Durante la realizzazione del test del Nikkor Z 180-600mm f/5.6-6.3 di cui trovate il link fotografico in fondo all'articolo, abbiamo ricevuto una sorpresa in redazione: il progenitore del telezoom in prova!
Stiamo parlando dello Zoom-Nikkor 180-600mm f/8 ED. È proprio questa la denominazione, con il prefisso Zoom e l’assenza dell’acronimo AI che molti associano ai gloriosi obiettivi a fuoco manuale che per decenni hanno equipaggiato le reflex analogiche Nikon. AI sta per Automatic maximum aperture Indexing ed è un’innovazione introdotta nel 1977 con lo scopo di associare l’apertura effettiva dell’ottica al sistema esposimetrico della reflex (nel 1982 il meccanismo venne perfezionato per permettere l’automatismo di esposizione e venne chiamato AI-S). Il telezoom che Nital ci ha inviato insieme al neonato omologo per mirrorless è invece antecedente e infatti il suo diaframma non solo è di tipo stop down, ma non dialoga minimamente con la fotocamera.
Un telezoom allo specchio
A questa caratteristica, che paradossalmente oggi è un vezzo di alcune pregiate e modernissime ottiche destinate alle mirrorless, probabilmente dobbiamo lo strano orpello artigianale che vedete installato sul barilotto. Si tratta di uno specchio liberamente orientabile, collegato al barilotto da due fasce metalliche le cui estremità sono fissate a loro volta all’obiettivo grazie ai passanti dello spallaccio. Lo scopo dello specchio è quello di permettere il controllo del diaframma muovendo poco o nulla la testa, quindi restando con l’occhio al mirino. Dobbiamo infatti considerare che questo tipo di obiettivo è da “appostamento”, quindi si utilizza su treppiedi, spesso in un angusto capanno da avvistamento, magari pancia a terra, senza grandi capacità di movimento, sia del fotografo sia della fotocamera e dell’obiettivo collegato.
Una carriera lunghissima
Chiusa la parentesi su questo accessorio artigianale, veniamo al nonno del nuovo Nikkor Z 180-600mm. In realtà, sebbene 50 anni equivalgano a due generazioni, dovremmo chiamarlo papà, semplicemente perché il nuovo Nikkor Z è il primo discendente con la stessa escursione focale. In mezzo, il nostro database elenca solo un 200-500mm (2015) per reflex autofocus.
Lo Zoom-Nikkor del 1974 si dimostrò un obiettivo di qualità talmente alta che rimase a listino, nella versione aggiornata AI-S, per quasi tre decenni, quindi ben oltre l’avvento del sistema autofocus, nella seconda metà degli anni Ottanta. Ed essendo prodotto in pochi esemplari, non è mai stato economico: costava qualche stipendio negli anni 70 e ancora oggi, ammesso di trovarne qualcuno in buone condizioni, può costare cifre prossime ai 10.000 euro.
Plastica? Non pervenuta…
A renderlo così particolare, una costruzione monumentale: lo zoom è lungo quasi 40 centimetri, ha un diametro di poco superiore a 10cm, filtri da 95mm, e pesa quasi 3,5kg. La meccanica è raffinata, con un’unica grande ghiera, dalla scorrevolezza ben tarata e con pomello di blocco, che aziona sia lo zoom che la messa a fuoco. Non mancano una robustissima staffa per treppiedi, con click ogni 90°, e un paraluce metallico a vite, due caratteristiche che ritroviamo addirittura nel tappo. Notevole anche la minima distanza di messa a fuoco, pari a 2,5m a qualsiasi focale.
Lenti ED e terre rare per prestazioni ancora “attuali”
Dentro troviamo uno schema ottico composto da 18 lenti in 11 gruppi con due lenti ED a bassa dispersione, ottenute con l’uso di terre rare. A queste va attribuita l’elevata qualità ottica del telezoom Nikkor, che a distanza di 50 anni dal suo lancio non sfigura al cospetto dell’attuale Z 180-600mm f/5,6-6,3 VR.
