I paesaggi naturali si prestano a essere fotografati con qualsiasi fotocamera e qualsiasi obiettivo, ma ciò non toglie che spesso sia proprio lo strumento giusto a fare la differenza, non solo perché permette di gestire al meglio la composizione. Fondamentale il controllo della luce, che influisce su dettaglio, colore e atmosfera dell’immagine, e talvolta risolutivi determinati accessori.
Incantevole, mozzafiato, fiabesco, desolato… Sono aggettivi con cui spesso descriviamo un panorama che fa vibrare le corde dell’anima, oppure una fotografia di paesaggio realizzata con tutti i crismi a cominciare dall’intenzione del suo autore: quella di suscitare emozioni prima che trasmettere informazioni. Perché se fosse quest’ultimo il fine, allora saremmo nell’ambito del reportage geografico, che al di là di considerazioni estetiche non può prescindere dalla rappresentazione fedele della realtà. Il paesaggio fotografico inteso in senso artistico, invece, concede libertà interpretativa, un po’ come la pittura (a proposito, quante volte avete sentito definire “pittoresco” un bel paesaggio?); inoltre, è democratico perché praticabile ovunque, in ambito urbano come fuori. In queste pagine abbiamo deciso di concentrarci solo sul “fuori”, quindi sui paesaggi naturali: sono in linea con la stagione e col desiderio di ritrovare quella libertà ultimamente compressa dagli eventi. Fra asfalto e cemento, magari, torneremo in futuro. Tra gli aspetti stimolanti del paesaggio naturale c’è pure quello di non richiedere attrezzature particolari: potenzialmente va bene anche lo smartphone, se la situazione è quella giusta e se applichiamo qualche malizia da fotografi navigati. Ma niente illusioni, perché, scorrendo queste pagine, arriverete alla conclusione che per puntare al top occorre una fotocamera con sensore di taglia generosa corredata di una buona scelta di focali: un mix che a livello di versatilità e di controllo della ripresa concede possibilità fuori dalla portata di qualsiasi altra soluzione.
La composizione nella fotografia di paesaggio
Due coppie di rette parallele che dividono idealmente il fotogramma in nove sezioni aiutano a individuarne i quattro cosiddetti “punti forti” (quelli in cui le linee stesse si incrociano): è il principio compositivo noto come “regola dei terzi”, perché divide l’immagine in tre parti, sia che orientate l’inquadratura orizzontalmente, sia in verticale. Se l’orizzonte cade sul confine fra due sezioni, l’immagine appare gradevole e bilanciata: per esempio, la fotografia che campeggia in queste due pagine non sarebbe stata altrettanto efficace se il mare ne avesse occupata la metà anziché i due terzi.

Paesaggio e prospettiva
La “regola dei terzi” funziona praticamente con qualsiasi tipo di paesaggio, e a prescindere dalla focale utilizzata. Ma quest’ultima è un parametro essenziale per giocare con prospettiva e punto di vista: qui un supergrandangolare 20mm montato su una fotocamera full frame ha permesso di includere nell’inquadratura tanto i fiori in primissimo piano, quanto una buona porzione di cielo. L’utilizzo di un diaframma parecchio chiuso (f/13) ha aiutato a estendere la profondità di campo, ossia a riprodurre nitidi anche i piani dell’immagine lontani da quello di messa a fuoco.

Valutativa, media ponderata al centro oppure spot? Le migliori fotocamere permettono di scegliere il tipo di misurazione esposimetrica più adatta alla situazione. Nel caso dei paesaggi ci si può serenamente affidare alla prima, anche detta a matrice: si basa su una logica riferita a un’ampia libreria di situazioni standard nelle quali i paesaggi rientrano elettivamente, ed è davvero improbabile che sarà necessario correggere i valori suggeriti.
La profondità di campo
Non è detto che per far sentire l’osservatore “immerso nella scena” si debba necessariamente utilizzare un obiettivo “inclusivo” come un grandangolare: può andar bene (se non meglio) anche un normale o un corto tele, Il trucco sta nell’inquadrare un elemento in primo piano che faccia da “quinta”, suggerendo al nostro sistema visivo la profondità della scena. Qui l’elemento-quinta è il pontile, peraltro sapientemente adagiato sulla diagonale dell’inquadratura: un modo per far muovere l’occhio dentro l’immagine, così che ne apprezzi ogni particolare. Nota tecnica: l’autore ha amplificato la gamma dinamica di questo paesaggio fondendo in postproduzione due scatti con esposizioni differenziate, finalizzando il risultato con un raddrizzamento e un lieve ritaglio.



