Antonio Cunico, con Pista! Dove finisce la neve, ha prodotto un progetto fotografico che, con uno sguardo malinconico al passato, ci racconta dell’oggi, della pratica sciistica sempre più costosa e invasiva per la società e la natura, di un immaginario in via di estinzione, per come lo si conosceva qualche decennio fa, di un paesaggio montano innevato sempre più raro, di un turismo becero che invade ogni dove.
Nel suo lavoro Antonio congiunge questo oggi, rappresentato da una fotografia documentativa a colori, con un racconto nostalgico di un paesaggio che si è perso nel tempo, fatto riaffiorare da sovrapposizioni di cartoline, vecchie fotografie e altro materiale d’epoca. Lo sguardo del fotografo è contemporaneamente legato al concetto di memoria e a una profonda critica alle contingenze odierne.
Abbiamo chiesto ad Antonio di raccontarci il suo progetto, realizzato nella provincia di Vicenza, dove vive.
Pista! Dove finisce la neve vuole essere una riflessione?
Sì, è una riflessione che ritengo necessaria sul cambiamento climatico e sulle conseguenze che questo ha rispetto agli impianti sciistici posti a basse quote. È anche una constatazione dell’insostenibilità economica di piccoli impianti sparsi nel territorio e non collegati fra di loro.
I dati delle temperature medie annuali di Asiago, infatti, ci dicono che negli ultimi quarant’anni le stesse sono aumentate di circa tre gradi e che il ‘trend’ è in costante salita.
Nei prossimi anni, quindi, è prevedibile che la quota neve si sposti ulteriormente verso l’alto. Inoltre, le precipitazioni invernali sono diminuite, facendo aumentare la necessità di ricorrere agli impianti di innevamento artificiale, che richiedono molta acqua e molta energia per la produzione, nonché la realizzazione di bacini artificiali.
Gran parte delle zone montane della provincia di Vicenza, infatti, è di natura carsica ed è priva di corsi d’acqua di una certa consistenza. A questo si aggiungono le spese di acquisto dei cannoni sparaneve e degli impianti idraulici ed elettrici per alimentarli. Per coprire i costi, quindi, sono necessari numeri importanti di fruitori degli impianti, numeri realizzabili solo da comprensori sciistici di una certa entità.
Pista! Dove finisce la neve vuole essere una riflessione visiva su tutto questo panorama legato alla montagna e al mondo dello sci.
Però tra le immagini del tuo lavoro si avverte anche la tua partecipazione sentimentale, un tuo attaccamento ad un immaginario ormai perso. Qual è la tua storia personale sulle piste da sci?
Nel progetto c’è un coinvolgimento personale in quanto io ho imparato a sciare proprio sulle piste di queste stazioni sciistiche. Era un modo di sciare diverso, le piste non erano preparate, le attrezzature erano molto spartane, i rudimenti si imparavano generalmente dai genitori. Nel mio caso infatti è stato proprio mio padre ad insegnarmi le prime nozioni sciistiche: salita a piedi a scaletta, sci a spazzaneve e un bel grido di avviso alla partenza: “Pista!”. Da qui il titolo del progetto.
Quando ho iniziato a lavorare, con i primi soldi guadagnati, ho comprato un paio di buoni sci, ma le prime vere lezioni le ho prese solo a venticinque anni. Ho avuto la fortuna di seguire tutta l’evoluzione tecnica degli sci e ho anche partecipato a delle competizioni amatoriali. Direi che posso ritenermi uno sciatore esperto, in grado di sciare su qualsiasi tipo di pista e devo dire che è uno sport che mi piace molto e che pratico tuttora, anche se oramai è diventato molto costoso, certamente non alla portata di tutte le tasche. Inoltre, in certi periodi dell’anno l’affollamento delle stazioni sciistiche e delle piste è decisamente un problema.
Rispetto all’inserimento di cartoline e vecchie fotografie sulle immagini di documentazione dello stato attuale delle piste da sci, come hai lavorato?
Per prima cosa ho definito l’ambito geografico di indagine, che nel caso specifico è stata la provincia nella quale abito, cioè Vicenza. Il secondo passo è stato la redazione di un elenco degli impianti da sci che sono stati costruiti nella mia provincia, funzionanti o meno, e una successiva mappatura degli stessi. Dopo aver stilato questo elenco sono andato, soprattutto tramite eBay, alla ricerca di cartoline, materiale pubblicitario degli anni Sessanta e altri documenti di questi posti.
Per realizzare le fotografie dello stato attuale degli impianti ho fatto riferimento ad alcune delle immagini storiche che ho reperito, qualche volta anche in modo che le due immagini potessero sovrapporsi. Ho cercato di realizzare le foto attuali tutte nel periodo invernale, in modo da mostrare esattamente la situazione effettiva dell’innevamento.
