Sono varie le iniziative che celebrano Bergamo e Brescia come un’unica città ‘Capitale italiana della cultura’ per l’anno 2023. Tra di esse c’è una mostra in cui si incontrano la pittura dell’Ottocento, l’arte contemporanea e la fotografia. Si intitola Vette di Luce ed è dedicata alle Alpi Orobie. Si potrebbe definire una ‘mostra diffusa’, in quanto le sedi espositive sono varie e sparse nel territorio delle due province. A Bergamo, per l’esattezza nelle sale dell’Accademia Carrara va in scena un dialogo tra la pittura paesaggista dell’Ottocento, l’arte contemporanea di Matteo Rubbi e del duo Masbedo e la fotografia di viaggio del giapponese Naoki Ishikawa. Alcuni scatti di quest’ultimo sono anche esposti in cinque sedi fuori dalla città, mentre le riproduzioni di alcuni quadri della collezione dell’Accademia Carrara sono ospitate in diciassette rifugi della sezione bergamasca del CAI.
Naoki Ishikawa: provetto alpinista
Quindi Vette di Luce spazia dalla pianura all’alta quota, e forse non c’era autore migliore di Ishikawa cui affidare il contributo fotografico, dato che il 46enne di Tokyo è un provetto alpinista: ha conquistato dieci dei quattordici 8.000 metri presenti sul pianeta, portando la sua macchina fotografica sull’Everest, sul K2 e fino al circolo polare artico. Anche per questo l’Accademia Carrara gli ha commissionato, tra il 2022 e il 2023, un reportage sulle Alpi Orobie che fa parte dell’esposizione che apre in questi giorni. A dare qui una breve introduzione alla mostra sono i due curatori, M. Cristina Rodeschini e Filippo Maggia.
Con quale spirito è nato il progetto della mostra Vette di Luce? Con l'idea di celebrare le meraviglie del paesaggio italiano o con la sensazione che tutta la natura incontaminata sia in pericolo e quindi vada documentata prima che sia troppo tardi?
M.C.R.: In verità la motivazione risiede in una considerazione che vuole rivolgere al territorio e in particolare alle Alpi Orobie un’attenzione particolare in quest’anno speciale in cui Bergamo e Brescia condividono il titolo di ‘Capitale italiana della cultura’, al singolare per suggerire una visione unica di questi due territori confinanti e per certi aspetti molto simili seppur con precise identità. L’ambiente di montagna – a cui Brescia dedica quest’anno un progetto espositivo che presenta quattro fotografi che esplorano con sguardi diversi il tema della montagna intesa in senso globale con la curatela di Filippo Maggia – vede Accademia Carrara scegliere un approccio, anzi più di un approccio: artisti-pittori della collezione del museo, un fotografo alpinista di origine orientale e due artisti contemporanei agiscono attraverso linguaggi diversi sul tema della montagna nel territorio bergamasco.
Offrire una visione molteplice, ma egualmente intensa e circostanziata sulle Alpi Orobie e le comunità che le abitano, è parsa una opportunità unica, un debito di riconoscenza, con l’obiettivo di affascinare il pubblico, ma anche per porre all’attenzione di molti luoghi magnifici, incontaminati e insieme portatori di una riflessione sulla necessità di rispettarli e di salvaguardarli.
Quando si parla di fotografia naturalistica oggi, ha ancora senso pensare in termini di esplorazione o forse ha più senso intenderla come una forma di riflessione sulle condizioni di salute del Pianeta?
F.M.: Non credo si debba parlare di fotografia naturalistica riferendosi alla pratica fotografica di Naoki Ishikawa, piuttosto il suo è il racconto di un’esperienza. Il viaggio inteso come esperienza vissuta in un territorio sconosciuto, che del resto è la ragione principale per cui decise, ventenne, di diventare un fotografo. I viaggi di Ishikawa sono, in questo senso, delle esplorazioni non solo dei luoghi ma anche di chi quei luoghi li abita. Un’indagine di carattere antropologico che lascia poco spazio al sentimento, ragionata e metodica.
La pittura ha tempi di realizzazione più lenti rispetto alla fotografia, che può produrre più immagini in tempi molto più ristretti. Si potrebbe affermare che i dipinti in mostra si prestano a rappresentare un’antica idea di montagna come qualcosa di immutabile nel tempo, mentre la fotografia di Naoki Ishikawa è uno strumento più adatto a testimoniare gli incessanti e inevitabili mutamenti del territorio?
M.C.R.: Non concordo pienamente con lei: la pittura è vero che ha tempi diversi dalla fotografia, ma la sala dedicata a una ricca serie di olii di Costantino Rosa – artista di metà Ottocento che osserva le valli bergamasche in tutta la loro varietà e ricchezza, spaziando da panorami ad ampio raggio, alla descrizione di una particolare specie arborea – costituisce una summa che ci consente attraverso veri e propri fermoimmagine di catturare particolari che potrebbero sfuggire a uno sguardo da lontano. Il pittore si produce attraverso il mezzo che meglio conosce in una esplorazione ampia, per così dire caleidoscopica, di una realtà che merita grande attenzione.
Il passaggio dalla pittura alla fotografia ha cambiato la sensibilità dell'osservatore verso la natura?
M.C.R.: Per certi versi sì, chiunque può scattare una fotografia con il proprio cellulare per fermare un momento preciso della propria esperienza, può scegliere di cancellarla immediatamente oppure di conservarla per ritornare a essa a distanza di tempo. Si tratta di momenti diversi, come sottolineava prima, ma l’intensità e l’efficacia della rappresentazione può essere la medesima che si tratti di un dipinto e di una sequenza di immagini fotografiche tra le quali scegliere quella più riuscita. Un paesaggio di Giovanni Segantini ci può conquistare, tanto quanto un’immagine fotografica di Ansel Adams. L’importante è essere disponibili a farsi coinvolgere.
F.M.: La fotografia sicuramente è uno strumento ideale per documentare le mutazioni, di qualunque natura esse siano. Le immagini realizzate da Ishikawa registrano e raccontano il lento percorrere del fotografo sulle Alpi Orobie, compiuto in diverse stagioni nel corso di tre residenze, l’incontro con un paesaggio e una montagna molto differenti dalle Alpi giapponesi ma anche da altre montagne che Ishikawa, come alpinista, ha negli anni esplorato e conquistato.
Che differenze corrono tra l'idea odierna di fotografia alpina di Naoki Ishikawa e quella del passato di autori come Vittorio Sella?
F.M: Molti fotografi contemporanei – se non tutti – si riferiscono a Vittorio Sella come pioniere e maestro della fotografia di montagna. Ishikawa non è esente dal fascino esercitato dal fotografo biellese vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, per quanto il secolo che intercorre tra Sella e Ishikawa ha narrato molto delle montagne di tutto il pianeta. Credo che rispetto ad altri fotografi moderni e contemporanei, Ishikawa sia uno fra i pochi che meglio riprendono quel tipo di approccio curioso ma al tempo stesso scientifico che portò Sella nel Caucaso, Karakorum, Ruwenzori o in Sikkim, immortalando sulle lastre le montagne come le genti che via via incontrava durante il viaggio.
Vette di Luce
- A cura di Filippo Maggia e M. Cristina Rodeschini
- Accademia Carrara Bergamo, piazza Giacomo Carrara, 82 – Bergamo
- dal 23 giugno al 3 settembre 2023
- lunedì, mercoledì e giovedì, 10-19; martedì, 10-13; venerdì, sabato e domenica, 10-20
- intero 15 euro, ridotto 13 euro
- lacarrara.it