi e programmi incompatibili con il mio modo di essere. In origine, dunque, ho pensato che attingere a una fonte di reddito autonoma, che non dipendesse da pochi ed esclusivi committenti, potesse essere una soluzione, e in parte lo è stata. Aggiungi il fatto che anche io, lavorando fuori sede, ho avuto spesso la necessità di appoggiarmi a case di produzione e affittare studi e attrezzature, dunque le esperienze vissute in qualità di “cliente” mi hanno fatto giungere all’idea di creare una struttura che fornisse anche servizi ai fotografi.

Ho scelto il nome Studio154 perché fa riferimento sia al numero civico dello stabile in cui si trova lo studio, in via Sicilia, a Roma, sia al leggendario club Studio 54, luogo di ritrovo di artisti e musicisti, ambiente di fermento intellettuale frequentato anche da Andy Warhol nella New York anni ’70 e ’80.

Nutri una profonda passione per la fotografia prima ancora di viverla come lavoro: come coniughi questi due aspetti?

La passione nasce da bambino e, dando affidamento alle teorie freudiane, molto probabilmente scaturisce da un difetto visivo congenito che mi porto dietro dalla nascita: la miopia. Non sono del tutto convinto che sia questa l’unica ragione della mia scelta, d’altra parte mi trovo intorno fotografi eccellenti con la vista da falco. Mio padre aveva una vista acutissima eppure è stato proprio lui a farmi innamorare della fotografia. Viverla come lavoro è una vera fatica (sorride, n.d.r.). Se dovessi dare un suggerimento a un giovane fotografo che si avvicina a questo mestiere, gli direi di studiare prima il marketing e l’economia e poi, successivamente, applicarsi alla fotografia.

Usi il bianconero per consentire a chi guarda le tue fotografie di immaginare. E il colore?

Lo adopero per tentare di avvicinare lo sguardo alla realtà. Non è sempre così, ma spesso la fotografia a colori viene utilizzata per obiettivi comunicativi più concreti, per esempio nella pubblicità e nella moda. Le fotografie in bianconero evocano sensazioni diverse e di conseguenza sono poco idonee ai messaggi comunicativi di una società sfrenatamente consumistica. Questo però non vuol dire che disdegno fotografare a colori, l’ho fatto per lavoro e oggi lo faccio per svago e con lo smartphone.

Per la tua professione, invece, quali obiettivi utilizzi per la ritrattistica? Opti sempre per ottiche molto luminose o scendi a compromessi?

Premetto che sono tutto tranne che un feticista dell’attrezzatura. Ovviamente le ottiche molto luminose mi fanno controllare meglio l’inquadratura e la composizione dello scatto, ma il vantaggio maggiore che traggo da queste ultime è controllare, limitare e gestire la messa a fuoco parziale e la profondità di campo, soprattutto nel ritratto. Gli obiettivi che preferisco adoperare sono quelli di focale compresa tra i 70 e gli 85mm e con un’apertura relativa molto elevata, il più possibile vicina ad 1. Quando lavoro, generalmente mi servo della fotocamera reflex full frame Canon Eos 5D Mark IV con ottiche quali l’85mm, ma anche l’EF 24-105mm f/4 L IS II USM, con sistemi di illuminazione Profoto. In studio preferisco usare ottiche meno luminose e meno incisive come lo zoom Canon EF 70-200mm f/4 L USM perché mi permette di rimanere alla giusta distanza dal soggetto, evitando di mettergli pressione.

A volte realizzi dei close-up, in altri casi i soggetti sono contestualizzati e le immagini risultano molto dinamiche. Addirittura, a volte costruisci sequenze quasi cinematografiche. Quanta attenzione rivolgi all’allestimento dello sfondo e del contesto?

Di norma dedico la maggior parte delle energie alla scoperta e alla conoscenza del soggetto che ho davanti, mentre do meno importanza all’ambientazione e allo sfondo. Mi piace inventare l’immagine al momento, adattando il soggetto all’ambiente che lo circonda. Ho realizzato alcuni dei miei ritratti più celebri in uno sgabuzzino di 4 metri quadri e lo stesso ho fatto in uno studio di 200. Nel ritratto artistico quello che conta sono gli occhi e l’anima dell’individuo che ti sta davanti; il contorno certamente aiuta, ma non è tutto. Ma la tua sensazione è corretta: teatro e cinema rappresentano una mia grande passione, guardare un film o uno spettacolo teatrale mi aiuta a incamerare informazioni inconsce che poi inevitabilmente si riflettono nelle mie fotografie.

Siamo con te di fronte al soggetto che devi fotografare: come ti muovi davanti a lui e quali scelte tecniche adoperi?

