Parigi
Dal 14 febbraio al 23 aprile 2023
Negli scatti del fotografo americano Paul Strand si riconoscono tracce di Dorothea Lange, August Sander, Edward Weston, Tina Modotti e tanti altri autori della prima metà del Novecento. Non perché egli ne fosse un imitatore, ma piuttosto perché incarnò alla perfezione lo spirito di un’epoca in cui reportage sociale e ricerca artistica vivevano in simbiosi.
Un Paese: l’esercizio letterario -fotografico di Strand e Zavattini
Paul Strand è un fotografo caro all’Italia perché nel 1955 pubblicò un libro con cui rese omaggio a un piccolo borgo della penisola. È il tanto celebrato Un Paese, opera creata in collaborazione con il poliedrico Cesare Zavattini. Il luogo in cui l’americano scattò le foto, accompagnate nel volume dai testi dell’italiano, è un piccolo paese in provincia di Reggio Emilia a pochi chilometri dal corso del Po. Si chiama Luzzara e diede i natali allo stesso Zavattini, che volle raccontarlo in parole e immagini non tanto per un’operazione puramente nostalgica delle proprie radici, ma piuttosto perché con il suo anonimato e con la sua lontananza dai grandi centri urbani si prestava a fungere da paradigma delle migliaia di piccoli comuni sparsi in Italia che ancora oggi trovano pochi autori pronti a raccontarne la storia.
Il bello del libro sta proprio nel fatto che non racconta niente di speciale: negli anni Cinquanta né Luzzara né i suoi abitanti avevano qualcosa per cui fosse irrinunciabile registrarne la storia. Semmai, l’azione aveva senso come esercizio letterario-fotografico, cioè come dimostrazione che per costruire una narrazione non serve un evento eclatante che faccia da innesco al racconto. È sufficiente avvicinare l’obiettivo ai soggetti, quasi li si guardasse al microscopio, e usare le parole per descriverne le dinamiche interiori.
Similitudini con Let Us Now Praise Famous Men
Se c’è un’altra pubblicazione a cui può essere paragonato Un Paese, questa è Let Us Now Praise Famous Men, di cui esiste anche un’edizione annotata di grande interesse per gli studiosi del reportage sociale. Anche quel libro fu realizzato da un uomo di lettere e da un fotografo, per la precisione da James Agee e da Walker Evans. Fu pubblicato per la prima volta nel 1941 e anch’esso raccontava le esistenze di persone invisibili, quelle dei coltivatori dell’Alabama che vivevano al di fuori delle pagine dei libri di storia. Se da una parte il progetto di Agee ed Evans certamente aveva un taglio più politico, è impossibile pensare che Strand non lo avesse in mente quando collaborò con Zavattini. Infatti per tutta la sua carriera l’americano fu un attento osservatore delle questioni sociali, soprattutto quelle legate alle classi lavoratrici.
La ricerca di Paul Strand sulle tematiche sociali
Nato nel 1890, nel 1936 fu cofondatore della cooperativa Photo League, un collettivo che si occupava di tematiche sociali e che per questo nel 1947 fu accusato di antiamericanismo – era l’epoca del maccartismo – e nel 1951 fu di fatto costretto a sciogliersi. Già due anni prima, proprio per sottrarsi alla caccia alle streghe di cui cadeva vittima chiunque avesse anche il più tenue legame con i circoli di sinistra, Strand aveva lasciato gli Stati Uniti per trasferirsi in Francia, dove sarebbe morto nel 1976. In tal modo riuscì a continuare liberamente a perseguire la sua ricerca infusa dalla convinzione che la fotografia potesse avere anche una funzione sociale, da una parte mostrando a tutti le condizioni di vita delle classi meno agiate e dall’altra stimolando queste a conquistare una maggiore autocoscienza. Ed è esattamente la dimensione politica dell’opera di Strand uno dei motivi centrali della mostra inaugurata a febbraio presso la Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi.
The Balance of Forces mostra le due anime di Strand
La mostra, che si compone di oltre un centinaio di stampe provenienti dalla Fundación MAPFRE di Madrid e dal Centre Pompidou di Parigi, offre uno sguardo d’insieme sulla produzione di Strand e aiuta a capire come in lui convivessero due anime (non a caso si intitola The Balance of Forces). Una fu il già citato coinvolgimento in prima persona nelle istanze politiche e sociali che provenivano dal basso, non solo negli Stati Uniti d’America ma in tutti i paesi che visitò. L’altra colonna che sorresse il suo lavoro fu la continua ricerca di un formalismo fotografico, ereditata dai suoi maestri Alfred Stieglitz e Lewis Hine. Come loro, pensava che la fotografia fosse una forma d’arte che doveva affermarsi con la stessa dignità della pittura. Per questo la composizione delle sue immagini era sempre ben curata e Strand non si abbandonò mai alla convinzione che il soggetto bastasse da sé a giustificare uno scatto indipendentemente da quanto questo fosse riuscito. Infatti era solito frequentare le gallerie di arte moderna ed ebbe anche un discreto successo come regista di documentari e cinéma vérité.
Tra i suoi film vale sicuramente la pena ricordare Manhatta del 1921, realizzato assieme a Charles Sheeler, pittore e fotografo ricordato per le sue vedute di impianti industriali. Si tratta di un cortometraggio di meno di dieci minuti di durata che, come è successo ad altri film d’avanguardia di inizio Novecento, ha avuto recentemente un nuovo commento sonoro (nel suo caso, un brano composto dalla Cinematic Orchestra). Anch’esso è incluso nella mostra parigina, che purtroppo non è accompagnata da un catalogo. Ma magari l’occasione di dedicare a Strand una nuova pubblicazione si presenterà l’anno prossimo, in occasione del settantacinquesimo anniversario del suo esilio volontario.
Paul Strand.The Balance of Forces
- Fondation Henri Cartier-Bresson, 79 Rue des Archives – Parigi
- dal 14 febbraio al 23 aprile 2023
- martedì-domenica, 11-19
- intero 10 euro, ridotto 6 euro
- henricartierbresson.org