“È finta”, “È costruita”, “Non è degna dal punto di vista fotografico”, “Potrebbe averla scattata chiunque”, “È vista e rivista”, “Non rispetta il dolore delle persone che soffrono”, “Vince sempre la morte”. Lo scorso 18 aprile Mohammed Salem (dell’agenzia Reuters) è stato nominato vincitore assoluto della 67ª edizione del World Press Photo, con la fotografia di una donna palestinese che abbraccia il corpo senza vita di una bambina di cinque anni, nell’obitorio dell’ospedale Nasser di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza.
Da subito si è attivata l’impietosa macchina dei commenti online: un prevedibile e preoccupante déjà vu per chi, come noi, frequenta abitualmente il mondo della fotografia e assiste sempre più spesso al dilagare di sentenze affrettate basate su una fruizione pericolosamente superficiale delle immagini.
A Palestinian Woman Embraces the Body of Her Niece: l’importanza del titolo e delle didascalie
Partiamo dal titolo: no, non è “La Pietà di Gaza”, ideazione di qualche brillante titolista presto diventata virale e purtroppo fuorviante per molti lettori frettolosi. La fotografia di Salem, infatti, si intitola A Palestinian Woman Embraces the Body of Her Niece informazione spesso omessa non solo nel titolo, ma anche all’interno dei numerosi articoli dedicati alla fotografia vincitrice che circolano online.
È davvero importante esplicitare il titolo originale della foto? In questo caso sì, perché la scelta del titolo da parte di un fotogiornalista ha un ruolo fondamentale ed è necessario – per garantire una corretta informazione – che tale scelta venga rispettata e diffusa con la massima trasparenza. Se così fosse stato, si sarebbe arginato il fenomeno del doppio malinteso: quello del fotografo così pieno di sé da paragonare il proprio scatto a La Pietà di Michelangelo e quello della rappresentazione del lutto materno. Perché, probabilmente sono in pochi a saperlo, la donna nella foto è una zia piuttosto che una madre.
È davvero così importante sapere che non si tratta di una madre? Sì, è importante entrare nella storia particolare che il fotografo ha scelto per descrivere un dolore universale, solo così potremo confrontarci con quella che la giuria del concorso ha definito “la nostra desensibilizzazione alle conseguenze dei conflitti umani”.
Salem racconta la storia di Inas Abu Maamar e Inas Abu Maamar non ha perso un figlio, ma due nipoti, una sorella e due zii in un colpo solo. È questo il suo dramma e la fotografia – per quanto potente – non potrà mai raccontarcelo. L’immagine fotografica sa essere immediata e universale, ma sul fronte della capillarità delle informazioni resterà sempre limitata e vincolata alla descrizione verbale.
Ecco perché i titoli, le didascalie e le descrizioni del WPP, e del fotogiornalismo in generale, assumono un ruolo tutt’altro che trascurabile e meritano tempo e attenzione da parte dell’osservatore, al pari delle immagini.
La composizione dello scatto di Mohammed Salem
Sul piano compositivo non convince, per molti opinionisti del web, il punto di ripresa perfettibile. È davvero così importante la composizione? No, perché – Attenzione! – parliamo del più prestigioso concorso di fotogiornalismo e fotografia documentaria ed è basilare tenerne a mente la missione: premiare i lavori fotografici che meglio raccontano a un pubblico globale le storie più rilevanti dell’anno precedente quello in cui avviene la premiazione, attraverso una narrazione affidabile.
Cosa c’è di più affidabile di uno scatto che riesce a veicolare un messaggio pur non rispecchiando a pieno i canoni dell’armonia compositiva? Scongiuriamo l’inesorabile avanzata dell’intelligenza artificiale e siamo preoccupati per il suo impatto sulla genuinità del fotogiornalismo. E allora, davvero pretendiamo che un reporter sul campo indugi sullo scatto, solo per accertarsi di confezionare un’immagine che soddisfi al millimetro le nostre aspettative compositive?
