Per Valentina Tamborra il confine non è una sterile linea di separazione, ma un fertile punto d’incontro. Lei, che nelle frontiere vede solo l’opportunità di conoscere nuovi luoghi, nuove culture e nuove persone, attraversa con agio anche il confine fittizio tra immagini e parole e racconta il suo mondo con un linguaggio ibrido fatto di fotografie e scrittura.
Lo scorso ottobre la giornalista e fotografa milanese ha visto una selezione dei suoi lavori pubblicata sulle pagine del progetto editoriale di Fujifilm Women4Inclusion, in occasione del Global Diversity Awareness Month, il mese dedicato alla consapevolezza della diversità.
Gli scatti della Fujifilm Ambassador, da sempre impegnata nella celebrazione della diversità, sono disseminati tra le centonovantuno pagine del magazine, a illustrare storie che dimostrano come le differenze possano arricchire le persone e le comunità di cui esse fanno parte.
Valentina Tamborra: il primo confine
I primi scatti firmati Tamborra si incontrano dopo il sommario del fascicolo virtuale, accompagnati da un testo che si apre come riportato di seguito:
“Vengo da un solitario paese di montagna, il mio primo confine è stato una roccia; era lì, in mezzo al bosco, a dividere la Slovenia dall’Italia. Un piede da una parte, uno dall’altra ed eri in due Paesi, la stessa persona. Tutta intera, nessuna divisione.
Fin da bambina ho imparato la dualità e l’identità fluida. Mi sembrava normale sentire parlare sloveno e italiano, mangiare la Gubana – un dolce tipico friulano – come merenda insieme alla Snite – il dolce sloveno.
Crescendo, ho imparato che l’identità è un argomento difficile, che gli esseri umani hanno bisogno di etichette e che le etichette aiutano a ‘identificare’, a confinare e persino a controllare. I confini possono diventare muri invalicabili, così alti da far perdere la ragione, così spessi da non riuscire nemmeno a immaginare cosa o chi ci sia dall’altra parte. Il controllo e la paura sono usati come strumenti di potere, un modo per zittire le persone, per dominare”.
Fotografia impegnata
Valentina Tamborra fotografa per combattere i pregiudizi e dare voce e dignità proprio a chi vive ai confini, in senso ampio e non solo geografico. Lo fa viaggiando per il mondo, dall’Africa all’Artico, dal Medio Oriente all’Italia, facendosi raccontare storie che ascolta con partecipazione per poi farne l’oggetto del suo reportage onesto. “Il reportage – sostiene Tamborra – è il genere fotografico più collettivo; è impossibile fare qualcosa senza gli altri. Senza gli altri noi fotoreporter non esistiamo”.
Incontro con il popolo sami
Nel 2024 la reporter ha pubblicato due libri: Incontri al confine e I nascosti. A quest’ultimo progetto appartengono molte delle fotografie inserite in questo articolo, scatti che ritraggono la popolazione nomade dei sami, con cui la fotografa ha vissuto a più riprese a stretto contatto, per conoscerne l’identità.
Negli spazi immensi della tundra artica, dove ha avuto la sensazione di poter toccare il cielo alzando un braccio, Tamborra si è adeguata ai ritmi della transumanza, ha ascoltato le storie scaturite da un’antica religione animista, ha condiviso la tavola con uomini laboriosi e donne che non si sottraggono alle attività più pesanti, si è sporcata di sangue in un recinto, scattando fotografie nel delirio della marchiatura delle renne.
In mezzo ai sami la fotografa ha preso nota di una storia culturale complessa e dolorosa, segnata dai continui tentativi di assimilazione da parte dei popoli scandinavi e dalla cosiddetta fase della norvegesizzazione.
Additati da sempre come razza inferiore, anormale e destinata all’estinzione, i sami sono stati a lungo chiamati lapponi. L’origine del termine è da ricondurre alla parola lapp, cioè toppa in svedese e ne svela la natura dispregiativa, volta a identificare i sami come persone rozze, povere e ignoranti.
In reazione alla pressione della discriminazione, tra il 1800 e il 1900 molti sami svilupparono un rifiuto verso la loro stessa cultura e finirono per negare la propria etnia. Furono necessari decenni perché lo Stato norvegese riconoscesse l’ingiustizia della politica di norvegesizzazione e la comunità sami potesse ritrovare un orgoglio identitario.
Oggi i sami sono fieri delle loro origini, indossano abiti tradizionali, studiano la lingua sami e organizzano festival per affermare la loro identità.
Valentina Tamborra li ha osservati e ha preso atto, ancora una volta, di quanto spesso sia sottostimato il valore della differenza. Ha superato un confine, ha rispettato ciò che si è trovata davanti agli occhi, ha scattato fotografie e ha pubblicato un libro che ricorda al mondo l’inadeguatezza della discriminazione.
Ulteriori informazioni sul lavoro di Valentina Tamborra sono disponibili sul suo sito valentinatamborra.com.
Bio e contatti
Valentina Tamborra collabora con alcune fra le principali ONG e con Enti nazionali e internazionali come AMREF, Medici Senza Frontiere, Albero della vita, Emergenza Sorrisi e Croce Rossa Italiana.
Ha pubblicato su testate nazionali come il Corriere della Sera, La Stampa, Repubblica, il Manifesto, La Lettura, Famiglia Cristiana, Gioia; i suoi progetti sono stati oggetto di mostre a Milano, Venezia, Roma e Napoli e ha partecipato come ospite a diverse interviste radiofoniche e televisive.
Docente di fotografia presso l’Istituto Italiano di Fotografia, a Milano, Tamborra ha realizzato e realizza workshop e conferenze in prestigiosi istituti italiani quali NABA (Nuova Accademia di Belle Arti, Milano) e IED (Istituto Europeo Di Design) e ha sviluppato progetti con enti del turismo e ambasciate.
Nell’Aprile 2018, in occasione del Photofestival di Milano, ha vinto il Premio AIF Nuova Fotografia.
Nel 2024 ha pubblicato con minimum fax il volume fotografico e narrativo I Nascosti.
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