Se si digita Gold Harbour nel campo di ricerca di Google Maps, il classico segnaposto a forma di goccia rovesciata si piazza tra le acque di una baia dell’Oceano Atlantico Meridionale, affiancato dalla curiosa didascalia che recita: “Bay with a massive king penguin colony” (baia con un’immensa colonia di pinguini reali). Cercando, invece, Saint Andrew’s Bay accade qualcosa di analogo, e il sottotitolo si trasforma in “King penguin breeding ground” (area di riproduzione dei pinguini reali).
In entrambi i casi l’immagine di anteprima è densamente popolata da esemplari di questa specie, protagonisti indiscussi di una delle mete più ambite dai fotografi naturalisti: la Georgia del Sud, un arcipelago ubicato a est dell’Argentina, ma politicamente e amministrativamente britannico. Lo scorso marzo Davide Giannetti, giovane e promettente fotografo italiano appassionato di natura, ha trascorso cinque giornate a bordo di una nave Expedition – sulla quale ha viaggiato con il ruolo di fotografo e insegnante di fotografia e editing – proprio a largo di Gold Harbour e della baia di Saint Andrew che contava, in quel periodo, circa 120.ooo pinguini. Nell’arco dei cinque giorni l’autore ha raggiunto la terraferma sia la mattina, sia il pomeriggio, e ha potuto confezionare un suggestivo portfolio incentrato sulla fase conclusiva della stagione riproduttiva dei caratteristici uccelli marini.
Cornice di roccia
La connessione tra gli animali selvatici e l’ambiente in cui essi vivono è profondamente radicata, e non è azzardato asserire che l’habitat è capace di plasmare le creature viventi che ospita. I pinguini reali della costa sud orientale della Georgia del Sud si sono insediati lungo le spiagge ai piedi dei profili montagnosi incastonati nelle gelide colate del ghiacciaio Bertrab. Le rive sono brulle e frastagliate, e la natura prevalentemente rocciosa del suolo costituisce il terreno solido di cui hanno bisogno le massicce colonie che abitano queste zone.
Il connubio tra i pinguini reali e gli elementi naturali che circondano i loro sterminati gruppi genera la suggestiva atmosfera tanto apprezzata da chi ha l’occasione di calcare le terre “fuori dal tempo” dell’arcipelago britannico. Le fotografie di Davide Giannetti gettano sguardi differenti sui soggetti osservati, e nel quadro completo del reportage da lui prodotto non mancano scene ampie, immagini che ritraggono i pinguini in relazione con la terra. Il grandangolo restituisce visioni mozzafiato, immensi tappeti di esemplari racchiusi tra cielo e roccia che incollano lo sguardo dell’osservatore alle immagini.
Zoom in
L’impatto è travolgente, eppure a un certo punto l’occhio brama il dettaglio, e l’autore si mostra pronto ad assecondarne ogni esigenza. Escludendo l’ambiente dalla composizione Davide ha cominciato a richiamare l’attenzione sugli animali, concentrandosi sull’atteggiamento gregario che contraddistingue la specie. Dagli angoli di campo più aperti si passa perciò alla ripresa decontestualizzata degli animali, generando un simpatico parallelismo con le atmosfere caotiche delle grandi metropoli. Ed ecco che la naturale attitudine all’antropomorfismo – ossia la tendenza ad attribuire caratteristiche umane a esseri inanimati, immaginari o viventi ma appartenenti ad altre specie – si fa strada nel modo in cui l’osservatore approccia le fotografie, e nell’atteggiamento dei pinguini si intravede una vena goffa e impacciata.
Proprio come accade nelle più suggestive fotografie street, scattate tra le folle che fluiscono negli ambienti urbani, Davide ha iniziato a sfrondare ulteriormente la scena ricorrendo a focali lunghe combinate con un’attenta gestione del fuoco selettivo. In questo modo l’attenzione si concentra sui singoli uccelli, con l’intento dichiarato dell’autore di raccontare come essi riescano a mantenere una distinta individualità in mezzo a decine di migliaia di esemplari.
Leggere il piumaggio
Le caratteristiche fisiche dei pinguini emergono con determinazione: i primissimi piani consentono di apprezzare l’impermeabilità del piumaggio, nonché le sue incredibili sfumature di colore accompagnate da sinuosi disegni che spiccano sul becco e alla base del capo. Proprio il piumaggio, elemento principale nell’individuazione di esemplari giovani, racconta molto a proposito degli ultimi arrivati e delle loro possibilità di sopravvivenza. “Nonostante l’inverno fosse alle porte – ha raccontato Davide – ci siamo trovati di fronte a molti esemplari nati da poco e tanti pinguini ancora intenti a covare. La maggior parte dei piccoli esemplari tardivi ha scarsissime possibilità di superare l’inverno antartico”. Tra i nuovi nati l’autore ha individuato e fotografato anche i più avvantaggiati, vale a dire quelli che presentavano le prime tracce del piumaggio degli adulti sotto al tipico piumino marrone dei giovanissimi. Quest’ultimo aiuta i piccoli a proteggersi dalle basse temperature, ma non è impermeabile, e non consente loro di immergersi e divenire completamente indipendenti e autosufficienti. Per gli uccelli che vivono in zone dal clima rigido la muta è un processo fondamentale, una selezione naturale che consente solo a un numero ristretto di individui di sopravvivere.
Biosecurity
Prima e dopo ogni tappa sulla terraferma, Davide ha dovuto seguire un rigido protocollo di biosicurezza, vale a dire adottare particolari misure per evitare qualsiasi tipo di contaminazione sia all’interno delle colonie animali, sia a bordo della nave. Tutti i membri della squadra, perciò, sono stati sottoposti a meticolosi processi di pulizia dell’abbigliamento e dell’attrezzatura. “Un giorno – racconta l’autore – ero intento a fotografare due pinguini reali (foto qui sotto, n.d.r.) sulla spiaggia di Stromness. Ero sdraiato a terra, come mi capita spesso di fare per cercare un punto di vista migliore, e solo dopo una buona mezz’ora di scatti mi sono reso conto di essermi accomodato su un abbondante rigurgito di foca. D’altronde in mezzo a quantità infinite di pinguini e altri animali, si sa, si può trovare di tutto. Va da sé che la mia procedura di biosecurity quel giorno ha richiesto parecchio tempo in più rispetto al resto del team”.
Con lo specchio e senza
Davide ha lavorato con una reflex full frame Canon Eos 5D Mark IV, abbinata a un obiettivo Tamron 15-30mm f/2,8, e con una mirrorless full frame Canon Eos R6 su cui ha adattato un Canon EF 300mm f/2,8 L IS II. Le due combinazioni gli hanno consentito di raccontare il soggetto a 360° gradi, partendo dall’interazione con l’ambiente per poi restringere il campo sulle caratteristiche comportamentali e fisiche della specie in generale e dei singoli individui in particolare, tra sfocature d’impatto che esaltano i soggetti e ne fanno apprezzare ogni dettaglio cromatico e strutturale.
Spesso l’autore ha esposto in priorità di diaframmi con selezione automatica della sensibilità ISO; in questo caso ha impostato una soglia di sicurezza per il tempo di esposizione (generalmente mai più lento di 1/500sec) e un intervallo per il valore ISO tra 100 e 12800. Si tratta di un “assetto” che gli consente di mettersi al riparo da problematiche connesse al mosso o al rumore fotografico, e di concentrarsi prevalentemente sulla composizione.