E prima di replicare che, a questo punto, chiunque di noi avrebbe potuto scattare la stessa foto con il proprio smartphone chiediamoci quanti di noi sarebbero stati disposti a recarsi all’ospedale Nasser di Khan Yunis lo scorso 17 ottobre, per scattare la stessa foto con il proprio smartphone. E ancora, chiediamoci in che contesto ha lavorato Salem, con quanto tempo e quanto spazio di manovra e soprattutto con quale soglia di rispetto nei confronti delle protagoniste della sua fotografia e in quale condizione emotiva.
Quanto è credibile A Palestinian Woman Embraces the Body of Her Niece?
Di fronte alle congetture di chi ritiene che la foto di Salem sia “costruita”, infine, non possiamo che prendere atto del fatto che il regolamento della competizione impone ai fotografi un comportamento eticamente corretto sia nei confronti dei soggetti ripresi, sia del pubblico al quale sono rivolte le immagini.
Si legge nel sito ufficiale del concorso: “Il World Press Photo Contest premia le fotografie che sono documenti visivi e che forniscono una rappresentazione accurata e corretta della scena di cui il fotografo è stato testimone. Vogliamo che il pubblico possa fidarsi dell’accuratezza e della correttezza delle fotografie premiate, le quali non devono trarre in inganno il pubblico”.
A tal proposito la World Press Photo Foundation ha istituito un team di ricerca incaricato di verificare i fatti e accertarsi che siano in linea con quanto mostrato e descritto dai reporter. Nel caso di Mohammed Salem, inoltre, la stessa Reuters ha contattato Inas Abu Maamar per un’intervista pubblicata sul sito ufficiale dell’Agenzia e corredata di altre immagini scattate dal reporter palestinese, alcune nello stesso luogo e contesto dello scatto dell’anno.
Ciò detto, i malfidati potranno certamente continuare a dubitare, ma se mettiamo in dubbio l’onestà di qualsiasi fotoreporter a priori, pretendiamo scatti ragionati in funzione delle regole della composizione e manchiamo di dedicare il giusto tempo alle storie che qualcuno raccoglie per noi mettendo a rischio la propria vita, allora sì che il fotogiornalismo è morto. E forse non è proprio colpa dell’intelligenza artificiale.
Il Palazzo delle Esposizioni di Roma sarà la prima sede in Europa, dopo Amsterdam, ad ospitare la mostra World Press Photo Exhibition 2024, dal 9 maggio al 9 giugno. Presto la notizia completa su fotocult.it.
La fotografia vincitrice del World Press Photo 2024 ritrae Inas Abu Maamar – una donna palestinese di 36 anni – che tiene in braccio il cadavere della nipote di cinque anni, Saly, uccisa insieme alla madre, alla sorella e ai prozii durante un attacco missilistico israeliano che ha colpito la loro casa a Khan Younis (Gaza) nel corso del conflitto israelo-palestinese inaspritosi a partire dal 7 ottobre 2023.
Dopo aver sollecitato, il 13 ottobre 2023, una pronta evacuazione degli abitanti di Gaza verso la zona a sud della riserva naturale di Wadi Gaza, Israele ha bombardato pesantemente Khan Younis, proprio a poco più di venti chilometri a sud di Wadi Gaza, colpendo molte delle famiglie che avevano lasciato Gaza City giorni prima.
Mohammed Salem, classe 1985, è un fotoreporter palestinese di base nella Striscia di Gaza e lavora con Reuters dal 2003. Documenta principalmente il conflitto tra palestinesi e israeliani, ma si è dedicato anche a diversi eventi di cronaca internazionale.
Salem è stato uno dei vincitori del China International Press Photo Contest del 2004 e ha vinto due volte il Pictures of the Year International (POYI), nel 2018 e nel 2023. Salem ha anche ricevuto il Dubai Press Club Media Award e nel 2010 ha conquistato il secondo posto nella categoria Spot News del World Press Photo.
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