Il teleobiettivo, divoratore di distanze e taglierina sull’essenziale, vanta una storia complessa e affascinante, ben lungi dall’essere integralmente scritta. Ripercorriamone i momenti topici fra nomi leggendari, pietre miliari tecnologiche e croccanti curiosità.
Quella dei teleobiettivi è una tipologia di ottiche ben nota che si caratterizza per una lunghezza focale sensibilmente superiore alla diagonale del formato del fotogramma, condizione che in ripresa genera un ridotto angolo di campo. I teleobiettivi sono relativamente semplici da progettare ma paradossalmente, agli albori della fotografia, non furono affatto diffusi: all’epoca si usavano fotocamere a lastre di grande formato che, come tali, richiedevano già di per sé focali normali lunghe, sicché pretendere di più sarebbe equivalso a dover costruire fotocamere di dimensioni oggettivamente eccessive.
Stringe, ma aberra
Il fatto che un tele inquadri un angolo ristretto facilita la correzione dei difetti ottici. Nello specifico, la principale aberrazione da controllare è quella cromatica. Le lenti trasmettono ogni singola componente spettrale della luce con un angolo di rifrazione differente, portandola perciò a fuoco su piani diversi. Questo fenomeno, noto come dispersione, si acuisce proprio con l’incremento della lunghezza focale, al quale corrisponde un progressivo peggioramento qualitativo dell’immagine. Per ovviare all’inconveniente, inizialmente si combinavano assieme due lenti in vetro Crown e Flint con caratteristiche rifrattive/dispersive antagoniste: si tratta del “leggendario” doppietto acromatico, che limitava il problema. A esso si aggiungeva un modulo posteriore divergente per ridurre le dimensioni del complesso ottico.
Questo è un articolo premium.
Sei nuovo su fotocult.it?
Registrati e leggi gratis per 30 giorni! Non è richiesta carta di credito.
Se hai già usufruito del periodo di prova gratuito, abbonati o acquista dei FOTO Credit.
Fai Login se sei registrato, se hai un abbonamento o dei FOTO Credit.