Trieste
Dal 18 maggio al 25 agosto 2024
Laura Leonelli scrive di fotografia da molto tempo, ma è anche un’attenta collezionista di fotografie anonime. Da questa sua profonda passione è nato il progetto Io non scendo, prima diventato libro (Postcart, 2023) e ora esposto a Trieste al Magazzino delle idee, fino al 25 agosto. Il lavoro di Leonelli segue le tracce di una specifica iconografia, quella delle donne arrampicate sugli alberi, cercando di capirne le simbologie e le cause più profonde, soprattutto attraverso il patrimonio letterario.
I racconti di dodici donne, la cui vita risuona come emblema di emancipazione e libertà, dialogano con un atlante di fotografie tutto al femminile, animato da donne sconosciute, la cui memoria visiva ha incrociato, casualmente, la strada di Laura tra i banchi dei mercatini delle pulci. Abbiamo intervistato Laura Leonelli per capire le origini e la simbologia di Io non scendo.
Il progetto Io non scendo ha origine dalla tua passione e ricerca sulle fotografie anonime, di cui sei anche collezionista. Come nasce questo tuo interesse?
Gli album di famiglia, le fotografie di famiglia, mi sono sempre piaciute moltissimo, a cominciare da quelle della mia famiglia. Mia madre teneva le nostre foto e quelle della sua famiglia di provenienza ben catalogate negli album, mentre l’immaginario visivo della famiglia di mio padre è sparso più confusamente in delle scatole da scarpe, ma è da questo corpus di immagini che sono stata sempre più attratta, perché più vario, più antico. Una fotografia in particolare mi ha sempre conturbato più di tutte: è stata scattata nel 1943-1944 circa, durante il periodo della guerra, e ritrae mia nonna con i suoi due figli, mio padre dietro e suo fratello davanti a lei. Entrambi i bambini sono rasati a zero, mio padre appoggia le sue mani, che mi appaiono lunghissime, sulle spalle di mia nonna, generando una specie di piramide genealogica in cui è la madre a tenere insieme i suoi frutti.
Quando l’ho vista per la prima volta non avevo ancora gli strumenti per capire perché quell’immagine era per me così interessante e probabilmente la mia ricerca sulle fotografie anonime è partita anche dal voler indagare meglio ciò la foto della famiglia di mio padre aveva smosso in me tempo prima. Poi, proseguendo nello studio, ho approfondito l’uso che si è fatto delle fotografie anonime nella storia dell’arte e mi sono avvicinata sempre più a un’idea di ‘fotografia imperfetta’. In seguito ho iniziato anche a collezionare quel tipo di fotografie, andando per mercatini e comprando su internet. Per me queste immagini, dalle dimensioni ridotte, sono diventate uno spazio di libertà narrativa.
Perché hai iniziato a raccogliere espressamente le immagini che colgono le donne sugli alberi?
Mentre ero al Paris Photo ho potuto sfogliare un piccolo libriccino intitolato Women in trees di Jochen Raiß, curatore e collezionista di fotografie anonime, che mi ha completamente rapita. Come preambolo del libro Raiß si chiedeva chi fosse il fotografo delle immagini che ritraevano le donne sugli alberi. Tornata a casa, ho scoperto di averne io stessa qualcuna nella mia collezione, e così ho iniziato la mia ricerca, chiedendomi, a differenza di Raiß, perché le donne si facessero fotografare sugli alberi, se c’era un messaggio simbolico dietro a questa iconografia, arrivando così ad una sua lettura storica che mi ha portato ad indagare le figure delle ninfe, l’uso che ne faceva il Bernini, le madonne sugli alberi.
Qual è quindi il messaggio simbolico a cui sei giunta?
Il gesto di salire sugli alberi da parte delle donne rappresenta l’innalzamento femminile verso l’emancipazione, verso l’autonomia. Ho voluto darne questa lettura attingendo all’immaginario letterario, primo fra tutti il romanzo di Louisa May Alcott, Piccole Donne (1868), soffermandomi, nello specifico, sul personaggio di Jo, una delle sorelle March, il maschiaccio di casa, l’anarchica, passionaria, la prima ad intuire la potenza dell’albero su cui si arrampica, sempre in compagnia di un libro da leggere.
Nell’Ottocento la donna intraprende un nuovo percorso verso individualità e laicità e l’albero inizia ad essere un compagno di strada ‘verticale’, il sostegno della propria ‘individuazione’, uno stacco da terra che consente di essere ancorata alle proprie radici, ma al contempo di diventare autonoma. Il gesto del salire non è altro che la zona mediana tra l’oscurità e la profondità delle radici e l’altezza e la santità del cielo. Jo March, quando sale sugli alberi con i suoi libri, simboli di illuminismo e cultura, rappresenta tutto questo processo. Per questo motivo volevo consapevolmente fosse il fulcro anche del mio libro.