Quando scatto mi auto-definisco uno showman. Perché? Perché mi diverto a chiacchierare, scherzare e giocare. Cerco di studiare il soggetto mettendolo a proprio agio. Se trovo davanti una persona più aperta e sciolta, tutto diventa un gioco. Le espressioni arrivano in maniera del tutto naturale e chi si trova davanti all’obiettivo, dopo poco tempo, diventa improvvisamente un amico, un confidente.

Riguardo alle scelte tecniche, se desidero ottenere un ritratto a tono alto, luminoso, brillante amo utilizzare la gabbia di luce formata da tre pannelli di polistirolo di cui due laterali al soggetto e uno posto sopra la testa a 45°, che riflettono la luce di un bank di dimensioni che variano da 70x100cm a 60x60cm. Se invece voglio ottenere ombre più marcate e maggiore dettaglio posso semplicemente escludere i pannelli oppure li uso dal lato scuro, invece che dal lato bianco. Questo permette di ottenere un’illuminazione che sfina i lineamenti del viso concentra l’attenzione sullo sguardo del soggetto.

Devo dire che questa scioltezza tecnica è arrivata con il tempo e con l’esperienza. Chiaramente quarant’anni fa avevo le idee meno chiare di quanto le possa avere oggi riguardo l’illuminazione e le attrezzature di cui ho bisogno. Oggi mi basta avere un abbozzo di set per poi mettere facilmente in pratica tutto ciò che occorre per ottenere l’ambientazione adeguata allo scatto. Ad esempio se la persona che ho davanti è un attore o un’attrice allora immaginerò di utilizzare luci sceniche, anche continue, come per esempio i proiettori Arri da 100W bandierati con uno speciale materiale, il Black Foil, facilmente modellabile che mi permette di direzionare la luce nel punto in cui desidero.

Come gestisci le tue diverse attività lavorative, da quella sul set alla formazione rivolta ai fotografi di ogni livello? E il mercato come risponde?

Ovviamente non faccio tutto da solo, mi avvalgo spesso di collaboratori esterni, cosa che preferisco perché penso che in un lavoro come il mio sia necessario farsi affiancare da persone appassionate, che hanno stili e interessi vivi. La formazione sta diventando per me una passione. Non ci avevo pensato prima ma, vista l’esperienza acquisita nel tempo, mi piace l’idea di trasmettere ad altri le mie competenze. Ahimè, non sono portato all’insegnamento di massa, non amo cioè insegnare nelle scuole, pubbliche o private che siano. Preferisco l’insegnamento limitato a un ristretto numero di persone, perché penso sia l’unico modo per raccogliere e far raccogliere buoni frutti.

Il mercato risponde a singhiozzo, alternando momenti di grande entusiasmo ad altri decisamente più spenti. Credo che internet darà una grossa mano a docenti e discenti, l’importante sarà trovare la giusta via per usarlo bene, sapendo evitare cialtronerie.

Progetti futuri?

Di solito pensare al futuro mi mette ansia ed è forse per questo che ho scelto di fermare l’attimo. Fare le fotografie che amo rappresenta il mio progetto passato, presente e dunque anche futuro. Riuscire a trasmettere la mia esperienza a chi l’apprezza… Non ha alcun prezzo.

Bio

Fotografo professionista e ritrattista nello specifico, classe 1958, Leonardo Carchidi nasce in Calabria ma vive e lavora a Roma da quarant’anni. Da suo padre eredita la passione per la fotografia. Infatti, incomincia a fotografare a quattordici anni per “guardare il mondo più da vicino” anche se affetto da una forma di miopia congenita. Dal 1976, dopo aver conseguito la maturità scientifica, si trasferisce a Roma, dove frequenta la Facoltà di Sociologia presso l’Università degli Studi La Sapienza. Agli inizi degli Anni ’80 inizia l’attività di fotografo professionista dopo aver conseguito il Diploma in Fotografia presso l’Istituto Europeo di Design di Roma. Nel 1984, nello stesso Istituto, prosegue gli studi conseguendo il Diploma in Grafica Pubblicitaria. A livello lavorativo la sua maggiore fortuna è stata quella di essersi formato in tempi non sospetti in ambito di postproduzione e fotoritocco, diventando un esperto utilizzatore di Adobe Photoshop. Forte di questo know-how, lavora per aziende specializzate nella produzione di prodotti cosmetici e di bellezza, nel campo della moda e dell’intimo di alta qualità come L’Oréal, Schwarzkopf, Kemon, Cotton Club, La Perla, Playtex, Menarini. Pubblica i suoi ritratti di personaggi noti su molte prestigiose riviste italiane e straniere. Nel 2003, a due passi da via Veneto, fonda Studio154, una struttura in cui offre supporto e assistenza a tutti i fotografi che hanno bisogno di sale posa, illuminazione e attrezzature a noleggio per fotografia e video. All’interno dello studio utilizza attrezzature Canon, Hasselblad, Phase One, Profoto, Broncolor, Manfrotto, Arri, Ianiro, Gitzo. eliocarchidi.com

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