Milano rende omaggio al suo figlio d’arte e di sangue, Gabriele Basilico, con una doppia mostra, Gabriele Basilico. Le mie città, in due sedi istituzionali della città, la Triennale (fino al 7 gennaio 2024) e Palazzo Reale (fino all’11 febbraio 2024). A dieci anni della scomparsa del grande fotografo il ricordo del suo lavoro e della sua persona sono vivissimi e l’affetto, non solo del mondo della fotografia, è accorato e genuino. Ne abbiamo parlato con Giovanna Calvenzi, co-curatrice della mostra – insieme a Matteo Balduzzi e Filippo Maggia – e compagna di vita di Gabriele Basilico.
L’omaggio a Gabriele Basilico, a Milano, si compone di una mostra esposta alla Triennale di Milano e una a Palazzo Reale. Ce ne racconta la storia progettuale e la realizzazione?
La progettazione della mostra parte da lontano, da quando, dopo la morte di Gabriele nel 2013, Stefano Boeri, allora Assessore alla Cultura del Comune di Milano e ora Presidente di Triennale, avrebbe voluto che la città di Milano lo omaggiasse con una grande mostra, ma in quel momento non era tecnicamente possibile, e così, a distanza di dieci anni, per il decennale della morte, si è riproposta la possibilità di farlo, facendo ospitare la mostra alla Triennale e, su invito del suo direttore, Domenico Piraina, a Palazzo Reale.
Alla Triennale, a cura di Matteo Balduzzi e mia, sono esposti i progetti che Gabriele ha dedicato a Milano, mentre la mostra a Palazzo Reale, a cura di Filippo Maggia e mia, espone, invece, i lavori con cui ha rappresentato il resto del mondo. Sono due esposizioni che non si sovrappongono, ma si integrano una con l’altra.
E dal punto di vista allestitivo come sono state pensate?
Il progetto è stato iniziato da me e Filippo Maggia dividendo il lavoro di Gabriele in queste due macro aree, Milano e Mondo, rimanendo però sempre fedeli a quello che Gabriele aveva già deciso per le sue immagini. Era solito, infatti, segnare, sui provini a contatto di tutti i suoi lavori, le indicazioni di scelta. Quindi, quello che abbiamo fatto noi è semplicemente attenerci a tali indicazioni, scegliendo, poi, come articolare il materiale. Per questo progetto espositivo si è aggiunto, in un secondo momento, un prestito importante, quello del MUFOCO – Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo. Si è inserito nella progettazione della mostra, così, anche Matteo Balduzzi, curatore del museo di Cinisello. In seguito, spontaneamente, ci siamo suddivisi i compiti: io sono rimasta come curatrice di entrambe le mostre, Filippo Maggia co-curatore a Palazzo Reale e Matteo Balduzzi co-curatore alla Triennale.
La differenza progettuale tra le due sedi è riconducibile soprattutto agli spazi: mentre la Triennale è un luogo preposto a esporre un certo tipo di fotografia come quella di Gabriele, alle arti applicate, la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale è sicuramente più ostica, non vi è la possibilità di appendere nulla e il sistema di illuminazione è molto complesso. Per questo motivo pratico i sistemi narrativi delle due mostre sono differenti. Per il percorso di Palazzo Reale Filippo Maggia ha pensato, fin da subito, di ricreare una sorta di macro città, con le sue strade e le sue piazze, all’interno della quale esporre le immagini di Gabriele, consentendo al visitatore un’immersione totale nelle città del mondo documentate da Gabriele.
Nella realizzazione del progetto espositivo siamo stati aiutati tantissimi dai due sponsor, UniFor per l’allestimento e Viabizzuno per il progetto illuminotecnico, che, oltre a essere due sponsor economici, ci sono stati affettivamente vicini, per l’amicizia e la stima che li legava a Gabriele.
Il titolo del progetto espositivo, Gabriele Basilico. Le mie città, è rivelatore di un senso di appartenenza di Gabriele alle città che fotografava?
Il concetto di appartenenza, in Gabriele, si applicava soprattutto a Milano, che lui definiva come un porto da cui partire e al quale ritornare, riportando le esperienze che aveva raccolto in altre città. Non a caso produsse un libro che si intitolava Nelle altre città dove intenzionalmente lui cercava delle analogie, dei rimandi alle sue radici milanesi, cercandole nel resto del mondo, e, viceversa, ritornando a Milano cercava delle appartenenze che lo riconducessero al resto del mondo che aveva visto e fotografato.
Il dialogo tra le città che documentava era qualcosa di profondamente democratico. C’è comunque una differenza sostanziale tra i lavori su Milano e il resto, e cioè che i progetti su Milano – soprattutto i primi due nuclei esposti alla Triennale che sono anche i suoi primi lavori, dalla metà degli anni Settanta agli inizi degli anni Ottanta, le periferie urbane e Milano. Ritratti di fabbriche – sono progetti non commissionati, portati avanti solo dalla voglia di raccontare la sua città. Per i lavori nel resto del mondo, invece, sono quasi tutti il risultato di incarichi professionali e committenze pubbliche.
Dal punto di vista metodologico, di indagine sulla città, Milano rappresenta un archetipo per la poetica di Gabriele Basilico?
Non saprei. Gabriele, semplicemente, partiva dal presupposto che ogni città, come la intendeva lui, doveva essere media, cioè doveva essere portatrice di un dialogo tra la mediocrità e l’eccellenza, tra il passato e il presente.