La compressione dei piani di messa a fuoco
Impiegare il teleobiettivo nella foto di paesaggio può sembrare “controintuitivo”. Eppure le lunghe focali permettono di accrescere l’impatto della composizione, perché ingrandiscono i soggetti e ce li propongono come non siamo abituati a percepirli a occhio nudo. Una conseguenza di ciò è l’apparente schiacciamento prospettico, ben evidente in questa immagine realizzata con un 300mm (su sensore full frame): qui il gioco compositivo sfrutta proprio la compressione dei diversi piani su cui giacciono le file di alberi, effetto peraltro accentuato dalla direzione della luce rispetto ai soggetti e dalla presenza di nebbia.

Assodato che la foto di paesaggio “impegnata” richiede il cavalletto, in caso di necessità si può supplire con mezzi di fortuna: per esempio, utilizzando come appoggio un muretto, una staccionata o il tetto dell’auto (ma spegnete il motore, perché vibra), si riescono a guadagnare almeno un paio di stop sul tempo di sicurezza. Da non snobbare nemmeno i minitreppiedi, leggeri e facilmente trasportabili, oppure i supporti snodati come il Gorillapod in foto: se abbinati ad attrezzature non troppo pesanti, possono egregiamente risolvere molte situazioni.

Paesaggi nascosti
I teleobiettivi sono l’ideale anche se si ricercano risultati al limite dell’astratto e si vuole ritagliare un paesaggio da un contesto antiestetico: inquadrano, infatti, un ristretto angolo di campo, con ciò consentendo di escludere dall’inquadratura elementi di disturbo o semplicemente non necessari. Qui un perfetto esempio dell’applicazione di questo principio: il paesaggio è appena suggerito da un dettaglio squisitamente grafico, estrapolato dall’insieme utilizzando un 100-400mm regolato a 330mm di focale.
Il cielo nel paesaggio: i trucchi per renderlo fotogranico
L’ora poco adatta o il meteo sfavorevole possono far sì che il cielo appaia slavato. Per eliminare questo difetto (imperdonabile nella foto paesaggistica) si può ricorrere ai filtri digradanti, che attenuano il contrasto d’esposizione e possono anche aggiungere colore: sono di forma quadrangolare, colorati per metà (esistono grigi come di tinte fantasiose) e alloggiati in supporti nei quali possono scorrere, per essere posizionati in modo da influenzare soltanto il cielo. Difetti? Se ci si lascia prendere la mano è facile esagerare, arrivando a risultati innaturali…
Benro GND 0,9[/caption

Il paesaggio in bianco e nero
Nel paesaggio in bianconero (o monocromatico, ad esempio seppiato) sono i contrasti ad assumere un ruolo determinante: una scala di grigi più o meno compressa interagisce con la composizione e plasma i volumi dell’immagine. In era analogica gestire il contrasto significava scegliere la negativa adatta, esporla con filtri colorati per bloccare parte dello spettro luminoso, e infine svilupparla anche in funzione del modo in cui sarebbe stata stampata. Oggi che il computer ha trasformato la camera oscura in camera chiara, gli esperimenti in B/N sono più immediati: si può cominciare lavorando su un qualsiasi file a colori, sino ad accorgersi che i bianconeri migliori saranno quelli pensati come tali già in fase di ripresa.

L' ora giusta per scattare fotografie di paesaggio
La ricchezza di dettagli necessaria a valorizzare qualsiasi paesaggio si ottiene quasi sempre in luce radente, vale a dire quando il sole è basso rispetto all’orizzonte: una condizione che si verifica all’alba (come in questo caso, con i primi raggi che accarezzano il fogliame) e al tramonto, o comunque lontano dalle ore centrali della giornata. La durata delle condizioni di “luce giusta” dipende dalla stagione, dalla latitudine e anche dalla morfologia dello scenario che ci si appresta a riprendere: ecco perché spesso il risultato perfetto richiede un sopralluogo preventivo.

