Nell’epoca dei software di fotoritocco, delle fake news e delle elaborazioni dell’intelligenza artificiale si tende a dimenticarlo, ma in un passato non troppo remoto si pensava che l’essenza della fotografia fosse la sua vocazione a replicare esattamente la realtà. Eppure c’è una lunga storia di autori che hanno preferito non vederci chiaro.
Potendo scegliere, tutti gli esseri viventi preferirebbero vederci bene, anche le talpe e i pesci che nuotano sui fondali oceanici dove c’è solo il buio perenne. O quantomeno viene naturale pensare così, dato che essere dotati di sensi che funzionano perfettamente è un vantaggio che fa sempre comodo. Di conseguenza non ci si stupisce che in fotografia, nata e praticata principalmente per ottenere una mimesi visiva della realtà, la precisione sia sempre stata considerata un valore fondante.
Ogni singolo elemento che compone una macchina fotografica deve contribuire a prevenire aberrazioni cromatiche o distorsioni e quasi non c’è occhio che spostandosi dal soggetto alle varie immagini in cui viene tradotto (dal mirino, dal monitor del computer, dalla stampante, ecc.) non venga colto dal dubbio che i colori non siano esattamente corrispondenti. Probabilmente è l’esposizione sbagliata l’errore che più ha assillato i fotoamatori, e anche qualche professionista, di tutte le epoche. Ma anche lo sfocato e il mosso, causa autofocus lento o lunghi tempi di esposizione, hanno guastato più di uno scatto.
Flou. Une Histoire Photographique
Facendo seguito all’omonima mostra tenutasi a Losanna, il libro Flou. Une Histoire Photographique traccia una storia del fuori fuoco, da quando non era altro che la conseguenza delle limitazioni tecniche a quando è diventato uno dei vari linguaggi adoperati con consapevolezza.
Il libro è curato da Pauline Martin, storica dell’arte e curatrice di mostre fotografiche. Purtroppo per il momento ne esiste solo l’edizione in francese, per cui chi non parla la lingua d’oltralpe è costretto a limitarsi a sfogliarlo senza soffermarsi sui testi; tuttavia le immagini che contiene sono sufficienti a seguire il filo rosso del ragionamento fatto da Martin e dagli autori degli altri contributi scritti.
Storia dello sfocato, dalla pittura alla fotografia
Il loro lavoro di ricostruzione parte da molto indietro: i primi esempi di sfocato (intenzionale) vengono individuati già in alcuni dipinti del Seicento e dei due secoli successivi. Si passa poi ai pionieri della fotografia, molti dei quali francesi. Nel loro caso il mosso e lo sfocato erano la conseguenza dell’utilizzo di obiettivi rudimentali e di superfici sensibili non sempre piatte e omogenee come le pellicole fotografiche diventate popolari qualche decennio dopo. Inoltre c’era il problema dei tempi di posa lunghi, che rendevano spettrale qualsiasi persona od oggetto in movimento. Così nelle immagini di Charles Nègre e di Jean-Baptiste Frénet erano i cani e i cavalli a non riuscire a mantenere la posizione tanto a lungo quanto gli esseri umani, mentre in quelle di Gustave Le Gray e di Édouard Baldus era lo scorrere dell’acqua a non lasciarsi catturare con definizione.
Ma chiaramente è la sfumatura dei dettagli dei visi nei ritratti che colpisce l’occhio quasi come una contraddizione, testimoniando il tradimento della pretesa della fotografia di poter rappresentare quasi per piatta clonazione le esatte fattezze delle persone. Il Charles Baudelaire di Nadar, la famiglia e le amicizie di Julia Margaret Cameron, gli anonimi di Hippolyte Bayard, Alfred Stieglitz, Eugène Atget e di moltissimi altri autori anch’essi anonimi o poco conosciuti: corpi ma soprattutto volti e sguardi quasi persi nella memoria nel momento stesso in cui si cercava di renderli immortali, inafferrabili proprio dal mezzo creato allo scopo di catturarli.
La fotografia si diffonde e le imprecisioni degli amatori si moltiplicano
Con la diffusione della fotografia e il suo vastissimo impiego per creare personali cartoline dalle vacanze e milioni di foto ricordo a uso familiare sono arrivati anche tutti gli errori dei non professionisti, compresi ovviamente lo sfocato e il mosso. Ed è guardando tali foto di autori senza nome, provenienti in maggioranza dalla collezione del regista francese Sébastien Lifshitz, che si nota che c’è una sostanziale differenza tra i due modi in cui si possono ritrarre un uomo che cammina per strada o una donna che si tuffa in acqua. Da una parte c’è la possibilità di cristallizzarli nel loro moto, in una statica sospensione nel tempo e nello spazio; dall’altra parte c’è invece la possibilità di registrarne il movimento come in un film girato con un singolo fotogramma, nel quale convivono diversi attimi distinti lungo i quali un corpo o un volto si sono dilatati.
Il Pittorialismo prova a elevare la fotografia
Per quanto riguarda lo sfocato, invece, si potrebbero fare altri tipi di considerazione. Partendo, per esempio, dal Pittorialismo dell’Ottocento e dai tentativi di allora di elevare le immagini fotografiche al rango dei dipinti. Utilizzando spesso, per l’appunto, la sfocatura del soggetto – a dire il vero ottenuta più grazie alle qualità dei materiali fotosensibili che manipolando gli obiettivi. Come se l’intento fosse quello di catturare l’aura di una persona o l’effetto di un paesaggio sulla sensibilità del fotografo, piuttosto che una serie di informazioni da trasmettere all’osservatore. Sull’argomento il libro di Pauline Martin cita Edward Steichen, Constant Puyo, Frédéric Boissonnas, Léonard Misonne, George Davison, Peter Henry Emerson e molti altri autori le cui opere sono accostate a quadri di pittori coevi.
Da lì si passa poi alla fotografia astronomica, a quella scientifica, al cinema, alle radiografie, alle sperimentazioni delle avanguardie dei primi del Novecento, a Jacques Henri Lartigue, Man Ray, André Kertész, Jean Painlevé, Brassaï, Henri Cartier-Bresson, René Groebli, Ernst Haas, Jan Groover, René Burri, Willy Ronis, Robert Capa, Robert Frank, William Klein, Sabine Weiss, Josef Sudek, Bernard Plossu per finire con Sarah Moon, Michael Ackerman, Alexey Titarenko, Christian Boltanski, Hiroshi Sugimoto e Thomas Ruff. Un lungo elenco di maestri che, spesso intenzionalmente, hanno giocato con la stessa ragion d’essere della fotografia per perseguire proprie ricerche anche a costo di entrare in conflitto con il loro mezzo espressivo.
Flou. Une Histoire Photographique
Titolo Flou. Une Histoire Photographique
Formato 20×27,5cm
Pagine 336
Lingua francese
Prezzo 49 euro
Editore delpireandco.com