Quando Ivan Pedretti si appassionò alla fotografia di paesaggio voleva immortalare le bellezze del panorama della Sardegna, sua terra d’origine. Con il tempo e con l’esperienza maturata attraverso viaggi e nuove visioni, il suo pensiero relativo alla fotografia e al mondo si è espanso, portandolo in giro per il globo a cogliere le meraviglie della natura. In questo modo, nella sua estetica, sono entrati i notturni, le magie che la notte offre congiungendo cielo e terra. Abbiamo intervistato Ivan per parlare del suo lavoro e di come la sua fotografia sia espressione anche di una filosofia di vita a contatto con la natura.
Le tue radici sono ancorate alla Sardegna. È così che hai iniziato la tua carriera di fotografo, soffermandoti sui panorami e sulla natura della tua terra?
Certamente, le mie radici sono profondamente legate alla Sardegna, e questa connessione ha influenzato i miei primi passi nella fotografia. Ho iniziato esplorando e documentando la natura di quest’isola, in particolare con la fotografia macro e di uccelli. C’è una bellezza selvaggia nei paesaggi sardi che mi ha sempre affascinato, qualcosa di autentico e incontaminato che sentivo il bisogno di catturare.
È stata proprio questa passione per i paesaggi locali a spingermi verso la fotografia notturna, in cui ho trovato un mezzo per raccontare la natura della mia terra in modo ancora più intimo, unendo cielo e terra in un unico scatto. Queste radici sarde sono rimaste con me, anche ora che viaggio per il mondo: porto sempre con me l’ispirazione di casa e il desiderio di mostrare l’unicità della mia terra natale attraverso le mie immagini.
Dopo aver praticato un concetto di fotografia naturalistica ad ampio raggio, ti sei focalizzato sulle panoramiche notturne, in particolar modo dei Paesi del Nord. Cosa ti affascina della fotografia notturna?
La capacità di svelare un mondo invisibile all’occhio umano. È come entrare in una dimensione sospesa, dove la luce e il tempo sembrano seguire regole diverse.
Ci sono arrivato quasi per caso: nei primi anni della mia carriera fotografica mi concentravo su paesaggi e dettagli naturalistici, poi vidi sui social una panoramica della via lattea fatta sulle Dolomiti. Mi affascinò profondamente, e da quel momento sentii il desiderio di cimentarmi a mia volta in questo genere fotografico. Così, nelle sere d’estate in Sardegna, iniziai a scattare le mie prime fotografie notturne, un genere ancora poco praticato all’epoca.
Da quel momento, è nata una passione per il cielo notturno che non mi ha più lasciato. Nel tempo, questa passione mi ha portato a esplorare i cieli dei Paesi nordici, come l’Islanda, dove posso fotografare le aurore boreali e la maestosità delle notti polari. È un modo per collegare i paesaggi terreni all’universo, regalando una prospettiva unica di luoghi che amo profondamente.
Ti focalizzi indistintamente su progetti che raccontano la tua terra, come anche Paesi lontani. Quanto il momento del viaggio apporta al tuo modo di fotografare?
Il viaggio arricchisce profondamente il mio modo di fotografare, offrendo prospettive nuove e stimoli che si riflettono nei miei scatti. Ogni luogo, vicino o lontano, ha un’energia unica che cerco di catturare, e l’esperienza di scoprirlo mi spinge a osservare con occhi nuovi. Questo arricchisce il mio racconto visivo, intrecciando radici e orizzonti lontani.
Ci racconti un’esperienza fotografica che hai particolarmente a cuore?
Una mattina in Islanda mi trovavo sulla spiaggia di Stokksnes. Il cielo era completamente bianco, molto diverso da quello che speravo per la mia foto. Davanti a me, la montagna innevata e la spiaggia di sabbia nera con le sue dune ricoperte dalla tipica erba gialla. Nonostante la delusione iniziale, mi posizionai su una duna e scattai. Il risultato fu sorprendente: il primo terzo dell’immagine biancastro, mentre il resto alternava neri e gialli intensi. Questo contrasto ha dato vita a una foto che negli anni è stata molto premiata. Quell’esperienza mi ha insegnato che, a volte, ciò che appare negativo si rivela un’opportunità.
