Il 10 settembre scorso, a 94 anni, è morto a Parigi il grande fotografo newyorkese William Klein. Lo avevamo incontrato molti anni fa in occasione della premiazione dei Sony World Photography Awards, a Londra. E sedendoci al suo fianco – per conversare, non per intervistarlo – abbiamo portato a casa tutta la ricchezza della sua esperienza autoriale, ma anche una grande e ancora vivissima umanità. Era irriverente, amava la vita, le donne, la bellezza, e questo spirito indomito è innegabilmente presente in ogni suo scatto.
Era un ragazzo poco più che ventenne quando dalla città di New York, dove era nato, William Klein si trasferisce a Parigi “a bottega” dal pittore Fernand Léger. Fu proprio quest’ultimo a consigliargli di lasciar perdere i musei, le gallerie e la pittura classica per avventurarsi “sulla strada”.
Klein gli diede ascolto e decise di dedicarsi alla grafica pubblicitaria, dipingendo insegne e cartelloni che in quegli anni cominciavano ad arredare le città. Questo contesto creativo gli fece assimilare ciò che per tutta la vita gli è rimasto dentro: la vitalità della grande metropoli, molto vicina alla sua indole anticonformista.
Benché nato negli Stati Uniti, Klein ha quindi vissuto e lavorato in Francia fin da giovanissimo. Egli stesso si definiva un outsider, un anti-fotografo specie rispetto a un mito che lui stimava, ma dal quale era lontano anni luce in quanto a stile: Henri Cartier-Bresson. Infatti, l’intero corpus del lavoro di Klein – al contrario del coevo francese – è pieno di caos (creativo), le inquadrature sporche, tagliate male; la messa a fuoco non è mai stata la sua priorità. Verace quindi il suo modo di fotografare, carico di una forza vitale inimitabile (anche se molti oggi ci provano, ma con scarsi risultati).
Eppure negli anni Cinquanta, sulle strade di New York, Klein torna e distrugge le regole della street photography; le sue foto di New York rendono la Grande Mela quasi irriconoscibile per le modalità insolite con cui la interpreta. Ne nasce un libro, “New York 1954-1955: Life is Good & Good for you in New York”, un volume rifiutato da molti editori prima di vedere la luce e diventare un “must” per i fotografi ancora oggi.
A differenza degli “altri” street photographer, Klein provoca la reazione dei suoi soggetti fino ad ottenere lo scatto desiderato. La provocazione è rimasto il suo modus operandi per tutta la vita, anche quando lo abbiamo incontrato noi era ormai segnato nel corpo dall’età, eppure teneva le redini del discorso di fronte a una platea ammaliata.
Klein non è stato solo uno street photographer, ma anche un fine fotografo di moda, genere in cui ha saputo mostrare la parte più elegante del suo modo di essere fotografo. Un dato in comune però resta: l’anticonformismo innato e sviluppato sulla strada se lo è portato dietro, in passerella o in studio, quando la moda è diventata la sua professione. Storiche le pagine di Vogue nelle quali sono stati pubblicati i suoi bianconeri quasi “violenti” che tanto ricordano la gestualità dell’Espressionismo tedesco dei primi del Novecento.
L’irriverente Klein ci ha lasciato, la sua opera plasmata di fotografia urlante, carica di vita e caotica, invece, resta.