Fotografo di fama internazionale, interessato ad una resa visiva dei cambiamenti climatici e del rapporto tra uomo e natura, Giulio Di Sturco ci racconta di due suoi progetti in corso: A New Era of Salt Extraction e Aerotropolis, che sarà esposto durante il festival International Month of Photojournalism di Padova da 26 maggio al 25 giugno 2023.
Nei tuoi lavori sei solito affrontare tematiche che toccano mondi futuri, possibili, nuovi rapporti tra l’uomo e la città, la tecnologia. È così anche per due lavori ancora in corso: Aerotropolis e A New Era of Salt Extraction…
L’idea è quella di esplorare i modi in cui vivremmo tra venti, trenta, quarant’anni. Il mio intento è quello di rendere immaginabile una situazione che non è ancora visibile in questo momento, micro cambiamenti che si stanno verificando ora ma che daranno i loro primi risultati evidenti in un futuro prossimo. Ad esempio Aerotropolis rappresenta l’idea delle nuove metropoli, metropoli del futuro, in cui l’aeroporto è al centro della città, attorno al quale si concentra tutto l’apparato urbano.
Da dove nasce questa idea?
In passato gli spostamenti erano regolati dall’uso delle navi o dei treni e le città sorgevano attorno al porto o alla stazione ferroviaria. Adesso che ci si sposta per lo più tramite gli aerei è normale pensare alla nascita di un tipo di città incentrata sull’aeroporto. L’idea cardine del mio progetto è rendere visibile la reazione umana a questa nuovo modo di abitare e vivere la città, e la conseguente alienazione che ne deriva.
Ma le foto di Aerotropolis documentano città già costruite in questo modo, già esistenti. Quali città hai documentato?
Ho documentato, ad esempio, New Songdo, in Sud Corea, a sud di Seul, la prima “aerotropolis” costruita dal nulla, facendo diventare terra ciò che prima era mare. Ma esistono anche “aerotropolis” più “organiche”, soprattutto in Europa, in cui l’aeroporto è stato naturalmente fagocitato dall’espansione urbanistica nel corso dei decenni. Ne è un esempio Amsterdam.
E sono realtà meno alienanti, queste, rispetto all’“aerotropolis” in Sud Corea?
Si forse leggermente, anche se poi tutti gli aeroporti che hanno la struttura della “città nella città” alienanti lo sono comunque.
New Songdo. La rapida espansione delle strutture commerciali collegate all’aeroporto sta rendendo i gateway aerei di oggi ancore dello sviluppo metropolitano del XXI secolo, in cui viaggiatori lontani e gente del posto possono condurre affari, scambiare conoscenze, fare acquisti, mangiare, dormire e divertirsi senza allontanarsi più di 15 minuti dall’aeroporto. Questa evoluzione funzionale e spaziale sta trasformando molti aeroporti cittadini in città aeroportuali.
Come vengono gestiti?
In Sud Corea, ad esempio, c’è un controllo molto serrato delle persone che entrano, ma anche di coloro che escono. Una rete di telecamere estesa a tutta la città, un’intranet che collega le abitazioni con i vari servizi come la scuola, l’ospedale. Da casa puoi, ad esempio, controllare se tuo figlio è a scuola.
Visioni distopiche che fanno pensare a molte produzioni letterarie e cinematografiche…
Assolutamente. A me, ad esempio, viene in mente Play Time, film del 1967, scritto, diretto e interpretato da Jacques Tati.
Singapore Gardens by the Bay, un parco naturale che si estende su 101 ettari di terra bonificata nel centro di Singapore. Singapore Changi Airport, più di 15.000 persone sono impiegate presso l’aeroporto, con un impatto economico di oltre $ 4,5 miliardi all’anno
Per quanto riguarda, invece, A New Era of Salt Extraction?
Anche questo progetto è legato alla concezione del futuro e al cambiamento climatico. Un report delle Nazioni Unite sostiene che il Mediterraneo è il posto con il tasso di riscaldamento più alto al mondo e in base a questi dati mostra delle proiezioni di vita, mostra come cambierebbero l’economia e la società. L’innalzamento delle temperature nel Mediterraneo ha comportato anche l’aumento della produzione di sale e la relativa estrazione. Mi sembrava interessante approfondire visivamente questa realtà e così è nato A New Era of Salt Extraction.
Come si struttura il progetto?
