Fino al 25 giugno il MAN di Nuoro ospiterà la mostra twelve ee h s nine – Dolmen e Menhir in Sardegna di Olivo Barbieri, prodotta e organizzata dalla Fondazione Sardegna, a cura di Chiara Gatti e Marco Delogu. Sulle tracce dei megaliti sardi, il fotografo di Carpi rende visibile il dialogo tra il passato ancestrale dell’isola e la sua veste contemporanea. Ne abbiamo parlato con lui.
La sua mostra, esposta al MAN di Nuoro, ha un titolo molto curioso. A cosa rimanda?
“twelve ee h s nine”, è quanto rimane di leggibile sul grande quadrante a parete di un orologio. Il vero soggetto della mostra e del libro twelve ee h s nine – Dolmen e Menhir in Sardegna è il tempo.
Per questo progetto ha deciso di mappare le stratificazioni storiche della Sardegna, andando “alla ricerca” di particolari costruzioni megalitiche di età preistorica presenti sul territorio, i cosiddetti “dolmen” e i “menhir”. Perché questa scelta?
Negli anni ottanta ho fotografato estensivamente con una view camera 8×10 pollici i siti megalitici nel nord della Francia. Era poco prima che questi luoghi diventassero parchi tematici dove prendi un biglietto per accedere e ti trovi in un ambiente museale. Per rintracciarli allora mi servii di un libro, Guide de la Bretagne mystérieuse, grazie al quale era possibile trovare i megaliti tramite descrizioni simili alle antiche mappe: ‘dopo il primo albero prendi a destra, a venti metri dalla casa prendi a sinistra, sempre dritto verso la quercia’ etc.
Nel 2018 intrapresi un altro viaggio e li ri-fotografai con una camera digitale ad altissima definizione. Questi due progetti sono praticamente ancora inediti. Nel corso degli anni però pensai spesso al grande patrimonio megalitico sardo e mi sentivo un po’ a disagio per averlo trascurato. Nel 2021, finalmente, grazie a The Photo Solstice, progetto della Fondazione di Sardegna dedicato alla fotografia nel cuore della Barbagia, dove fui invitato per un talk grazie a Marco Delogu e a Franco Carta, il progetto twelve ee h s nine divenne possibile.
Sono passati, quindi, quasi quarant’anni dalla sua prima mappatura dei megaliti francesi. Oltre al paesaggio, che non è ovviamente lo stesso, ha notato delle differenze nel suo approccio alla loro rappresentazione?
Con questa ricerca come in una bolla spazio-temporale, ho pensato spesso alla linea di pietre che parte dall’Irlanda, attraversa la Bretagna, la Corsica, la Sardegna, la Puglia, la Spagna, il Portogallo fino alle coste dell’Algeria. Negli anni naturalmente molto è cambiato. Anche se i megaliti, forse grazie a equilibri instabili, non hanno perso identità. In Bretagna e in Sardegna ovviamente il paesaggio non è uguale. Però la somiglianza della superfice pietrosa non lineare e la presenza di vegetazione parlano la stessa lingua, solo con accenti diversi. Anche la luce è diversa ma di uguale forza. Ciò che veramente è cambiato sono le immagini, sono diventate più sottili e invisibili. Quasi non le vediamo più.
A proposito della luce, il suo uso ha un aspetto alquanto rilevante nella sua produzione e nel suo modo di ritrarre il paesaggio contemporaneo.
Nei primissimi anni ottanta ho conosciuto il fotografo tedesco Michael Schmidt che mi aveva colpito perché, almeno all’inizio della sua attività artistica, poi cambiò apoditticamente, sosteneva di fotografare in bianco e nero e sempre in assenza di luce solare diretta, senza ombre, per non creare gerarchie interpretative. Per lo stesso motivo, ma al contrario e a colori, fotografo soltanto quando il sole è forte e non è velato e possibilmente dalle dieci alle quindici, in estate e primavera. Cerco di restituire immagini assenti da evidenti patemi interpretativi, per poter metterle democraticamente in dialogo.
Non credo che la mia sia una vera mappatura del territorio, anche se ho cercato di rintracciare tutto il rintracciabile. Volevo soprattutto creare o ricucire un immaginario visivo grazie al quale poter poi costruire nuove immagini e pensieri. Un immaginario visivo, dei dolmen e menhir sardi e di quanto li circonda. Mi sono mosso seguendo i consigli e le indicazioni dell’archeologo professor Riccardo Cicilloni. Poi grazie al fondamentale aiuto del bravissimo amico fotografo Marco Loi, in tre viaggi, nell’arco di due anni, ho portato a termine le riprese. Abbiamo sfruttato tutte le possibilità, dai racconti di guide turistiche esperte a forbiti sistemi di geolocalizzazione. Percorrere più volte l’isola in lungo e in largo è stato un grande privilegio.
La sua documentazione non vuole essere una semplice raccolta di reperti archeologici; la contemporaneità del paesaggio antropizzato entra in dialogo con la storicità del luogo, con le sue origini antiche. È in questo dialogo che risiede la lettura del suo lavoro?
Non ho fatto una vera documentazione, le immagini che produco, anche nell’estrema chiarezza e lucidità, galleggiano nel dubbio. Navigavo a vista, scoprendo relazioni non esplicite ma percepibili, fra questi oggetti di resistenza millenari e il costruito nei secoli. Avevo sempre presente il fatto che a moltissimi a cui parlavo di questa mia ricerca, l’esistenza dei megaliti sardi fosse sconosciuta. Che anche a livello internazionale fossero poco noti e sempre non citati dalla stampa internazionale. L’archeologia nuragica, per estrema unicità, li ha messi in un cono d’ombra. Ho tentato, enumerandoli, di renderli visibili, nel loro contesto.
È più affascinato dalla conformazione strutturale di tali massi, dal modo di documentarli o dalla loro valenza spirituale e simbolica?
Su di me i megaliti hanno sempre esercitato una forte attrazione simbolica: tracce di un percorso che disegna la forma di un enigma e lo risolve? Non credo, come si sostiene, che siano luoghi di energia spirituale, o almeno non l’ho mai avvertita, anche se la loro presenza mi rasserena e a distanza di decenni cerco di rivederli. Forse sono lo specchio opaco nel quale vorremmo entrare, ma questa è un’altra storia.
Il vero significato di queste costruzioni megalitiche non è ancora risolto. Lei si è fatto un’idea?
Le civiltà megalitiche sono scomparse portando con sé i loro segreti. Dagli allineamenti di Carnac alla struttura circolare di Stonehenge, passando per i Moai dell’isola di Pasqua, sono tante le civiltà passate di cui non sappiamo molto. Anche la nostra civiltà sarà fra millenni piuttosto incomprensibile. Naturalmente non ho nessun pensiero attendibile sulla funzione dei megaliti. Mi basta considerarli come le prime architetture messe in equilibrio. Misteriose forme di resistenza. Alberi pietrificati.
Olivo Barbieri. Twelve ee h s nine – Dolmen e Menhir in Sardegna
- A cura di Marco Delogu e Chiara Gatti
- Museo MAN, via Sebastiano Satta, 27 – Nuoro
- dal 3 marzo al 25 giugno 2023
- martedì-domenica, 10-19
- ingresso gratuito
- museoman.it