Moda e pubblicità sono gli ambiti professionali nei quali si muove l’intemperante e provocatorio fotografo spagnolo Eugenio Recuenco, che illumina come un pittore, pensa come un romantico, scatta da uomo libero.
Le due pulsioni che si contendono l’essere umano sono onnivore, specie nella mente del fotografo spagnolo Eugenio Recuenco. Eros e Thanatos, infatti, sorvegliano le porte del suo pensiero e lasciano entrare tutto, compresi sogni, mostri, eccitazioni e turbamenti che trasformano donne e uomini in personaggi immaginifici.
Nonostante alcune strane, ma forse necessarie incongruenze del racconto di questo ormai popolare fotografo iberico, il mondo magico, emotivo e gotico di Eugenio Recuenco resta coerente, libero da far invidia, fosco e luminoso al contempo. Fa nascere i suoi scatti, anche quelli commerciali, in una dimensione parallela di fiabe e incubi che prendono forma nel suo pensiero e poi diventano fotografie.
Il sonno della ragione genera mostri recita il titolo di un’acquaforte del 1797, opera di Francisco Goya, uno degli artisti che ha formato la mente di Recuenco: in un certo senso, guardando molte delle sue fotografie, pare proprio che il fotografo abbia preso alla lettera questa affermazione.
I toni nei suoi scatti sono spesso cupi, la luce è caravaggesca perché, come il pittore irrequieto usava dipingere, anche Recuenco – che proviene da studi artistici – fa arrivare la luce di taglio sulla scena, e solo dove serve.
È un modo a tratti fumettistico, decisamente cinematografico quello con cui Recuenco adopera la luce e i suoi soggetti; inoltre, per raccontare quel che vuole, passa da un media, la fotografia, a un altro che è il video, usando gli stessi parametri del surreale, del grottesco, del mostruoso, dell’inverosimile.
Le creature di Recuenco sono, cioè esistono in quanto pensate (e fotografate), hanno una personalità tanto forte da far paura, ma sanno anche ammiccare maliziosamente. “Vivono” insomma, per farsi guardare.
Dopo il diploma in Pittura sei passato alla fotografia che però componi come fosse un dipinto. Come fai conciliare queste due dimensioni?
Penso che le mie fotografie siano il riflesso di tutto ciò che ho vissuto, sarebbe strano il contrario. Alcune si percepiscono come pittoriche perché hanno in comune due cose con la pittura: la storia che raccontano e la luce. Narrare per me è un fattore prioritario; inoltre, quando scatto, esco dagli standard di illuminazione fotografica e utilizzo la luce come facevano i pittori classici che non illuminavano la scena per riprodurla con diversi punti luce, ma la componevano lavorando sulla posizione del personaggio in un contesto illuminato da un’unica fonte di luce.
Come sei arrivato a questo tuo stile?
Facendo quello che sentivo di dover fare e non lasciandomi trascinare dalle mode. A volte è molto difficile, però è una scelta sempre gratificante.
Pensi che il tuo stile abbia origine anche dalla cultura iberica che hai nel sangue?
L’essere amante dell’Arte e avere tanto vicino l’eredità pittorica che abbiamo non può non influenzarti, modellarti. Sono cresciuto con Velázquez, Goya, ma anche con Tiziano, Caravaggio… Il patrimonio culturale di base in pratica è quello dell’Europa meridionale che tocca il Mediterraneo e quindi arriva alla Spagna.
Le tue immagini sono sogni, incubi o entrambe le cose?
Molte volte fanno appello all’assurdo della realtà. Sono quasi come possibilità in una realtà parallela, ideale. O per lo meno costruita da me per questo.
Quindi la realtà “costruita” rimpiazza quella nella quale viviamo.
La realtà sta lì e puoi lavorare con essa o partire da essa per costruire altro. Quello che passa davanti ai miei occhi ogni giorno mi fa sognare, mi tiene allenato nell’esercizio costante di immaginare tutto in un’altra maniera. Utilizzo gli occhi come finestra, però è il mio cervello che realmente gode di quel che ha di fronte. La creatività penso sia solo un esercizio nel non limitarsi. L’essere umano ha una tendenza naturale verso la Bellezza, però molte volte la società limita questa libertà: nessuno osa esprimersi in modo maldestro, eppure facciamo migliaia di cose cattive ogni giorno. Creare è spogliarsi. Solo devi essere disposto a farlo.
Chi sono i tuoi clienti e cosa ti chiedono di fotografare?
