Man Ray ha vissuto di sperimentazioni. La sua mente viaggiava libera, schizzava fuori dagli schemi, brillava come solo la mente de “l’uomo raggio” poteva brillare. Poliedrico e rivoluzionario, ha esplorato innumerevoli discipline artistiche, le ha condite di sogni, visioni e fantasia e le ha rese eternamente accattivanti. Tanto è forte l’influenza della sua opera sulle generazioni a lui successive che diversi critici non esitano a definirlo il “Picasso della fotografia”.
Ne abbiamo parlato con Pierre-Yves Butzbach e Robert Rocca, curatori della mostra Man Ray. Forme di luce, in corso presso Palazzo Reale di Milano e visitabile fino all’11 gennaio 2026.
Tutte le risposte riportate di seguito sono da attribuirsi a entrambi i curatori.
Le opere di Man Ray sanno farsi apprezzare da un ampio pubblico, persino da chi è digiuno di storia dell’arte e della fotografia. Perché?
Senza dubbio perché le immagini che Man Ray ha realizzato un secolo fa possiedono una modernità sorprendente; sono visivamente forti, originali e poetiche. Ad esempio, opere come Le Violon d’Ingres o le rayografie (fotogrammi) sono d’impatto immediato, suggestive e misteriose.
Man Ray associa spesso umorismo, provocazione e immaginazione, tre elementi che parlano a tutti. Inoltre, ama stravolgere gli oggetti di uso quotidiano, come in Le Cadeau, il ferro da stiro irto di chiodi. Questo mix di banale e bizzarro incuriosisce e diverte allo stesso tempo.
Man Ray gioca con temi universali come il mistero, l’erotismo e la bellezza, e le sue composizioni sono riconoscibili nelle immagini contemporanee anche senza sapere che sono state realizzate da lui. Il suo stile fa parte della nostra cultura visiva collettiva.
L’opera di Man Ray piace molto perché è allo stesso tempo bella, creativa, divertente e misteriosa. Non richiede spiegazioni, si percepisce, il che la rende universalmente accessibile.
Qual è il punto forte della mostra in corso a Palazzo Reale di Milano?
Abbiamo voluto immergere il visitatore nell’universo artistico di Man Ray. Sebbene la maggior parte delle opere esposte siano fotografie – campo in cui è stato riconosciuto su entrambe le sponde dell’Atlantico come uno dei maggiori artisti del XX secolo – la mostra mette in luce anche altri aspetti della sua creatività, come la pittura, il disegno, gli oggetti e persino i suoi film d’avanguardia. In questo modo l’esposizione rivela la maestosità e la ricchezza del suo spirito inventivo.
C’è qualcosa che vorreste sottolineare riguardo all’allestimento?
L’obiettivo di questa mostra era quello di mostrare l’importanza delle innovazioni di Man Ray e i suoi diversi mezzi di espressione. Solo un percorso tematico e non cronologico poteva permetterlo. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo allestito un percorso composto da otto sale: I ritratti, Le muse, Le rayografie, Il cinema, La moda, I multipli e I nudi.
Il comunicato stampa della mostra parla di un importante nucleo di materiali originali. Di cosa si tratta nello specifico?
Si tratta di una collezione depositata presso il Museo Nicéphore Niépce di Chalon-sur-Saône, composta da stampe d’epoca e numerose stampe a contatto originali.
Come sarebbero andate le cose se Man Ray non avesse mai incontrato Alfred Stieglitz?
Il suo incontro con Stieglitz ebbe effettivamente un’influenza determinante sulla formazione di Man Ray, sia dal punto di vista artistico che tecnico.
Man Ray frequentava assiduamente la Galleria 291, dove scoprì gli artisti europei: Picasso, Matisse, Braque, Cézanne, Picabia, Brancusi, Duchamp… Stieglitz organizzava volutamente mostre che univano arte e fotografia, affermando così il valore artistico di questo mezzo espressivo.
Man Ray, che spesso gli chiedeva consiglio, fu particolarmente colpito dai ritagli e dagli ingrandimenti che Stieglitz utilizzava per esaltare le sue immagini.
A differenza di molti pittori suoi contemporanei Man Ray non disprezzava la fotografia. Perché?
