In un’epoca in cui le strade delle città si sono svuotate, e le possibilità di socializzare sono state drasticamente ridotte, arriva Silent Stages, il libro di Ken Dreyfack che tratta le luci e le ombre degli spazi urbani come metafore dello spirito del tempo e specchi delle emozioni umane.
L’americano Ken Dreyfack afferma che tra i maestri della fotografia che lo ispirano vi sono certamente Henri Cartier-Bresson e Robert Doisneau, e che la sua estetica deve molto ai film di Orson Welles e Fritz Lang. A ciò si può anche aggiungere che su molti dei suoi scatti, soprattutto in quelli notturni, aleggia lo spirito di Edward Hopper. Però, più che le sue parole, sono quelle di David Ross, già direttore del Whitney Museum di New York e del San Francisco Museum of Modern Art, a dare una buona chiave di lettura per sfogliare Silent Stages.
In questo libro, Dreyfack ha raccolto le immagini realizzate a New York, Parigi e Kingston, sua attuale città di residenza non lontana dalla Grande Mela, dove è nato. Infatti, nell’introduzione al volume, Ross suggerisce che il bianco e nero non è una scelta formale limitata al solo piano della tecnica, ma trabocca in quello del contenuto e diventa quasi metaforico, come se i due opposti servissero a rappresentare allegoricamente la luce e il buio che si alternano in tutte le storie individuali e nella vita collettiva.
E proprio in virtù di questa interpretazione sono gli scorci urbani catturati di notte a farsi più carichi di significato, dato che è in essi che risalta maggiormente il contrasto tra le tenebre che cadono inesorabilmente sulle città e l’illuminazione artificiale cui l’uomo ricorre per tentare di orientarsi nel mondo notturno che lo circonda. Di conseguenza qualsiasi vicolo o interno di un bar diventa la scenografia che fa da sfondo ad attori che inconsapevolmente mettono in scena delle pièce teatrali mute (non a caso il titolo del libro significa ‘palcoscenici silenziosi’) nelle quali il vero dialogo si svolge tra la luce e l’oscurità.
Prima della pandemia
Le fotografie di Silent Stages risalgono al periodo tra 2014 e 2019, quindi a prima che l’intero pianeta venisse sconvolto dalla pandemia di Covid-19, ma nonostante questo si prestano perfettamente a rappresentare ciò che è accaduto nell’ultimo anno e mezzo. In quasi tutte compaiono strade deserte, come lo sono state durante il primo lockdown, e persone talmente sole da non poter non fare venire in mente il distanziamento sociale, che in alcuni momenti del passato recente è stato adottato fino al punto di generare una condizione esistenziale apparentemente senza via di uscita. Persino quando vi sono più individui raggruppati nello stesso posto, la sensazione è che ognuno viva per conto proprio, condividendo con gli altri solo un luogo di passaggio.
Quindi il buio è simbolico dei momenti più drammatici che deve attraversare l’umanità, dei periodi di crisi che la investono e la costringono a entrare a tentoni nel futuro. Allora la luce artificiale delle lampadine e delle insegne al neon diventa più preziosa di quella del sole, perché è il tentativo umano di illuminare, e dunque di capire, gli avvenimenti più oscuri e le fasi di transizione più disorientanti.
Come in un set
Che la chiave di lettura suggerita da David Ross sia appropriata lo conferma lo stesso Ken Dreyfack quando spiega che i suoi scatti ruotano attorno alle scenografie urbane anziché alle persone. Infatti afferma che, contrariamente a come operano di solito gli street photographer, non segue gli individui con l’obiettivo per catturarli nell’attimo decisivo di bressoniana memoria. Lui, confessa, si posiziona davanti ai luoghi che gli fanno venire in mente un set cinematografico e attende la comparsa di qualche attore che, con il proprio volto o il linguaggio del corpo, faccia idealmente da cassa di risonanza agli stati d’animo evocati dal contrasto tra la luce e il buio.
Così si spiegano anche le immagini in cui non c’è la presenza di esseri umani: al centro del lavoro del fotografo americano ci sono l’osservazione del paesaggio urbano e la successiva elaborazione in bianco e nero per renderlo uno spazio quasi metafisico in cui si rivelano le inquietudini dei singoli e dell’intera società contemporanea.
Corrispondenze
Se nel campo dell’arte questo ricorda certe incisioni di Francisco Goya, in quello della fotografia riporta alla Praga di Josef Sudek, ai sobborghi americani di Todd Hido, alla Tokyo di Daido Moriyama, alla Parigi di Brassaï, alla Londra di Bill Brandt. Vale a dire che gli scatti di Silent Stages si collocano in quel filone in cui chi sta dietro all’obiettivo non vaga per le strade di una città al solo scopo di catturarne gli scorci più suggestivi, ma piuttosto per individuarne i vicoli, i marciapiedi, i parchi o gli edifici che sembrano mostrare una corrispondenza agli stati d’animo di chi popola quei luoghi.
Stando così le cose, in un’epoca come quella attuale, da una parte segnata dall’incertezza e dall’impotenza di fronte a catastrofi di scala mondiale, dall’altra carica di consapevolezza e di proposte per una via di uscita, è naturale che l’occhio del fotografo veda in bianco e nero e cada proprio dove la luce e le ombre si sfiorano, dove il buio pesto può facilmente riempire gli spazi a meno che l’uomo non intervenga per illuminarli.
Titolo Silent Stages
Autore Ken Dreyfack
Illustrazioni 54
Pagine 128
Prezzo 45 euro
Editore Daylight Books