Un barcone in mezzo al mare, un naufragio, un gruppo di profughi in balia delle onde, un’operazione di soccorso. Una vicenda verosimile, raccontata con immagini generate dall’intelligenza artificiale, perché fotografarla dal vivo sarebbe stato impossibile per chiunque. Il lavoro è di Barbara Zanon, nota e apprezzata fotogiornalista e ritrattista da qualche anno dedita alla sperimentazione e al dibattito intorno all’intelligenza artificiale.
Il progetto, intitolato Al di là dello sguardo, le è stato commissionato dalla FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) in vista di un’esposizione nell’ambito della prima edizione del Festival della Fotografia Italiana, in corso a Bibbiena (AR) e in programma fino al 6 ottobre 2024.
Con la fotografa e con Roberto Rossi – ideatore e direttore Artistico del festival e Presidente FIAF dal 2014 al 2024 – abbiamo discusso del doppio volto dell’intelligenza artificiale in relazione alla fotografia, potenziale strumento di disinformazione da un lato e prezioso mezzo di espressione e comunicazione visiva dall’altro.
Quand’è che “fotografia” e “intelligenza artificiale” possono, o devono, convivere in una stessa frase?
BZ: Fotografia e intelligenza artificiale devono stare nella stessa frase nell’ambito della discussione sul loro rapporto da un punto di vista etico, specialmente nel fotogiornalismo.
Al di là di questo si tratta di due cose ben distinte, da mantenere separate, un po’ come se si parlasse di fotografia e illustrazione. La necessità di discutere il tema scaturisce dal fatto che le immagini generate con intelligenza artificiale, a differenza delle illustrazioni, sono confondibili con le fotografie vere e proprie in assenza di una dichiarazione esplicita circa la loro natura.
Va aggiunto che oggigiorno l’intelligenza artificiale è parte integrante dei software di ritocco fotografico, cosa che comporta vantaggi pratici ma, allo stesso tempo, può rappresentare un problema enorme.
L’agenzia per cui lavoro, ad esempio, ha richiesto a tutti i collaboratori di disabilitare le funzioni basate su intelligenza artificiale quando ricorrono a programmi che possono farne uso. C’è chi, magari in buona fede, utilizza con leggerezza degli strumenti di intelligenza artificiale generativa: basti pensare al riempimento automatico in seguito al ridimensionamento di un’immagine, che in ambito fotogiornalistico può essere un problema.
Il regolamento di alcuni concorsi, uno su tutti il World Press Photo, è molto rigido al riguardo.
Il World Press Photo ha avuto di per sé una sorta di crisi di identità iniziale, nel momento in cui l’organizzazione ha pensato di includere l’intelligenza artificiale nella categoria Open Format, suscitando una ribellione da parte di ex vincitori o altri fotografi di fama internazionale. A quel punto la competizione ha fatto un passo indietro e attualmente propone un regolamento molto restrittivo in merito alle correzioni che è possibile apportare alle immagini candidate.
Roberto, il lavoro di Barbara in mostra alla prima edizione del Festival della Fotografia Italiana è stato commissionato dal festival stesso, vero?
RR: Sì, è stata una produzione in collaborazione, finalizzata a mostrare cosa è in grado di fare l’intelligenza artificiale e generare un momento di riflessione. Tra i nostri obiettivi c’era capire come il grande pubblico percepisce un lavoro evidentemente generato con intelligenza artificiale. Le immagini esposte, infatti, ritraggono il naufragio di un gruppo di profughi come se la vicenda fosse vissuta in prima persona. In questo lavoro c’è una forte e palese componente di improbabilità fotografica, nel senso che per qualsiasi fotoreporter sarebbe stato impossibile scattare fotografie in quella situazione.
Volevamo incuriosire e instillare un dubbio nell’osservatore, dubbio presto sciolto da un testo di presentazione che abbiamo volutamente collocato in conclusione del percorso espositivo. Abbiamo scelto come location un chiostro del centro storico di Bibbiena, un luogo di facile accesso utilizzato anche per altre iniziative, proprio per coinvolgere un ampio pubblico. Devo dire, però, che quando mi è capitato di trovarmi nei paraggi della mostra ho notato, con dispiacere, molta disattenzione da parte dei non appassionati di fotografia.
