“A Times Square, nel mezzo del caos e del traffico, l’anziana signora con la camicia celeste stava per attraversare la strada con ammaliante serenità, a testa alta, le mani giunte dietro la schiena. Ho intercettato il suo fresco sorriso, l’ho fotografata, e non ho potuto fare a meno di chiederle cosa stesse facendo nel bel mezzo di quella giungla e dove stesse andando con la sua splendida camicetta. Mi rispose che stava semplicemente facendo due passi sotto casa nell’attesa che la torta di mele che aveva messo in forno finisse di cuocersi”. La fotografia si intitola Apple-Pie Woman, il fotografo e fotoreporter italiano che ce ne ha raccontato la storia si chiama Stefano Fristachi e il portfolio che comprende il ritratto è Americans. The New Yorkers.
Si tratta di un compendio di volti e anime con cui l’autore ha interagito, anche solo per i pochi istanti di uno scatto fotografico, camminando tra i grattacieli, per le strade e attraverso i parchi della Grande Mela.
Alla maniera di Robert Frank
Fristachi abbraccia con entusiasmo il significativo filone fotografico della ricerca antropologica a base di Street Photography, campo d’azione di tantissimi esploratori di umanità che hanno fatto – e continuano a fare – la storia della fotografia sulle rivoluzionarie orme di Robert Frank.
Proprio come questi cacciatori di immagini guidati dal desiderio di rappresentazione genuina e istintiva della realtà, Fristachi si muove tra gli ambienti urbani, in attesa che qualche elemento catturi la sua attenzione senza pretendere che vi sia una motivazione razionale a scatenare il suo interesse. Individuato il soggetto che lo incuriosisce, il fotografo ne avvia lo “studio” attraverso la fotografia, assecondando semplicemente gli stimoli ricevuti. In questa pratica, e ancora di più nel titolo del progetto scelto da Fristachi, riecheggia l’opera maestra di Frank, quel The Americans che ritrasse con naturalezza gli abitanti di quarantotto Stati americani tra il 1955 e il 1956, in modo schietto e diretto, sovvertendo gli schemi della fotografia convenzionale.
Fotografia ‘umanocentrica’
Sempre attento e ricettivo, Fristachi racconta delle sue esperienze newyorkesi: “Non importa dove ti siedi a New York, senti le vibrazioni dei grandi momenti, delle persone speciali, degli eventi e delle grandi imprese. New York unisce il dono della privacy all’eccitazione della partecipazione; riesce a isolare l’individuo da tutti gli eventi, violenti e meravigliosi, che si svolgono ogni minuto. New York può distruggere un individuo o può realizzarlo, dipende dalla fortuna. La città è come una poesia, comprime tutta la vita in una piccola isola alla quale si uniscono la musica e l’accompagnamento costante dei motori accesi”.
Il fotografo definisce la sua opera ‘umanocentrica’, perché il soggetto principale e il fine ultimo della sua ricerca è l’essere umano, con le sue esigenze, aspirazioni, emozioni, sfumature e contraddizioni.
“Devo essere curioso, appassionato e professionale” aggiunge, ricordando la necessità di trovare un equilibrio tra il rispetto del soggetto fotografato e la valorizzazione del proprio stile personale. “Devo saper usare le tecniche, le luci, i colori, le inquadrature per creare un’immagine che sia al tempo stesso fedele alla realtà e capace di trasmettere un messaggio, un’emozione, una sensazione”.
Il corredo del fotografo è composto da una fotocamera Fujifilm e da tre ottiche fisse Fujinon, un 35mm, un 50mm e un 85mm, che Fristachi reputa di ottima qualità perché molto luminosi e capaci, nel loro insieme, di offrire la versatilità di inquadratura di cui ha bisogno.
Street Photography: questione di contatto
“La Street photography è un genere che amo e nel quale mi identifico”, ha spiegato il fotografo, “perché mi permette di documentare la realtà e l’umanità in modo autentico e sincero. Non cerco di manipolare o alterare la scena, ma di coglierla così com’è, nel suo spontaneo svolgersi. Il contatto visivo con il soggetto è per me un momento cruciale di incontro e di scambio; un momento in cui si stabilisce una connessione tra la mia visione e quella della persona che sto fotografando, mentre si crea una tensione che si fonde con la curiosità. Non c’è preparazione, non c’è intenzione, c’è solo istinto, desiderio di guardarsi e confrontarsi”.
Fristachi racconta due fotografie di Americans. The New Yorkers
“Ricordo benissimo la coppia di giovani innamorati a Central Park. Erano seduti sull’erba, verde come i loro sguardi. Mi colpì la loro dolcezza e spensieratezza. Scattai senza disturbare il loro momento, poi mi avvicinai per mostrare loro la foto e ne furono entusiasti. Erano fidanzati da poco e mi ringraziarono per averli immortalati in un momento speciale. Da allora siamo rimasti in contatto e si è creato nel tempo un rapporto di amicizia epistolare: una di quelle amicizie che nascono per caso, che devo alla fotografia.
La foto del mormone con il figlio, invece, è stata realizzata a Williamsburg, il quartiere ebraico di Brooklyn. Accadde molto rapidamente, ero intento a fare altro, mi voltai, li vidi e scattai al volo cogliendoli di sorpresa. Il bambino, con tono molto severo, mi chiese perché stessi facendo loro una foto e risposi che non c’era una ragione precisa, ma che semplicemente qualcosa in loro richiamava la mia attenzione. Solo in un secondo momento, notando il dettaglio del civico 323 sulla porta che si vede nella foto, ho avuto l’istinto di cercarne il significato secondo la Cabala Ebraica. Assecondando la mia curiosità ho scoperto che il 323 è considerato un numero angelico; quando si incontra questo numero, non si tratta di una semplice coincidenza, ma di un forte messaggio dal regno divino che ci indica che siamo sul giusto cammino. Mi piace pensare che sia così! Questa è New York, ed io volevo guardarla negli occhi, guardarci dentro”.
Bio e contatti
Stefano Fristachi nasce a Pisa nel 1981. L’interesse per le tematiche sociali apre la sua visione alla fotografia, al reportage antropologico e alla Street Photography, che gli consentono di approfondire questioni di geopolitica e attualità. La sua prima fotocamera è una Kodak usa&getta dimenticata da un cliente su un tavolino del caffè del centro storico di Amsterdam in cui lavora poco prima di compiere vent’anni. Partito poi per l’India, scatta più di venti rullini, scopre il potere del racconto fotografico e al rientro in Italia decide di studiare fotografia a Firenze. Dopo tre anni, si diploma alla L.A.B.A. (Libera Accademia Di Belle Arti) e inizia a lavorare nel campo della moda e del giornalismo. A Barcellona ottiene una specializzazione in fotogiornalismo all’I.E.F.C. (Institut d’Estudis Fotogràfics de Catalunya). Attualmente collabora come freelance con riviste internazionali e quotidiani, e lavora con agenzie di produzione di eventi.
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