Man Ray non ha mai rifiutato la fotografia perché per lui era solo uno dei tanti mezzi di espressione, come la pittura, il disegno, il cinema, gli oggetti. Man Ray rifiutava l’idea che la fotografia fosse solo uno strumento per riprodurre fedelmente la realtà.
“Non fotografo la natura, fotografo la mia immaginazione”, dichiarava spesso. Per lui, la macchina fotografica doveva servire alla creazione, non alla documentazione. Voleva trasformare la realtà attraverso la luce, l’inquadratura, i processi chimici o le manipolazioni in laboratorio.
Per Man Ray non esisteva una gerarchia tra le arti, dunque pittura, scultura, fotografia o cinema erano per lui linguaggi equivalenti. Diceva: “Dipingo ciò che non posso fotografare e fotografo ciò che non voglio dipingere”.
Davvero Mar Ray ha inventato le rayografie accidentalmente?
Difficile da dire, perché Man Ray era uno straordinario affabulatore. Amava ripetere: “Tutte le mie immagini hanno una storia… e se non ce l’hanno, la invento io!”.
È possibile che un incidente in laboratorio abbia stimolato la sua curiosità, ma probabilmente conosceva già gli esperimenti di Christian Schad, artista dadaista tedesco che, fin dal 1919, aveva praticato il fotogramma, una tecnica già esplorata nel XIX secolo da Wedgwood, Talbot o Anna Atkins per scopi scientifici.
Ciò che Man Ray ha realmente apportato è una nuova maestria e poesia in questo processo: ha introdotto materiali semitrasparenti – vetro, cotone, garza – e ha giocato sullo spostamento della fonte luminosa, elevando la tecnica a un livello di perfezione senza pari.
Dopo Man Ray ci sono stati artisti alla sua altezza?
È difficile rispondere oggettivamente a questa domanda. Man Ray ha influenzato così tanti artisti, in discipline diverse, che la sua impronta è ovunque. La sua opera, per la sua ampiezza e libertà, continua ad alimentare la creazione contemporanea.
A prescindere dalle immagini che fanno parte di questa pubblicazione, descrivereste qualche opera della mostra che ritenete particolarmente significativa?
Sono numerose e avremmo voluto presentarne molte altre, tanta è la ricchezza della sua opera.
Citerò Étoile de verre, una piccola opera esposta nella sala I Multipli. È una sintesi perfetta della sua arte, per la sua poesia e semplicità: un foglio di carta vetrata su cui ha incollato un piccolo zircone e tracciato due linee perpendicolari con una matita bianca. Guardandolo, si vede un’alba di luna sul mare. Il titolo evoca sia il suo film L’Étoile de Mer che la sua famosa fotografia Larmes de verre.
Parlando di quotazioni, qual è l’opera più preziosa della mostra e perché?
Uno dei pezzi forti è senza dubbio L’Énigme d’Isidore Ducasse. Sebbene si tratti di un’edizione del 1971, in dieci esemplari, di un oggetto creato nel 1920, pochissimi esemplari sono sopravvissuti: alcuni sono stati distrutti durante i controlli doganali dal personale che, incuriosito dall’imballaggio, voleva conoscerne il contenuto.
L’opera si ispira a una famosa frase del Conte di Lautréamont (Isidore Ducasse): “Bello come l’incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di un ombrello”.
Man Ray avvolge una macchina da cucire in una coperta, la lega con dello spago e trasforma così un oggetto ordinario in un enigma visivo. Questo gioco sul mistero e sull’ignoto è tipico del suo approccio. La fotografia dell’opera fu pubblicata nel primo numero de La Révolution surréaliste nel 1924, anticipando già lo spirito del movimento. Prefigura gli imballaggi di Christo.
Ulteriori informazioni sulla mostra Man Ray. Forme di luce sono disponibili sul sito palazzorealemilano.it.
Titolo Man Ray. Forme di luce
A cura di Pierre-Yves Butzbach e Robert Rocca
Formato 24x28cm
Pagine 248
Linguaitaliano, inglese
Prezzo 35 euro
Editore Silvana Editoriale
Data di pubblicazione settembre 2025
Copertina rigida
ISBN 9788836661398
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