Intendiamoci, il nuovo telezoom prevale su tutti i fronti e produce immagini ottime a qualsiasi focale e diaframma, ma un occhio poco allenato potrebbe non cogliere le differenze con l’antenato.
Il confronto diretto con il Nikkor Z 180-600mm f/5.6-6.3 VR
Una premessa è d’obbligo: forse a causa di un intervento di manutenzione non a regola d’arte (che peraltro riteniamo reversibile), il vecchio Nikkor non è in grado di mettere a fuoco all’infinito alle focali più corte, quindi abbiamo simbolicamente limitato il confronto a una focale intermedia, circa 320mm, analizzandone risoluzione, contrasto, aberrazioni cromatiche laterali e assiali, oltre al non quantificabile bokeh, un concetto che in questo caso estendiamo fino al più ampio confine della piacevolezza dell’immagine.
Ebbene, al centro, a parità di diaframma, il divario qualitativo è davvero minimo, mentre è più netto ai bordi, dove a fronte di un percettibile impastamento dei dettagli non scorgiamo evidenti aberrazioni cromatiche laterali.
Unico round a 320mm
CENTRO
320mm, centro - Zoom-Nikkor 180-600mm f/8 ED
320mm, centro - Nikkor Z 180-600mm f/5.6-6.3 VR
BORDO
320mm, bordo - Zoom-Nikkor 180-600mm f/8 ED
320mm, bordo - Nikkor Z 180-600mm f/5.6-6.3 VR
Sconfitta ovvia, ma con onore
Alle distanze più brevi emergono i traguardi raggiunti dalla moderna progettazione ottica: le aberrazioni cromatiche assiali, assenti nel nuovo Nikkor, appaiono anche se morbidamente nel fuori fuoco prodotto dal vecchio telezoom. E l’immagine è nel complesso più morbida e meno contrastata. Il bokeh non è gradevolissimo in entrambi i casi, ma ci comprenderete se siamo più propensi a perdonare una certa durezza dello sfocato allo zoom degli anni 70…
A seguire, le immagini intere a f/8 e a f/11 realizzate con il vecchio telezoom, mentre nel caso del nuovo Nikkor Z aggiungiamo quella a f/6; a chiudere, i relativi dettagli.
Il bokeh in dettaglio
Guardare indietro per capire noi stessi, oggi
Lo scopo di questo breve confronto non era certo quello di ottenere uno scoop: il tempo non è passato invano e il nuovo telezoom sembra di un altro pianeta. È di gran lunga più leggero, maneggevole, ergonomicamente ben studiato, stabilizzato e otticamente davvero appagante, con la sua versatile uniformità di resa. Tutto ciò, per converso, rende quasi “commovente” il lavoro fatto dagli ingegneri Nikon oltre 50 anni fa. Ma soprattutto ci consente di apprezzare con occhi diversi quello dei fotografi che hanno utilizzato questo “cannone” non con una Z8 come il sottoscritto, ma con una F2, nel migliore dei casi… Quindi niente automatismi di esposizione, fuoco ovviamente manuale e neanche facile da raggiungere considerando la luminosità ridotta del telezoom. Le migliori reflex dell’epoca, come la Nikon F2, consentivano di sostituire il vetro di messa a fuoco con delle varianti ottimizzate per ottiche lunghe e/o poco luminose, ma raggiungere la massima nitidezza restava comunque complesso. Figuriamoci con soggetti in movimento… E non dimentichiamo che non esistevano stabilizzatori di immagine se non rocciosi treppiedi, e che non c’era alcuna possibilità di rivedere al volo lo scatto per aggiustare il tiro. Difficoltà che non hanno impedito ai migliori fotografi naturalisti di impreziosire le riviste su cui molti di noi hanno avuto la fortuna di formare gusto e tecnica.
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