Salvatore Vitale, figura polivalente del mondo della fotografia, è il curatore della prima edizione del festival di fotografia EXPOSED Torino Foto Festival, insieme al collega Menno Liauw. La manifestazione, voluta fortemente dalle istituzioni della città di Torino, si espande – fino al 2 giugno – nel capoluogo piemontese in venti sedi, analizzando nello specifico la direzione verso cui la fotografia si sta spingendo nel panorama contemporaneo.
Abbandonando la concezione di fotografia intesa unicamente come medium, la vasta scelta di mostre e contenuti che EXPOSED offre al suo pubblico si concentra sul tema specifico “New Landscapes”, che fa riflettere su immaginari futuri ma anche sulla tradizione fotografica italiana. Ghirri docet. Abbiamo intervistato Salvatore sulla programmazione della prima edizione di EXPOSED e sulla fotografia contemporanea.
Da dove nasce l’idea della prima edizione del festival EXPOSED Torino Foto Festival?
Il festival nasce dall’intento comune della Città di Torino, Regione Piemonte, Camera di commercio di Torino, Intesa Sanpaolo, Fondazione Compagnia di San Paolo e Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, di creare un evento specificamente fotografico che facesse scoprire al suo pubblico, anche a livello internazionale, il rapporto della città con questo linguaggio, un dialogo che nel tempo è diventato sempre più radicato e stretto. È stato indetto un bando per la direzione artistica del festival, vinto da me e Menno Liauw, che già lavoravamo insieme per la piattaforma Futures, io come direttore artistico lui come fondatore e direttore.
Come vi siete mossi per strutturare il festival?
Il mio approccio alla fotografia, come anche quello di Menno, è un approccio altamente contemporaneo e su questo ci siamo basati. Con EXPOSED volevamo indagare dove i nuovi linguaggi stanno portando la fotografia, come medium di transizione, sia a livello estetico, ma anche tecnologico e narrativo.
Inoltre, dal punto di vista pratico, ci siamo posti delle domande tangibili, a cui rispondere attraverso il programma del festival, ad esempio sulla possibilità dei fotografi emergenti di professionalizzarsi. Per questo motivo è stata istituita la borsa di studio EXPOSED Grant for Contemporary Photography 2023, vinta da Mónica de Miranda con As if the world had no West, per supportare in maniera concreta la produzione di nuovi progetti fotografici.
Hai parlato di un particolare rapporto tra Torino e la fotografia. Negli ultimi anni la città è diventata un polo importante del settore, se non il più importante. Perché secondo te?
Penso che la città di Torino abbia deciso consapevolmente di investire sulla fotografia, in maniera lungimirante visto la democraticità del medium e la connessione con la realtà e il sociale. Inoltre la fotografia è sempre più piattaforma di linguaggi contemporanei, di interconnessioni con l’attualità tecnologica, scardinandosi dalla tradizione fotografica classica. La fotografia, con questa accezione contemporanea, sta entrando sempre di più sia nelle dinamiche dell’arte contemporanea, sia nel vissuto quotidiano delle persone. Su questa progressiva evoluzione della fotografia Torino ha deciso di investire e in questo processo ha incluso anche la prima edizione del festival EXPOSED.
Un altro elemento importante del festival è la rete che si è creata con altre istituzioni, enti, fondazioni, luoghi dell’arte contemporanea e della fotografia che gravitano nella città di Torino…
Esattamente. Le mostre, infatti, sono esposte in varie sedi, sia luoghi che erano già soliti ad ospitare mostre di fotografia come Camera – Centro Italiano per la fotografia o come Gallerie d’Italia, ma anche quelli maggiormente riconducibili al mondo dell’arte contemporanea come la Fondazione Merz, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il Castello di Rivoli, il Museo nazionale del cinema, la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, l’OGR e molte altre. Volevamo creare un movimento condiviso, un tessuto che possa permettere alla fotografia di sviluppare il suo potenziale. E, come dicevo prima, aver creato questa rete di interconnessioni a Torino non è un caso.
La prima edizione di EXPOSED ha come tema portante “New Landscapes”. È un immaginario molto vasto, caratterizzato da molte altre “sotto-narrazioni”. Ci puoi fare una panoramica delle tematiche affrontate?