Chi è l’autore delle vecchie fotografie invece?
Le vecchie fotografie presenti fanno parte dell’album della mia famiglia. Le ha scattate mio padre negli anni Sessanta e raccontano la storia del rapporto della mia famiglia con il mondo dello sci.
Mio padre aveva comperato una macchina fotografica negli anni Cinquanta, una Sonne, riproduzione italiana della Leica, con un buon obiettivo Schneider 50mm. La macchina non aveva un esposimetro e quindi l’esposizione era sempre approssimativa, anche se mio padre, tutto sommato, se la cavava bene. Con questa fotocamera documentava le vicende della nostra famiglia, le nostre gite, la vita di tutti i giorni. Quella Sonne è stata anche la prima fotocamera che ho utilizzato.
Anche in altri tuoi precedenti lavori rifletti spesso su come la fotografia parli di memoria e di testimonianza. Che valore ha la fotografia per te?
La fotografia per me rappresenta un insieme di valori. È senz’altro un modo di esprimermi e di raccontare delle cose che mi coinvolgono. È documentazione, ricerca, sperimentazione e anche gioco. Non sono legato ad un tipo definito di fotografia, penso che la fotografia abbia tante modalità espressive, e che non esista una ed una sola fotografia. Cerco di utilizzare tutte le tecniche che conosco e che ho a disposizione. Ho fatto lavori con fotocamere digitali full frame, fotocamere compatte, fotocamere a pellicola, fotocamere autocostruite a foro stenopeico, lavori a colori ed in bianco e nero, ogni tecnica ha una particolarità che può essere utilizzata per uno scopo specifico e arricchente per il racconto che si intende realizzare.
Non ritengo necessario avere una fotocamera costosa e di ultimo modello per fare buone fotografie.
Molto spesso i lavori che realizzo sono inerenti a memoria e testimonianza perché quello che racconto è legato alla mia vita, alla mia esperienza personale. Avere avuto un padre fotografo, inoltre, ha reso ancora più speciale il mio rapporto con la fotografia, perché nelle foto che lui ha scattato, e che ancora adesso ogni tanto prendo in mano, sono impressi ricordi precisi e profondi che in qualche maniera trasporto anche nei miei lavori.
Secondo te, dovendo fare una riflessione più estesa sull’immaginario sciistico ai giorni nostri e su come venga comunicata e promossa l’attività sciistica nel turismo contemporaneo, sono visibili delle evoluzioni rispetto a qualche decennio fa?
Certo, oggi lo sci è diventato uno sport molto diffuso, oltre che molto costoso, e muove interessi economici importanti. I materiali hanno avuto un’evoluzione straordinaria, le piste sono battute perfettamente ogni giorno, esistono caroselli sciistici composti da decine di impianti e con centinaia di chilometri di piste. Questo fa sì che spesso lo sci moderno vada a braccetto con il fenomeno dell’‘overtourism’, trasformando la montagna da soggetto a sfondo di queste attività.
A tale proposito, ho realizzato anche un altro progetto fotografico che parla di queste problematiche, dal titolo Mountain Park.
Va detto anche che negli ultimi anni il mondo dei social ha portato ad un turismo emulativo, una realtà in cui l’importante è dimostrare di trovarsi in alcuni posti ben precisi e famosi, col risultato che il turismo rischia di diventare più un problema che una risorsa per la montagna e per chi la abita.
Quanta importanza ha la rappresentazione del passare del tempo nelle immagini del tuo progetto?
Spesso si ragiona al presente, come se questo dovesse ripetersi all’infinito, senza accorgersi che nel frattempo le cose e la vita sono cambiate. Ancora adesso si investono moltissimi soldi in impianti sciistici che non hanno futuro, posti a quote basse o isolati, senza tenere conto dell’impatto che queste opere hanno sulla natura e sulla società delle zone montuose.
Pista! Dove finisce la neve, invece, vuole mostrare esattamente cosa è successo, come la temperatura non sia più la stessa, come posti molto frequentati siano ritornati nella tranquillità più assoluta, quanto siano ancora invasivi gli impianti anche dopo essere stati dismessi. Il mio progetto riflette anche sul tempo che passa, sul cambiamento come costante delle nostre vite. Questo cambiamento l’ho rappresentato col passaggio dal bianco e nero delle cartoline e delle vecchie foto al colore delle attuali immagini digitali, mentre le grinze sulle vecchie foto, simili a rughe che solcano i visi, raccontano del tempo che scorre inesorabile.
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