Paesaggio e controluce
La luce naturale è “bianca” (5500°K) al mezzodì con il cielo sereno, ma assume dominanti in base al meteo e al momento della giornata. Ad esempio, un cielo coperto accresce la componente ultravioletta e l’illuminazione risulta “fredda”, tendente all’azzurro. Al contrario, all’alba e al tramonto i raggi del sole incontrano, nell’attraversare l’atmosfera, particelle d’umidità e pulviscolo in quantità: una sorta di filtro naturale che introduce una dominante calda, rossastra. In questa foto l’effetto è ancor più evidente perché il fotografo ha sapientemente atteso che le montagne fossero parzialmente in ombra.


La foschia
La luce diffusa può essere decisiva per conferire a un paesaggio un’atmosfera irripetibile. In questo caso l’elemento diffusore è la foschia che, comunque, non cela il contesto; felice anche il momento della ripresa: le prime luci rischiaravano il cielo ma non gli elementi in primo piano, ed era ancora acceso il lampione pubblico che diventa un ulteriore elemento attrattivo. Le condizioni di luce diffusa che siano fotogeniche non sono frequenti ma, se si impara a cercarle (per esempio in zone polverose, in un temporale estivo o nei pressi di una cascata), neppure così rare.

Come fare l'effetto seta
Le cascate (ma anche fiumi e superficie del mare) nelle quali l’acqua sembra seta funzionano sempre alla grande, e si ottengono utilizzando un tempo di scatto lento (in questo caso 1,3 secondi). Affinché la posa sia compatibile con la luce del giorno, occorre abbassare la sensibilità ISO e chiudere il più possibile il diaframma; se ciò non basta, bisogna ricorrere al filtro ND, un elemento grigio che assorbe parte della luce (la cui quantità è indicata da un numero: un ND2 riduce di 1EV la luce diretta al sensore, un ND4 toglie 2EV, un ND8, 3EV e così via). Indispensabile un treppiedi, accessorio peraltro sempre consigliabile nella fotografia paesaggistica: aiuta a comporre con attenzione, ed è risolutivo per ottenere la massima stabilità (quindi immagini nitide) specialmente nelle riprese con ottiche lunghe, anche quando la durata dell’esposizione non è critica. Qui, un Benro Travel Angel, leggero per il carbonio e il magnesio impiegati in gambe e crociera, e versatile grazie alla colonna reversibile.



Il polarizzatore nella fotografia di paesaggio
Il polarizzatore è un filtro che “taglia” la luce polarizzata, ossia i riflessi di alcune superfici lucide o trasparenti, come acqua e vetro. Nel paesaggio è molto usato per rendere il mare cristallino, rendendo visibile il fondale e facendo apparire eventuali imbarcazioni come se levitassero; inoltre satura il blu del cielo (costituito da luce polarizzata) e fa risaltare il candore delle nuvole. Il “pola” va ruotato sino a cogliere l’effetto ottimale, e può tornare utile anche come ND poiché assorbe fra 1 e 2 stop d’esposizione.



Perché scattare in RAW
È inutile avere il migliore degli obiettivi (e magari utilizzarlo ai diaframmi intermedi, quelli che di solito assicurano la resa migliore) se molti dettagli di un’immagine rischiano di restare “invisibili”, specialmente se in ombra o “annegati” nelle alteluci: a chi scatta solo in JPG, può accadere più spesso di quanto si pensi. La soluzione è avere a portata di mano il file RAW, ossia nel “ricco” formato sorgente che ogni paesaggista che si rispetti associa a quello compresso, e fare un po’ di pratica per gestirlo al meglio in postproduzione. A proposito, sul potere rivelatore del RAW stiamo preparando un ampio approfondimento: lo troverete su FOTO Cult di ottobre.



Il filtro UV serve a grado di bloccare i raggi ultravioletti riducendo le dominanti fredde che si riscontrano in alcune situazioni: per esempio in montagna, specialmente nelle zone in ombra (che in effetti sono illuminate dalla luce riflessa dal cielo, ricca di radiazioni UV). Data la sua pressoché trascurabile influenza sugli altri toni dell’immagine, molti lo tengono costantemente montato sull’obiettivo a protezione della lente frontale.
Il paesaggio di Ansel Adams
Qualsiasi paesaggista riconosce in Ansel Adams (San Francisco, 1902-Carmel by the Sea, 1984) un maestro indiscusso: ha inventato il sistema zonale, un metodo di valutazione esposimetrica ancora illuminante. Epocale l’immagine che lo ritrae su una Pontiac Streamliner SW del 1947 con pedana sul tetto: una base mobile, e ben rialzata, per il treppiedi della sua field camera a soffietto.


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