A carattere formale e compositivo come è evoluto il suo pensiero visivo?
Se si pensa alla sua evoluzione visiva nel tempo si parte da Milano. Ritratti di fabbriche, che lui reputava essere il suo punto di partenza verso un impegno che abbandona la rappresentazione delle persone in funzione dell’architettura e dell’ambiente urbano, con un cielo possibilmente omogeneo e delle ombre nette, oltre ad un chiaro senso di vicinanza alle architetture che andava a ritrarre. Subito dopo l’esperienza della D.A.T.A.R. (Délégation à l’Aménagement du Territoire et à l’Action Régionale), nel 1984-85, la sua visione si allarga e inizia a lavorare con ogni tipo di luce, in una visione, forse, più democratizzata. Quello che era cambiato era il suo approccio a quello che si trovava davanti agli occhi, senza la ricerca di un certo tipo di estetica o di una luce che valorizzasse lo spazio. Era lui, come fotografo, a mettersi a disposizione dello spazio.
La prima sezione della mostra alla Triennale rivela gli inizi di Gabriele Basilico: fotografie, scattate dal 1975 al 1980, che si ricollegano ad un certo tipo di narrazione sulla città di Milano, il reportage sociale. Compare ancora la figura umana, ritratti inseriti nel contesto urbano della città. In Milano. Ritratti di fabbriche il cambio di approccio è evidente, rispetto a questo primo corpus di lavoro. Cosa gli ha fatto cambiare prospettiva?
La sua cultura penso, ma pur, negli anni Settanta, fotografando la gente e le situazioni, il modo di vedere di Gabriele mette sempre in relazione le persone con l’ambiente. Il suo ritrarre l’ambiente urbano è per lui un’esigenza, fa parte dei suoi studi, dei suoi interessi, e infine della sua ricerca. Inoltre, lavorare con un linguaggio da giornalista, da reporter, era la logica di quegli anni, dal quale non si usciva. Il suo cambio di prospettiva è iniziato, probabilmente, conoscendo il lavoro dei coniugi Becher, attraverso cui si è reso conto che la modalità catalogica di quello che fotografava era una pratica possibile. Affrontò, quindi, le fabbriche, che in quegli anni erano ancora attive, prestando attenzione, per la prima volta, più alla resa architettonica che alle persone. È una consapevolezza che ha acquisito gradualmente, con il tempo.
Nel pensiero di Gabriele Basilico c’era anche un senso di dovere verso la Storia, come fu per fotografi “documentaristici” come Walker Evans?
Probabilmente sì. La lezione di Evans per Gabriele era estremamente importante. L’ha sempre considerato un maestro perché da lui ha mutuato l’utilizzo del linguaggio documentario e l’impegno etico e civile. Inoltre, ricordiamo come Gabriele provenisse dall’ambiente della Facoltà di Architettura dove il pensiero etico e politico erano professati come una priorità e il lavorare per la collettività era un intento comune e naturale. Lui parlava infatti di un “mandato etico” che nessuno gli aveva dato ma che lui si sentiva, però, di aver fatto suo.
In un anno di omaggi a Gabriele Basilico, oltre alle mostre, c’è anche la realizzazione di un documentario, Basilico. L’infinito è là in fondo, di Stefano Santamato. Come è stato congegnato?
Con Francesco Raganato e Beatrice Gardella, Stefano Santamato ha creato una sua trama narrativa che prevede l’integrazione di materiale d’archivio in cui c’è la presenza di Gabriele e la sua testimonianza diretta, alcune interviste e in sottotraccia il racconto di Toni Thorimbert che, con cinque aspiranti fotografi, analizza il lavoro di Gabriele, soprattutto focalizzandosi su Milano. Ritratti di fabbriche.
Tornando agli omaggi che la città di Milano ha voluto dedicare a Gabriele Basilico quest’anno, so che gli è stato intitolato un giardino…
La dedica di questo giardino a “Gabriele Basilico. Fotografo” in via Venini, all’angolo con via Palestrina, vicino alla Stazione Centrale, è stata molto emozionante e un’esperienza bellissima.
Nell’Archivio di Gabriele Basilico esistono materiali inediti?
C’è tantissimo materiale inedito. È un archivio vivo, sicuramente. Inoltre, come dicevo prima, Gabriele ha creato il suo archivio in maniera estremamente intelligente, ordinandolo a dovere, provinando, catalogando, trattando il materiale con le dovute accortezze, ed era sua abitudine segnare i provini a contatto con le sue personali indicazioni. Quindi indagando il suo archivio è facilmente leggibile anche il suo pensiero sul suo lavoro. Negli ultimi anni ha lavorato tantissimo, in giro per il mondo, e questo ha fatto sì che non abbia avuto il tempo né il modo di organizzare una presentazione di questi lavori, però le sue indicazioni su come voleva mostrarli sono rimaste, per l’appunto, annotate sui provini a contatto. Noi, in fase di progettazione della mostra, abbiamo semplicemente rispettato quello che lui già aveva suggerito.
Quindi diciamo che il progetto della mostra è un progetto curato a otto mani e non solo a sei?
Assolutamente sì.
Ulteriori informazioni sulla mostra Gabriele Basilico. Le mie città sono disponibili sui siti www.triennale.org e www.palazzorealemilano.it.