Sono molto diversi fra loro. È passato il periodo nel quale aspiravo a lavorare con i grandi marchi. La mia meta ora è godere per quello che faccio e questo spesso mi consente di avere anche clienti piccoli. Mi piace capire i bisogni di chi mi commissiona il lavoro e preferisco che mi sia chiesto di essere coinvolto il più possibile, in ogni progetto. Non mi considero un fotografo che possa scattare qualsiasi fotografia il cliente voglia. Forse a livello tecnico sì, ma emotivamente è impossibile per me. Ho bisogno di sentire la fotografia che produco come una necessità. Ecco perché la prima cosa per me è capire di che progetto si tratti, da ovunque esso provenga. Poi devo capire fin dove il cliente lascerà che io mi faccia coinvolgere oppure se mi vuole solo come un mero esecutore della storia, della quale però non mi sentirò partecipe. Se tutti gli elementi saranno al loro posto, allora si troveranno sempre soluzioni o nuove idee da adattare ai mezzi necessari per ciascun progetto.
Quanto ti permettono i tuoi clienti di avere, come si dice, “carta bianca”?
Quanta più carta bianca mi danno, nei limiti di ciò che serve trasmettere, tanto migliore sarà il risultato.
Come nascono i tuoi progetti personali?
Molte volte da delusioni causate da lavori su commissione andati male, idee che pensavo fossero buone ma che non sapevo come trasmettere al cliente e, per questa ragione, sono state respinte. Quando non riesci a lavorare col cliente come vorresti, hai sempre una sensazione di delusione. Uno dei modi per sbarazzarsi di questa sensazione è portare a termine i progetti in modo personale.
Quando eseguo un lavoro tutto mio è importante anche il modo in cui sarà visto. Nei miei lavori vedo la fotografia nel suo complesso quindi anche con determinate specifiche relative a stampa e dimensioni che aiutano a trasmettere ciò che desidero. Pure il modo di esporre le fotografie è molto importante. Non considero le serie come un accumulo di scatti, ma ogni foto ha determinati parametri che danno vita a un’unità.
La campagna migliore.
Un lavoro recente fatto su commissione per le cliniche di chirurgia estetica Dorsia.
È stata una delle migliori esperienze che abbia mail avuto. La ragione, molto semplice. Il cliente si è affidato alla mia equipe per realizzare una campagna pubblicitaria di fotografia e video. Abbiamo fatto due riunioni e trovato un punto d’accordo fra le sue intenzioni e le nostre idee in merito al senso che dovevamo trasmettere con questa campagna. In seguito, il cliente è passato solo a salutare senza interferire nelle fasi del lavoro, dimostrando un rispetto e una fiducia difficili da incontrare.
Il risultato: il migliore possibile perché quelle foto le ho davvero scattate per me, che posso essere il più esigente dei clienti.
Per concludere, Eugenio, ti va di giocare un po’? Completa queste frasi con la tua risposta.
Eugenio ha paura di… adattarsi.
Eugenio non può prescindere… dalla bellezza.
Eugenio ama… stare in compagnia.
Eugenio odia… l’assurdo.
Eugenio non farà mai… danno, consapevolmente.
Eugenio sempre farà… male molte cose.
Titolo Revue
Fotografie Eugenio Recuenco
Formato 27x36cm
Fotografie 198 a colori e 31 bianconero
Pagine 300
Prezzo 49 euro
Editore teNeues.Photo
Bio
Eugenio Recuenco è nato a Madrid nel 1968, un anno certamente rivoluzionario come lo sarà la sua vita. S’interessa presto all’arte, tanto che nessuno si sorprenderà del suo percorso didattico: si diploma infatti in Pittura alla facoltà di Belle Arti della capitale spagnola. Comincia a fotografare subito dopo perché, dichiara: “Quando non ho trovato un pubblico interessato alle tele di quattro metri, mi sono concentrato sulla fotografia”. Collabora con riviste di moda in Spagna e Francia, come Vogue, Madame Figaro, VanityFair, Kult, GQ. La moda e la pubblicità gli permettono di esprimersi al meglio. Si trasferisce a Parigi e, dopo i primi incarichi, inizia una fruttuosa collaborazione con marchi prestigiosi quali Loewe, Nina Ricci, Diesel, ShangaiTawn, Yves Saint Laurent, Playstation. Nel 2007 realizza il Calendario Lavazza e replica con un suo scatto anche nel 2012 (il QR code qui a fianco è il link al video della creazione di questa sua immagine nella quale Recuenco mette in scena la storia di un malinconico don Chisciotte).
Cominciano le prime importanti esperienze nel mondo del cinema e della televisione: realizza infatti spot per marche quali Loewe, Chivas Regal, Regione Campania, Vanderbilt, Motorola e altre. Nel 2013 si avvia pienamente la sua attività espositiva: fra le personali in Europa, anche quelle presentate al Grand Palais di Parigi e al festival Fotografiska di Stoccolma.
Non tardano ad arrivare anche i riconoscimenti internazionali: vince, fra i premi, il Cannes Lions nel 2006 e nel 2013, e il premio Oro per la Mejor Fotografía Original del Festival Internacional El Ojo de Iberoamérica (2013).
Revue (2013) è il primo libro di Recuenco, pubblicato da teNeues, che raccoglie gli ultimi dieci anni della sua carriera.