I visitatori delle mostre leggono con attenzione eventuali didascalie o testi di presentazione?
RR: I visitatori che hanno un interesse nei confronti della fotografia e del festival sì. La mostra dei cento autori allestita al CIFA nello stesso festival, ad esempio, propone una cartella descrittiva per ogni autore e c’è gente che impiega ore a visitare l’esposizione con la dovuta attenzione. C’è dunque una netta separazione tra il pubblico della fotografia, predisposto al coinvolgimento, e il pubblico ‘normale’, che è un bacino di utenza di cruciale importanza per il tema dell’intelligenza artificiale. Quest’ultimo tipo di pubblico il più delle volte prende per buone le immagini, non si preoccupa di leggere, non si pone domande e non coglie l’invito alla riflessione.
Com’è nata l’idea di Al di là dello sguardo?
BZ: Qualche giorno fa leggevo un’intervista a una manager in cui si citava una statistica. Secondo l’intervistata il 90% delle immagini che vedremo ufficialmente in circolazione su internet a partire dal 2025 sarà generato artificialmente. È un numero sconvolgente, che ci deve far riflettere. La pubblicità, è sotto gli occhi di tutti, ha già incrementato notevolmente l’utilizzo degli strumenti di intelligenza artificiale e sta a noi ragionare sulla questione, porci delle domande, chiederci se immagini di questo tipo sono in grado di suscitare emozioni e se sì di quale natura.
Sono stati stimoli di questo tipo a indurmi a realizzare questo lavoro, creando immagini che oggettivamente nessun reporter avrebbe potuto scattare sul campo per via del contesto. Volevo innescare una riflessione su quanto sarebbe lecito – in ambito fotogiornalistico – vedere immagini di questo tipo su un giornale. Laddove non esistessero fotografie di un evento che sappiamo aver avuto luogo, sarebbe opportuno per una testata d’informazione utilizzare immagini generate con intelligenza artificiale per descrivere l’accaduto?
Ti sei basata su dei racconti o su delle testimonianze per istruire Midjourney?
BZ: No, in questo caso mi sono semplicemente ispirata ai racconti sul tema dell’immigrazione che circolano quotidianamente sui media, oltre che ai libri, ai video e alle stesse immagini che, seppur non così ravvicinate, si possono vedere online. Mi sono basata sul mio immaginario.
In alcune immagini del progetto l’utilizzo dell’intelligenza artificiale è più evidente. Hai utilizzato la stessa procedura per l’intero lavoro?
BZ: Sì, la procedura è stata la stessa per tutte le immagini, anche se in effetti in certi casi l’artificiosità è più evidente. Midjourney si rifà al suo dataset di allenamento, ossia a una specie di database di riferimento, che attinge dall’enorme bacino di immagini presenti in rete. Presumibilmente questo dataset di allenamento contiene più immagini delle operazioni di soccorso che non di persone che stanno effettivamente annegando, motivo per cui il risultato è più definito e realistico proprio nella rappresentazione delle fasi di soccorso.
Quello che si coglie in tutte le immagini, secondo me, è l’assenza di autentica sofferenza dei volti, a patto che ci si soffermi davanti a un ritratto per un tempo superiore a quello con cui il pubblico mediamente osserva una fotografia sui social media.
Non è il primo lavoro che realizzi utilizzando l’intelligenza artificiale, ricordo di un tuo reportage della guerra in Ucraina. Ce ne sono stati altri?
Sì, ho fatto un lavoro sulla bellezza degli anziani che è stato esposto lo scorso anno al Festival Informatici Senza Frontiere di Rovereto e poi altri lavori per mia pura curiosità e voglia di sperimentare.
Hai notato un’evoluzione delle capacità di Midjourney?
BZ: Assolutamente sì, rispetto all’inizio c’è un abisso. Ho generato le immagini di Al di là dello sguardo contemporaneamente al finto reportage della guerra in Ucraina. Il risultato mi era sembrato di forte impatto e da subito ho deciso che lo avrei pubblicato solo se avessi avuto la possibilità di esporlo. Quando ho ricevuto la proposta del Festival della Fotografia Italiana ho pensato immediatamente a questo lavoro, ma ho scelto di rifarlo perché a un anno di distanza Midjourney si era evoluto in modo stratosferico. Le immagini generate un anno fa con lo stesso prompt sembravano dei disegni rispetto a quelle esposte a Bibbiena.
