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Fulvio Roiter: vagabondare per l’Umbria sulle tracce di San Francesco

“Umbria, una storia d’amore” mette in mostra il poetico reportage in bianco e nero realizzato dal fotografo veneziano Fulvio Roiter lungo gli itinerari percorsi da San Francesco.

Francesca Orsi di Francesca Orsi
11 Giugno 2024
in ARCHIVIO
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Perugia

Dal 29 maggio al 13 ottobre 2024

Fulvio Roiter, storico fotografo italiano della metà del XX secolo, era solito raccontare la realtà in un bianco e nero composito ed empatico. Una commissione del 1954, quando ancora era alle origini del suo pensiero fotografico, gli valse il suo primo libro fotografico Umbria. Terra di San Francesco. Ricalcando il lascito di San Francesco sul territorio umbro, Roiter documentò alla sua maniera quei luoghi dell’Italia in cui il tempo sembrava essersi fermato e il silenzio echeggiava in ogni dove.

Fino al 13 ottobre è possibile visionare quel leggendario progetto alla Galleria Nazionale dell’Umbria, grazie alla mostra Fulvio Roiter. Umbria, una storia d’amore, a cura di Alessandra Mauro. Inserita nel più esteso progetto sulla fotografia Camera Oscura. La Galleria Nazionale dell’Umbria per la fotografia, l’esposizione ci ricollega con uno dei protagonisti della storia della fotografia, che ha saputo cogliere il paesaggio italiano con tutta la sua poeticità e anche il suo misticismo. Abbiamo intervistato Alessandra Mauro per farci raccontare del progetto di Roiter e di come sia stato trasposto nella mostra esposta alla Galleria Nazionale dell’Umbria.

Il progetto della mostra Fulvio Roiter. Umbria, una storia d’amore si compone di immagini commissionate a Roiter nel 1954. Qual è la storia del progetto originario?

Le immagini nacquero dalla proposta dell’editore de La Guilde du Livre, storica casa editrice svizzera, fondamentale per l’editoria fotografica, che commissionò a Fulvio Roiter un racconto per immagini che illustrasse i luoghi, in Umbria, di San Francesco. Il libro, pubblicato nel 1955, si intitolò Umbria. Terra di San Francesco e vinse, nel 1956, il Premio Nadar.
Per la produzione delle immagini, Roiter scese in Umbria consapevole dell’immaginario che era stato prodotto fino a quel momento sull’argomento, come il film Francesco giullare di Dio, grande successo di Roberto Rossellini, e le letture sugli scritti di San Francesco, che il fotografo usava come guide per il suo lavoro.

Come era strutturato il libro e come avete proceduto all’editing delle immagini per la mostra?

Il libro era diviso in specifiche sezioni come la terra, l’acqua, gli alberi e i bambini, e le immagini seguivano il racconto dei Fioretti di San Francesco e il Cantico delle creature. Per la mostra e per l’editing delle immagini esposte abbiamo deciso di seguire la stessa scansione e sequenza tematica del libro, rimanendo fedeli alle intenzioni originarie di Roiter. Abbiamo dato spazio alla rappresentazione degli interni delle case, ai paesaggi umbri, alle persone, ai piccoli paesi e infine anche alle immagini, per così dire, più grafiche e compositive.

Il titolo Fulvio Roiter. Umbria, una storia d’amore evoca un legame affettivo ed emotivo anche dello stesso Roiter per il territorio umbro. È così?

Sì, quella con l’Umbria, per Roiter, è stata veramente una “storia d’amore”: un innamoramento con il territorio, attraverso la fotografia. Anche dopo aver completato il lavoro fotografico, l’autore è rimasto sempre molto legato a quel paesaggio, a quei luoghi e soprattutto alle suggestioni mistiche che questa terra gli aveva suggerito.

Il coinvolgimento, da parte sua, è stato totale. Quando Roiter arrivò in Umbria nel 1954 era un ragazzo alle prime armi, con un incarico importante e delicato: conoscere e raccontare fotograficamente un territorio a lui sconosciuto, che lo sorprese e che confermò, nello stesso tempo, la sua passione e il suo talento fotografico. In un certo senso, questo progetto fu per lui un banco di prova che rafforzò la sua poetica e la sua pratica fotografica.