Nel progetto Io non scendo fai dialogare alcune foto anonime con storie letterarie, di autrici, ma anche di altre donne, che si sono distinte per la propria determinazione…
Si, sono partita dall’origine, da Eva, per poi soffermarmi su storie di autrici che con il loro pensiero e la loro scrittura hanno influenzato un certo immaginario femminile come ad esempio Simone de Beauvoir, Louisa May Alcott, per l’appunto, o Astrid Lindgren con la sua Pippi Calzelunghe, ma anche sull’esempio di altre donne che hanno fatto della loro vita un modello di lotta per l’emancipazione femminile come Voltairine de Cleyre, Cristina di Saint-Truiden o le scalatrici triestine Bianca Di Beaco, Tiziana Weiss, Riccarda de Eccher.
Le immagini trovate dialogano con le dodici storie che ho scelto attraverso un processo di evocazione e analogia visiva. Per il racconto su Louisa May Alcott, ad esempio, ho scelto un’immagine che mostra due ragazze mentre salgono sull’albero e una delle due ha un libro in mano, come faceva Jo di Piccole Donne.
L’unico caso in cui usi il ritratto vero e proprio di una delle donne di cui racconti è quello di Tiziana Weiss, scalatrice e alpinista triestina. Perché?
Perché con il suo racconto e con la sua immagine mi è sembrato di chiudere un cerchio. Quando racconto di Tiziana Weiss racconto anche di Bianca Di Beaco e Riccarda de Eccher, tutte e tre amanti della montagna, amanti dell’atto di scalarla, abitanti a Trieste. Bianca era della generazione precedente a quella di Tiziana e Riccarda, ma con la stessa tensione a raggiungere le cime più alte, anche oltre l’albero.
La storia di Tiziana Weiss esemplifica la verità più profonda del libro e del progetto: il salire sugli alberi ha una parte decisamente ludica e divertente, ma comprende anche un processo di determinazione individuale molto rischioso. Lei morì, infatti, scalando una parete montuosa. Il giorno dopo il funerale di Tiziana, Riccarda decise di andare a scalare per vincere la paura della morte. Scegliendo di inserire il ritratto di Tiziana volevo donare a Io non scendo maggiore concretezza, riportandolo a terra, oltre l’immaginario letterario proprio del progetto.
Come hai lavorato per l’editing delle immagini?
Per fare l’editing del progetto sono partita da un corpus di immagini di quasi quattrocento fotografie per poi arrivare quasi a cento. A parte la connessione tra le singole immagini con le specifiche storie, in generale, con il movimento del corpo delle donne ritratte ho cercato di dare un certo ritmo all’intera narrazione: ci sono donne da sole, in gruppo, in alcuni casi in presenza anche di uomini, sono giovani, adulte, vestite in modi diversificati, ognuna con la propria individualità, provenienti da paesi differenti.
Effettivamente, a volte, tra le foto del progetto, compare anche la presenza maschile. Cosa simboleggia?
In generale, si trovano tantissime fotografie di uomini che salgono sugli alberi e a differenza delle donne si fanno inquadrare solitamente mentre compiono atti ginnici per arrivare in cima. Poi ci sono anche i ritratti di famiglia sugli alberi, la cui disposizione viene decisa in base al grado di importanza e il capo famiglia maschio è colto, ovviamente, in cima alla piramide. Ma per il mio progetto non mi interessava raccontare questo tipo di narrazione sul maschile che si arrampica sugli alberi. Così ho inserito l’uomo che tiene sulle spalle una bambina, probabilmente sua figlia, che, a sua volta, abbraccia il tronco sottile di un alberello. Per tutti i casi in cui compare la presenza maschile in Io non scendo ho voluto conferire all’uomo la valenza di àncora, di presenza che sostiene il percorso di emancipazione della donna.
È un progetto che porta a galla anche un valore politico?
Sicuramente. Mi sono chiesta: dove inizia l’emancipazione per una donna? Mentre per i miti maschili, come Ulisse ad esempio, l’emancipazione è l’avventura ad ampio raggio, il recidere i rapporti con la propria casa; invece, lo stesso processo per una donna, come dimostrano le immagini, avviene tramite la figura dell’albero a dieci metri dalla propria famiglia e dalla propria casa. Questo vuol dire che la dimensione domestica, che delimita i confini dell’azione femminile, in realtà, contiene anche la possibilità di eversione, seguendo la verticalità dell’albero.
Perché questo titolo?
La cultura femminile è legata inestricabilmente con la ‘cultura del no’, con tutte quelle espressioni che iniziano con ‘io non…’: ‘io non sono capace’, ‘io non sono preparata’, ‘io non posso’, ‘io non sono abbastanza’. Con il titolo ho voluto trasformare questo valore svilente in un’azione positiva. La negazione a cui spesso sono state soggette le donne diventa una proclamazione che determina la loro forza ed emancipazione: Io non scendo.
Io non scendo. Storie di donne che salgono sugli alberi e guardano lontano
- A cura di Laura Leonelli
- Magazzino delle idee, corso Camillo Benso Conte di Cavour, 2 – Trieste
- dal 18 maggio al 25 agosto 2024
- mar-dom 10-19. Lunedì chiuso
- intero 8 euro
- www.magazzinodelleidee.it
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