Hai anticipato una mia domanda: ti avrei chiesto se non fosse opportuno, ai fini della presa di consapevolezza della pericolosità delle immagini artificiali, ripetere di tanto in tanto lo stesso lavoro anziché farne di nuovi.
BZ: In alcuni casi lo faccio, sì. Tengo in memoria i prompt, provo e riprovo. A volte chiedo a Midjourney di applicare lo stesso prompt a tutte le versioni disponibili. I risultati sono di volta in volta più impressionanti.
Se uno degli scopi di questi lavori è mettere in guardia le persone, non si rischia di arrivare al punto in cui tutti dubiteranno di qualsiasi immagine?
RR: È altamente probabile visti anche i numeri citati da Barbara poco fa. Io vengo dalla pubblicità e credo che in quell’ambito la fotografia sparirà presto. Sul fronte del fotogiornalismo è d’obbligo per tutti noi lottare a difesa di un approccio etico, per far sì che la fotografia mantenga la propria credibilità. Come operatori nel settore delle immagini dobbiamo necessariamente lavorare sulla sensibilizzazione.
Per quanto in guardia, presto uno spettatore non sarà in grado di distinguere l’autentico dall’artificiale in modo autonomo. Su quali altri fronti si può agire?
BZ: Bisogna formare le persone a livello culturale, partendo dai bambini, spesso più attenti all’etica di quanto non siano gli adulti. È importante fare educazione fotografica e visiva nelle scuole, cosa che andava fatta già prima dell’avvento dell’IA. Quando si guarda una fotografia bisogna domandarsi chi l’ha scattata ed è necessario che i giornali inseriscano nelle pubblicazioni il copyright del fotografo così come esplicitano il nome del redattore.
Occorre insegnare che spesso dietro a un fotografo c’è il conferimento di un incarico e che davanti all’obiettivo c’è sempre una vita con una storia da raccontare. Uno scatto, dunque, è frutto di una sinergia tra più elementi, ma se l’osservatore non ne se preoccupa siamo di fronte a un problema. Ci si deve porre delle domande e imparare a informarsi sui canali ufficiali piuttosto che attraverso i social media.
RR: mi piacerebbe far presente ai lettori che Barbara ha iniziato a lavorare anche sul fronte del video.
BZ: Sì, qualche giorno dopo l’inaugurazione della mostra è uscita una nuova intelligenza artificiale che genera video a partire dai testi. Ho usato la storia che ho narrato al festival per farne un video e, benché ricco di errori, è davvero impressionate. I risvolti dell’utilizzo di questo strumento possono essere catastrofici se si pensa alla disinformazione che ne può derivare. Basti pensare che qualche anno fa l’applicazione più scaricata dai ragazzini ‘spogliava’ i soggetti fotografati. Il rischio di arrecare danni ad altre persone su tutti i fronti, incluso quello psicologico, è altissimo.
RR: Nel caso di Al di là dello sguardo, però, siamo di fronte all’altra faccia della medaglia, perché il video rafforza la narrazione e aiuta a veicolare il messaggio. È un esempio di utilizzo onesto e costruttivo di intelligenza artificiale.
Quante attività organizza la FIAF sul tema dell’intelligenza artificiale?
RR: Stiamo proponendo diverse iniziative. Ad esempio, a livello di Federazione, per il 75° anniversario abbiamo tenuto un convegno sull’IA presso le Gallerie d’Italia, oltre a proporre svariati incontri nell’ambito di festival e altri eventi, incluso un talk tenuto da Barbara nelle giornate inaugurali del Festival della Fotografia Italiana. In una tappa di Portfolio Italia a San Felice sul Panaro è stato invitato Filippo Venturi, uno dei fotografi italiani attualmente più attivi nella sperimentazione degli strumenti di intelligenza artificiale.
