La Commissione Europea interviene di nuovo sul tema fake news (lo aveva già fatto nel 2018) e rivede, rafforzandolo, il Codice di Condotta sulla Disinformazione. Il Codice è sostanzialmente un accordo operativo rivolto soprattutto alle grandi piattaforme della rete, ed è stato già sottoscritto da Google, Meta, Microsoft, Twitter e TikTok, oltre che da varie tech company di dimensioni inferiori che operano nella pubblicità e nel fact checking; Apple, invece, spicca fra i giganti che non hanno aderito. Rispetto al passato, ora il Codice mira a coinvolgere una maggiore quantità di attori, prevede regole più stringenti e introduce la possibilità di limitare i finanziamenti (specie se derivanti dagli introiti pubblicitari) a chi diffonde disinformazione; nel mirino della Commissione pure falsi account, bot e deep fake, ragion per cui è incentivata l’attività dei verificatori “certificati”, dei quali si vorrebbe peraltro garantire la presenza in tutti gli Stati membri. Completano il quadro una serie di strumenti volti a facilitare l’individuazione dei contenuti a rischio da parte del pubblico, e la previsione di una task force indipendente affiancata da un Centro per la trasparenza per verificare l’efficacia del Codice stesso. Tutto ciò non dovrebbe, in teoria, toccare l’attività giornalistica, che già impone quell’obbligo di verifica sufficiente a tagliare le gambe alle fake news. Le quali, sia chiaro, esistono da sempre (e sulla loro ragion d’essere si potrebbe discutere all’infinito), solo che oggi sfruttano tecnologie che ne amplificano la potenza diffusiva, rendendole “utili” come mai in passato.