Scegliendo il tema del festival ci siamo chiesti cosa la nostra offerta portasse di nuovo sia all’immaginario fotografico già molto denso di contenuti e di ricerche, ma anche ad un panorama italiano e internazionale ricco di eventi e festival che indagano il linguaggio fotografico. “New Landscapes” ci ha permesso un ampio margine d’azione, da un lato, per manifestare la nostra unicità, per esporre la nostra idea su dove sta andando la fotografia, dall’altro, però, ci ha dato modo di riferirci alla tradizione fotografica italiana sul paesaggio, a quella scuola di pensiero che in Italia, negli anni Settanta, ha gettato le basi per creare un immaginario visivo sul tema.
Partendo dalla riflessione sui nuovi linguaggi ci siamo focalizzati su tre filoni principali: il primo intesse un immaginario legato al medium, alla tecnologia, come il progetto di Simone C. Niquille Beauty and The Beep alle Gallerie d’Italia, uno spazio immersivo che indaga i dati e i processi tecnologici della visione computerizzata incorporata nei robot domestici; il secondo filone invece va ad interessarsi dello storytelling, della narrazione specificamente collegata alle tematiche post coloniali.
È il caso della mostra di Lebohang Kganye, A Burden Consumed in Sips, a Palazzo Carignano, un racconto video della spedizione in Camerun della pittrice e fotografa tedesca Marie Pauline Thorbecke, avvenuta tra il 1911 e il 1913, che diventa una riflessione sulla proprietà e la restituzione di terre e oggetti come in un’impresa epica, o di quella di Max Pinckers a Palazzo Madama, State of Emergency, con cui l’autore, in collaborazione con i veterani Mau Mau e i reduci della guerra keniota, tenta di colmare i vuoti storici del racconto ufficiale del periodo coloniale britannico in Kenya.
Attribuibile allo stesso filone anche la vincitrice del Grant Mónica de Miranda con As if the world had no West, al Polo del ‘900, che si immagina, partendo sempre da un immaginario post coloniale, nuovi paesaggi, investigando ecologie nascoste nel contesto geografico dell’Angola, con un approccio e uno sguardo non occidentale.
Infine, il terzo filone è un’indagine sull’identità come la mostra Queer Icons del fotografo Fin Serck-Hanssene e gli autori Bjørn Hatterud e Caroline Ugelstad Elnæs, all’ex Galoppatoio della Cavallerizza Reale, una mostra che, a cinquant’anni dalla depenalizzazione del reato di omosessualità in Norvegia, racconta la storica cultura underground queer norvegese e l’importanza delle icone pop per influenzare atteggiamenti e valori della collettività.
Questi tre filoni, poi, però, aprono il dialogo su altre tematiche come il cambiamento climatico e la narrazione ingannevole che ne deriva, come nel lavoro True Colors di Mathieu Asselin, o il tema dell’Antropocene, come nel caso del lavoro di Dongkyun Vak, Heatwave, esposto da Camera.
La collettiva allo spazio OGR, A View from Above, che analizza la prospettiva verticale dei nuovi linguaggi fotografici, include i famosi paesaggi degli anni Sessanta di Mario Giacomelli. Come la tradizione fotografica si inserisce nella programmazione del festival?
Non si può assolutamente parlare di contemporaneità senza avere una coscienza e una conoscenza storica. Proprio per questo principio, in A View from Above abbiamo voluto, consapevolmente, che Giacomelli fosse la base di partenza dell’intera esposizione, con la sua prospettiva ante litteram “dall’alto”. La sua estetica si va a confondere con l’immaginario contemporaneo, anche se la sua poetica aveva un approccio “purista” alla fotografia, senza far uso di tecnologie di sorta, né tanto meno di droni, come invece molti autori della mostra.
Ma il continuum con la tradizione si manifesta anche in altre esposizioni come nel caso de I Paesaggi dell’arte ospitata alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, che include immagini dei fotografi storici della scuola italiana del paesaggio come Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Mimmo Jodice o ancora Armin Linke, Ugo Mulas o Claudio Abate; o anche la mostra Paolo Pellion di Persano. La semplice storia di un fotografo al Castello di Rivoli, che, se pur inserita in un profondo contesto storico, presenta le visioni avanguardistiche di un fotografo che guardava già al futuro.
Ci sarà una seconda edizione? Ci puoi dare delle anteprime?
Sì, penso proprio che ci sarà, ma al momento non c’è nulla di definito che posso condividere.
EXPOSED Torino Foto Festival. 1ª edizione
- A cura di Salvatore Vitale e Menno Liauw
- varie sedi, Torino
- dal 2 maggio al 2 giugno 2024
- lun-mer-gio-ven-sab-dom 10-18. Martedì chiuso
- intero 25 euro, ridotto 20 euro
- palazzomadamatorino.it
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