I fenomeni naturali che cogli nelle tue immagini sono accadimenti incontrollabili e spontanei. Secondo quali criteri estetici e compositivi crei le tue fotografie?
Quando fotografo fenomeni naturali, punto a esprimere sia la potenza che la delicatezza del momento, cercando un equilibrio tra ordine e caos. Inizio sempre scegliendo una composizione che guidi lo sguardo attraverso l’immagine, spesso applicando la regola dei terzi per dare profondità e armonia alla scena. Cerco sempre di creare un percorso visivo all’interno della foto, sfruttando linee naturali, contrasti e profondità, in modo che l’osservatore possa soffermarsi sugli elementi che rendono unica l’immagine.
Che strumentazione usi?
Uso solamente attrezzatura Sony dal 2014, per ora due mirrorless A7III e una Sony A7RII insieme ad altrettanti zoom, il G Master 16-35mm e il telezoom FE 70-200mm F/4 Macro G OSS II. Immancabile, ovviamente, il treppiedi, nel mio caso un Leofoto in carbonio LS325C. Utilizzo spesso anche un drone DJI Air 3S.
Quanto la postproduzione interviene sul tuo lavoro finale?
La postproduzione ha un ruolo importante nel mio lavoro, ma sempre con un approccio rispettoso e bilanciato. La utilizzo per enfatizzare i dettagli e i contrasti, guidando meglio l’occhio dell’osservatore e facendo emergere l’atmosfera unica del momento. Cerco di mantenere il più possibile l’autenticità della scena, senza stravolgerla, ma valorizzandola in modo che rispecchi la realtà percepita sul campo.
La postproduzione, quindi, è uno strumento per raffinare e dare vita alla mia visione, non per alterarla. Nelle fotografie notturne, come quelle della Via Lattea, la postproduzione diventa ancora più cruciale. Qui lavoro intensamente per recuperare dettagli e profondità nascosti nell’oscurità, bilanciando i toni per rendere visibile la struttura delle stelle e l’atmosfera del cielo notturno.
Cosa ha aggiunto l'uso del drone alla tua estetica fotografica?
La mia estetica fotografica è stata rivoluzionata dal drone, che mi ha permesso di catturare paesaggi da un punto di vista completamente nuovo. La visione a volo d’uccello offre una prospettiva unica, rivelando schemi e dettagli invisibili da terra.
Questa angolazione mi consente di raccontare storie più ampie, mettendo in relazione elementi del paesaggio in modo creativo e dinamico. Inoltre, la possibilità di giocare con le altezze e le prospettive mi ha spinto a esplorare nuove composizioni e a sperimentare con luci e ombre, creando immagini più drammatiche e coinvolgenti. Il drone ha arricchito il mio linguaggio visivo, offrendomi l’opportunità di esplorare e rappresentare la natura da angolazioni inedite.
Fotografi sia paesaggi montani che marini. Ci sono delle differenze pratiche, oltre che visive?
Dal punto di vista pratico l’accesso e la mobilità variano: le montagne possono richiedere escursioni più lunghe e faticose, mentre le spiagge offrono di solito un accesso più immediato, anche se le condizioni del mare possono influenzare il posizionamento e la sicurezza.
Dal punto di vista visivo, i paesaggi montani tendono a presentare forme verticali e linee diagonali, che creano profondità e un senso di grandezza. Al contrario, il mare offre orizzonti ampi e linee più morbide, permettendo di esplorare diverse prospettive e riflessi. Le tonalità e le texture sono diverse: le montagne possono avere colori più terrosi e variegati, mentre il mare presenta una palette che cambia con le condizioni di luce e il movimento dell’acqua, creando giochi di riflessi e trasparenze.
Ulteriori informazioni sul lavoro di Ivan Pedretti sono disponibili sul sito www.thewildlifemoments.com.
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