Scivolando tra una persona e l’altra, infilandosi nelle feste private e tra le folle nelle piazze, Larry Fink ha documentato i più diversi stili di vita ed estrazioni sociali senza cedere mai alla tentazione di emettere sentenze di assoluta condanna.
Questo mese il fotografo americano Larry Fink celebra il suo ottantesimo compleanno. Originario di New York, negli Anni ‘60 è stato allievo di Lisette Model alla New School of Social Research, fondata nel 1919 con lo scopo di offrire una formazione superiore di stampo progressista e famosa per avere accolto nel corpo docente intellettuali perseguitati e professori sgraditi in altri istituti. Perciò non c’è da stupirsi che, al centro della fotografia di Fink, ci siano sempre gli esseri umani e la società contemporanea. I suoi reportage hanno un taglio sociologico, che nel corso della sua carriera ha trovato svariati punti di focalizzazione, dalle celebrità ritratte alle feste hollywoodiane per le pagine della rivista Vanity Fair ai giovani artisti e musicisti di The Beats, libro pubblicato nel 2014 ma che raccoglie immagini risalenti al 1958, quando Fink si unì al movimento Beatnik allora in piena fioritura.
Stili di vita
Nel 2001 con le immagini di The Forbidden Pictures si è concesso un’incursione nel mondo del co-lore per cimentarsi con la satira politica, ma a causa dell’attacco terroristico dell’11 settembre i suoi tableaux sull’amministrazione Bush sono stati proposti al pubblico solo nel 2004. Tuttavia, la sua indagine di stampo sociologico più compiuta resta il libro Social Graces, stampato nel 1984. Simile in ispirazione a The English At Home (1936) di Bill Brandt, è un lavoro composto da due filoni di immagini che scorrono paralleli: da una parte, la vita sfarzosa dei ricchi abitanti di Manhattan; dall’altra, l’esistenza modesta della classe operaia nella provincia della Pennsylvania. Nel corso degli Anni ‘70 l’obiettivo di Fink ha fatto la spola tra i ricevimenti nei circoli privati di New York e le feste di compleanno nelle case di famiglie tutt’altro che abbienti, accostando coppe di champagne a lattine di birra per ottenere una sonata a due voci che, senza giudizi moralistici e partecipazione radical chic (come in quegli anni l’avrebbe definita Tom Wolfe), non aveva altro scopo se non quello di catturare due modi di vivere diametralmente opposti. Dunque, ciò che tutt’oggi emerge da Social Graces è uno spaccato della società americana che, pur non spingendosi fino agli estremi dello spettro dei suoi innumerevoli stili di vita, ne illustra perfettamente la natura profondamente discrasica.
Un solo grande capitolo
In Italia, in tempi recenti, le opere di Larry Fink sono state esposte nella sede di Camera, a Torino, e nello spazio Armani/Silos di Milano, mentre attualmente è in corso una retrospettiva alla Galerie Bene Taschen di Colonia (Germania). Naturalmente ogni mostra può presentare una diversa selezione di scatti estrapolati da qualsiasi progetto e contesto storico, ma nel caso dell’autore americano si ha l’impressione che tutta la sua carriera sia un unico lungo reportage composto di diversi capitoli sorretti dalla curiosità di capire le dinamiche interne alle varie tipologie di abitanti degli Stati Uniti. Gruppi di persone aggregatesi di volta in volta in base all’appartenenza alla medesima classe sociale oppure in base alla condivisione di valori o passioni, come nel caso del libro Boxing (1997) che, citando l’uso della luce fatto da Rembrandt e Caravaggio, documenta la natura quasi ritualistica degli incontri di pugilato. Per realizzarlo, Fink ha assistito ai combattimenti e agli allenamenti come un antropologo che entra in contatto con una tribù che vive seguendo regole proprie e si identifica attraverso cerimonie che oscillano tra la rappresentazione sacra e l’intrattenimento vero e proprio.
Due volti dell’America
Prendendo spunto da questo lavoro si potrebbe obiettare che i passaggi netti tra le varie subculture segnano delle soluzioni di continuità nella produzione di Fink, tanto diversi sono i ragazzi di The Beats e le celebrità di The Vanities (2011), il volume che raccoglie gli scatti commissionati da Vanity Fair. Non potrebbe essere altrimenti, dato che è la società stessa a essere suddivisa in placche tettoniche che pur avendo punti di contatto procedono cionondimeno in direzioni opposte. Perché se vi sono esili linee di contiguità anche fra gli insiemi di persone che, volontariamente o per le contingenze più varie, occupano spazi separati, è pur sempre vero che tale distanza persiste e la fotografia non può fare a meno di registrarla. L’obiettivo passa da un gruppo di soggetti a un altro non tanto per trovare un’omogeneità generale all’interno di una città o di un intero stato, quanto per portare alla luce le faglie che ne frammentano la popolazione. È possibile farlo con l’intento di denunciare le ingiustizie sociali oppure in modo più leggero, cioè con il semplice scopo di mostrare senza commentare. È questo che Fink ha fatto in oltre sessant’anni di carriera: ha ritratto le persone, spesso mettendole idealmente faccia a faccia, ma senza pro-vare a contrapporle realmente o dare giudizi di valore sui loro stili di vita (eccezion fatta per il divertissement di The Forbidden Pictures). Non ha mai stigmatizzato il lusso, né alluso a una presunta superiorità morale di chi conduce un’esistenza di ristrettezze o ha scelto di percorrere una via alternativa. Insomma ha fotografato senza pregiudizi, ha indicato senza puntare il dito.
Le fotografie contenute in questo articolo fanno parte della mostra Larry Fink – Retrospective
- Galerie Bene Taschen, Colonia (Germania)
- fino al 3 aprile 2021
- benetaschen.com