Qual è l’immaginario che Roiter raccolse con le immagini di Umbria. Terra di San Francesco?

L’Umbria che colse Roiter era una terra antica e con un profondo afflato mistico, caratteristiche che si riscontrano anche ora. Inoltre, cosa molto comune negli anni Cinquanta, il territorio emanava un profondo senso di silenzio e Fulvio Roiter lo riuscì a rappresentare perfettamente.

Quanto la fotografia umanista francese, con a capo Henri Cartier-Bresson, fu modello per Fulvio Roiter?

Molto, come per altri fotografi della sua generazione. Si consideri che Roiter, come era in uso in quel periodo storico, si formò come fotografo all’interno dei circoli fotografici,  in particolare nel circolo La Gondola di Venezia, sotto la guida di Paolo Monti. Lì incontrò altri colleghi, guardò e studiò le fotografie dei grandi maestri del Novecento, tra cui, appunto, la fotografia umanista, a cui le sue scelte stilistiche spesso si ispirarono. Ma altrettanto importante per la sua poetica fu la fotografia sociale americana, fondamentale per la formazione dei fotografi italiani.

Quali progetti, nello specifico, di autori americani l’hanno particolarmente colpito?

Nello specifico non saprei, ma era una tendenza generalizzata tra i fotografi di quel periodo, come anche per Gianni Berengo Gardin, rivolgere il proprio sguardo alla fotografia francese e americana.

Dal punto di vista estetico per Fulvio Roiter è sempre stato molto importante l’elemento compositivo, la costruzione dell’immagine. Come lavorava a tal riguardo?

L’elemento compositivo era, per lui e la sua poetica, fondamentale e spesso nei suoi resoconti, e nelle descrizioni delle immagini che realizzava, Roiter parlava di come l’aspetto compositivo fosse la principale preoccupazione del suo lavoro. Vedere una situazione interessante e capire subito quale potesse essere, compositivamente, il modo migliore per inquadrarla e per farla diventare un’immagine, è stato forse lo sforzo maggiore per Roiter come fotografo, ma anche il suo più grande talento, ciò che lo diversificava dagli altri. Prestando particolare attenzione alla dimensione grafica arrivò a realizzare immagini quasi astratte, che condensavano gli elementi del paesaggio in modo mirabile.

Roiter spesso incentrava i suoi lavori sulla narrazione del territorio italiano: Venezia ovviamente, dove nacque e visse, Padova, Firenze, Pisa, la Ciociaria e molti altri luoghi. Cosa è rimasto, oggi, del suo modo di rappresentare il paesaggio italiano?

Roiter, così come altri della sua generazione, ha inaugurato una modalità partecipe e sensibile di raccontare il nostro Paese, riuscendo a soffermarsi su una sorta di ‘poetica delle piccole cose’. Un approccio che si rivelò di grande suggestione soprattutto nel racconto di un’Italia minuta, fatta di villaggi e piccoli paesi. Per molto tempo è stata questa l’immagine che noi stessi abbiamo imparato a vedere e a riconoscere nel racconto visivo del nostro territorio.

La mostra Fulvio Roiter. Umbria, una storia d’amore inaugura un progetto di più ampio respiro sulla fotografia da parte della Galleria Nazionale dell’Umbria, Camera Oscura. La Galleria Nazionale dell’Umbria per la fotografia. Come si inserisce l’esposizione in questa nuova progettualità?

Il progetto Camera Oscura si aprirà sicuramente ai nuovi linguaggi, ma senza mai dimenticare la tradizione fotografica di cui Fulvio Roiter faceva parte, cercando quindi di far dialogare queste due anime fotografiche, quella più contemporanea e quella più storica.

Fulvio Roiter. Umbria, una storia d’amore

  • A cura di Alessandra Mauro
  • Galleria Nazionale dell’Umbria, corso Vannucci, 19 – Perugia
  • dal 29 maggio al 13 ottobre 2024
  • tutti i giorni 8.30-19.30
  • intero 10 euro
  • gallerianazionaledellumbria.it
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