Allo stesso tempo i singoli circoli fotografici discutono molto il tema, in particolare in merito alla questione dell’utilizzo dell’IA nei concorsi fotografici. Teniamo presente che in Italia i concorsi con patrocinio FIAF sono ottanta l’anno, la metà internazionali. Ogni concorso esamina migliaia di immagini e rilevare l’eventuale utilizzo di sistemi di IA è un’operazione complessa. Stiamo lavorando sulla possibilità di ammettere immagini modificate con strumenti di intelligenza artificiale in alcune sezioni, purché l’utilizzo di suddetti strumenti sia dichiarato.
BZ: Sebbene non sia semplice stare al passo coi tempi credo sia ormai doveroso per gli stessi giudici dei concorsi essere formati in modo da saper cogliere l’eventuale intervento dell’IA nelle foto esaminate, almeno nei casi più evidenti. Dico questo perché in alcune competizioni mi è capitato, da concorrente, di individuare lavori generati o alterati con IA tra le immagini vincitrici, premiate come fotografie in categorie diverse da quella espressamente dedicata all’intelligenza artificiale.
Non credo sia ammissibile che i giurati non siano in grado di cogliere l’eventuale artificiosità di un’immagine e ritengo che nella selezione finale, dovrebbe essere sempre obbligatorio richiedere al fotografo il file originale per eliminare il problema alla base.
C’è tanto da fare su tutti i fronti, ma il punto cruciale resta la necessità di combattere il dilagare di un approccio poco etico da parte dei fotografi e la crescente superficialità da parte del pubblico, principale carburante della disinformazione.
Bio e contatti
Barbara Zanon (1979, Venezia) racconta storie a livello nazionale e globale dal 2004. I suoi lavori sono apparsi in pubblicazioni come The New York Times, LIFE, The Guardian, Le Monde, Spiegel, El Pais, Vogue, Cosmopolitan e Forbes.
Ha ricevuto numerosi premi internazionali ed esposto i suoi lavori a New York, Parigi, Londra, Barcellona, Budapest e Venezia. Collabora con Getty Images, una delle agenzie fotografiche più conosciute, ed è iscritta all’Ordine dei Giornalisti e a Women Photograph, un’organizzazione che si impegna a tutelare lo sguardo delle fotografe donne di tutto il mondo.
Da qualche anno esplora l’intersezione tra fotografia e intelligenza artificiale, crea immagini generate dall’AI e a tiene conferenze e workshop per parlare di etica, AI e fotogiornalismo.
Barbara Zanon si occupa anche di ritrattistica e fotografia di matrimoni; è insegnante e attraverso i suoi workshop (che svolge anche nel contesto universitario) aiuta fotografi emergenti e appassionati a sviluppare le loro competenze e il loro stile.
Roberto Rossi è nato a Bibbiena (AR) nel 1961. A dodici anni, grazie al suo professore di applicazioni tecniche e alle sue “lezioni” di camera oscura, ha incontrato la fotografia, da allora parte fondamentale della sua vita.
Nel 1983 è stato assistente di un noto fotografo fiorentino e nel 1985 ha aperto il suo studio fotografico, sede di venticinque anni di carriera nella fotografia pubblicitaria e di moda. Come autore si è dedicato prevalentemente alla fotografia di ritratto e figura, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti e realizzando diverse mostre personali, nonché alcune pubblicazioni.
Nel 1976 ha fondato con alcuni amici il Club Fotografico AVIS Bibbiena, assumendone la carica di Presidente che ricopre tutt’oggi. In ambito FIAF è stato Consigliere Nazionale dal 1993 al 2002 e dal 2005 al 2014, Vicepresidente Nazionale dal 2008 al 2014 e Presidente dal 2014 a maggio 2024, anno in cui è stato nominato Direttore del Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena.
In campo editoriale è stato direttore responsabile della rivista della FIAF (prima “Il Fotoamatore”, oggi “Fotoit”) dal 1993 al 2014, nonché il curatore di tutte le pubblicazioni della FIAF degli ultimi 25 anni.
È ideatore e direttore Artistico della prima edizione del Festival della Fotografia Italiana.
Barbara Zanon. Al di là dello sguardo
- Chiostro Chiesa S. Lorenzo, Bernardo Dovizi, 9 – Bibbiena (AR)
- dal 14 giugno al 6 ottobre 2024
- gio-dom 10-13/16-19
- ingresso gratuito
- festivalfotografiaitaliana.it
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