È diviso in più parti: la prima è focalizzata sulla produzione del sale, su come viene prodotto ora e su come veniva prodotto in passato; la seconda collega la produzione del sale al cambiamento ambientale; e la terza si concentra in particolar modo sul racconto visivo delle miniere del sale e delle saline.
La Sicilia ospita gli unici siti al mondo dove la produzione, l’estrazione e la lavorazione del sale avvengono interamente nel sottosuolo attraverso grandi reti di gallerie lunghe oltre 70Km. Il sale arriva sul mercato nel suo stato originale, “riemergendo” dall’oscurità dopo 6 milioni di anni. Si ritiene che la regione immagazzini riserve di sale naturale di 100 milioni di tonnellate. Attualmente in Sicilia sono presenti tre miniere di sale: Petralia, uno dei giacimenti di sale più ricchi d’Europa, Realmonte che è in grado di produrre circa 500 mila tonnellate di sale ogni anno – svolgendo un ruolo importante nell’economia locale – e Racalmuto che è diventato un importante centro minerario nel secolo scorso.
Come è nato questo lavoro?
È nato come una sovvenzione di Fujifilm, che mi ha dato i fondi per iniziare la ricerca. Ho iniziato documentando le miniere in Sicilia e le saline della Camargue, a sud di Arles, in Francia. In miniera vengono utilizzati esclusivamente macchinari, mentre nelle saline francesi il sale è raccolto ancora a mano, artigianalmente. Per me era importante mettere in relazione le differenze tra questi due modi di produrre ed estrarre il sale. Però devo dire che l’ambientazione distopica che ricerco, solitamente, nei miei lavori l’ho ritrovata maggiormente nelle miniere siciliane. Mi apparivano come delle realtà post apocalittiche e ne sono rimasto subito affascinato.
In A New Era of Salt Extraction la composizione dell’immagine e la luce che usi aiutano molto a ricreare la sensazione “post-apocalittica” che tu persegui nei tuoi lavori…
Io perseguo sicuramente una forte componente estetica nei miei lavori. Tutto è iniziato con il lavoro sul Gange, Ganga Ma, un’altra metafora per parlare dei problemi ambientali e del cambiamento climatico. Era un periodo in cui si parlava molto dell’inquinamento delle acque e la prima immagine simbolica di questo problema era la bottiglietta di plastica dispersa nel mare, un’immagine che secondo me era molto riduttiva. L’idea quindi di comporre un’immagine la cui “bellezza” estetica facesse avvicinare le persone e le sensibilizzasse alla causa era un elemento molto importante, ricreando in un qualche modo una nuova estetica dell’inquinamento. È da lì che è nata la mia visione, la stessa che caratterizza anche i miei lavori più recenti.
Però mentre la luce di Ganga Ma è una luce molto malinconica, quasi nostalgica, per Aerotropolis e A New Era of Salt Extraction utilizzi maggiormente un’illuminazione fredda…
È vero. Secondo me, non ha senso che un autore abbia uno stesso stile, che utilizzi una stessa luce e una stessa composizione per ogni suo lavoro. Dietro ad ogni mio progetto c’è una ricerca specifica. La luce fredda di Aerotropolis e A New Era of Salt Extraction è dovuta al senso di alienazione, di distacco e di spaesamento che volevo conferire ai progetti. In Aerotropolis non ci sono molti colori, ad esempio, per scelta sia stilistica che di composizione. È la luce che dà il colore alle cose, un colore sulle tonalità del grigio. Ma mentre per questo progetto ho lavorato anche in postproduzione per raggiungere la mia idea, per il lavoro sull’estrazione del sale il colore e la luce sono rimasti quelli originali.
Hai intenzione di postprodurre anche A New Era of Salt Extraction ?
Ci sto riflettendo. Va già bene così, ma non mi precludo altri ripensamenti.
Recentemente hai prodotto anche un documentario come regista: The Edge of Life. Hai mai pensato di usare il video anche per i due progetti di cui abbiamo parlato?
Sì, per quanto riguarda A New Era of Salt Extraction stiamo girando anche un video. Quell’ambiente, infatti, è perfetto per essere raccontato anche così. Non voglio farne un documentario, sarà piuttosto un video più artistico.
Ulteriori informazioni sul lavoro di Giulio Di Sturco e sull’IMP FESTIVAL – International Month of Potojournalism e dell’ sono disponibili sui rispettivi siti ufficiali: www.giuliodisturco.com e www.impfestival.com.