Sebastião Salgado emoziona con le immagini, ma anche con le parole non scherza. Dategli qualche minuto e un pubblico al quale raccontare le sue esperienze e il suo discorso saprà magnetizzare la platea, proprio come fanno le sue magistrali esposizioni fotografiche. Chiude gli occhi, modula la voce, aumenta il ritmo, si accompagna con una gestualità coinvolgente.
Il 18 aprile lo abbiamo ascoltato dal vivo a Londra, due volte nello stesso giorno, in occasione della premiazione dei Sony World Photography Awards 2024 e della sua nomina a Outstanding Contribution to Photography.
È stato un viaggio nel tempo, nello spazio, nell’intimità di un uomo, nel suo rapporto viscerale col mondo e nel suo percorso di crescita e cambiamento, nutrito dal portentoso legame con la compagna di una vita: Lélia Wanick Salgado.
Con lei, su una barchetta ferma in mezzo al Serpentine Lake di Hyde Park (Londra), all’inizio degli anni Settanta, una delle più grandi promesse della fotografia del XX e XXI secolo accarezzava la folle idea di rifiutare una irrifiutabile proposta di lavoro per la World Bank – al tempo una delle massime aspirazioni per un economista come Salgado – per iniziare a vivere di sola fotografia.
La fotografia vinse e il resto è Storia, scritta intorno al mondo con la luce e un concerto di sfumature di grigio, perché “la fotografia a colori”, per dirla con le sue parole, “non fa per lui”. “Ho realizzato molti commissionati a colori a inizio anni ’80”, ha spiegato, “quando nessuna rivista pubblicava in bianco e nero, perché l’offset della stampa pubblicitaria imponeva l’uso del colore. A me sembrava di non prestare la giusta attenzione alla personalità e alla dignità di chi fotografavo”.
Sebastião Salgado: “i veri fotografi sono pochi”
Nei suoi racconti londinesi Salgado ha messo sul tavolo la ricetta della sua impeccabile pratica fotografica. Tanto, chi saprebbe rubargliela? La sua competenza trasversale in economia, sociologia, antropologia, ecologia – oltreché fotografia, ça va sans dire – lo hanno reso uno dei fotografi più inimitabili al mondo e di questo Salgado ha piena consapevolezza.
“Oggi tutti possiamo scattare fotografie”, ha detto durante il suo discorso, “ma i veri fotografi sono pochi, forse lo stesso numero di venti o cinquant’anni fa. I fotografi sono una razza, un tipo di persona capace di usare una fotocamera come strumento per approcciare gli altri, capace di decidere se e quando scattare, di leggere in uno sguardo l’autorizzazione a procedere.
È come camminare su un coltello: bisogna essere in grado di avanzare mantenendo il giusto equilibrio, senza farsi male e senza sbilanciarsi da un lato o dall’altro”.
Salgado ha percorso la sua lama per quasi mezzo secolo, in equilibrio e al passo coi tempi, sempre profondamente connesso con il suo presente, e questo costante legame con l’attualità ha dettato, di volta in volta, la traccia dei suoi progetti fotografici. Pochi, a detta sua, i fotografi capaci di fare lo stesso, uno su tutti Gilles Peress. “Persino nella prestigiosa Agenzia Magnum”, ha dichiarato Salgado, “tanti sono stati i fotografi bravi, ma pochi hanno dimostrato di avere davvero consapevolezza della società di cui facevano parte. Gilles Peress lo ha fatto, ha sempre legato la sua fotografia al momento storico che viveva”.
Su questo principio fondamentale il fotografo brasiliano ha costruito la sua vita e la sua carriera, portando avanti progetti a lungo termine finalizzati a ritrarre la classe lavoratrice di tutto il mondo, le conseguenze della globalizzazione, i flussi migratori dei popoli erranti per il pianeta: decenni di studio e di immagini dedicate alle tematiche umanitarie, fino alla repentina interruzione provocata dall’amara esperienza del genocidio in Ruanda. “Fu durissimo assistere a quella realtà. Mi ammalai nel vedere tanta morte e tanta violenza. Precipitai nella depressione”, ha ricordato Salgado, “e fui attaccato dallo stafilococco. Ero deluso dalla mia stessa specie: per tanti anni avevo fotografato l’essere umano, ma davanti a quello scenario decisi di abbandonare completamente la fotografia”.
Instituto Terra: nuove radici per Sebastião Salgado
Ci sono voluti degli alberi per far sì che uno dei più solidi pilastri della fotografia e della cultura contemporanea ritrovasse la propria linfa vitale. In quel momento di impasse, infatti, i coniugi Salgado – tornati nella loro terra d’origine – hanno creato quello che è stato probabilmente il più grande progetto ambientale in Brasile, lanciandosi a capofitto in un piano di riforestazione proposto da Lélia e iniziato nel Minas Gerais nel 1998 con la fondazione dell’Instituto Terra.
Più di tre milioni di alberi sono stati piantati dall’inizio del progetto, 110.000 solo nel corso del primo anno. La nursery, che genera attualmente 500.000 alberi l’anno, punta a quadruplicare la produzione a partire dal 2025.
“Assistere alla rinascita della natura in una zona morta, completamente erosa, è stato rigenerante – queste le parole di Salgado – la vita è tornata anche in me. Insieme, Lélia ed io abbiamo scoperto di essere ecologisti, facendoci coinvolgere da un crescente movimento di cambiamento dell’opinione collettiva, di attenzione per il pianeta al quale tutti noi stavamo facendo del male”.
Amazônia, la portentosa esposizione che proprio in questo periodo sta facendo il giro d’Italia, mostra il contagioso entusiasmo con cui il fotografo si è rimesso in sella, motivato dall’istinto di protezione e conservazione del più importante patrimonio dell’umanità: la foresta amazzonica, che definisce il singolo laboratorio naturale più grande del pianeta.
Se avessimo avuto modo di fare una domanda a Salgado, a Londra, gli avremmo chiesto cosa potrebbe fare la fotografia contemporanea per migliorarsi, per far sì che la risposta attiva del pubblico rispetto alle tematiche umanitarie e ambientali cresca proporzionalmente all’inquantificabile moltitudine di progetti fotografici che trattano tali argomenti.
Non abbiamo potuto porre la domanda, ma di fatto è bastato ascoltare l’intero discorso di Salgado per portare a casa delle importanti risposte: oggi, come cinquant’anni fa, è fondamentale che il fotografo sia profondamente consapevole di ciò che vuole raccontare, che lo guardi da vicino e che spesso guardi da vicino anche il suo pubblico. È di grande ispirazione – per tutti – che chi scatta, in primis, compia azioni concrete per mostrare una delle vie percorribili verso il miglioramento, perché limitarsi a registrare i fatti con un clic non basta più, forse non è mai bastato.
Salgado, nei suoi decenni a passeggio su un coltello, ha sempre saputo essere concreto e mantenere il giusto equilibrio. La sua straordinaria sensibilità, a un certo punto, gli ha fatto lo sgambetto, ma su quella lama tagliente, con sua moglie, lui ha piantato degli alberi.
Più di quaranta immagini di Sebastião Salgado, selezionate dal fotografo stesso tra i suoi progetti più iconici, sono esposte alla Somerset House di Londra in occasione della mostra dei Sony World Photography Awards 2024, fino al 6 maggio 2024.
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