Venti anni fa il fotografo italiano Gabriele Basilico tornava a Beirut per continuare un reportage iniziato nel 1991. Un viaggio a cui ne sarebbero seguiti altri, fino al 2011, per cogliere e rappresentare al meglio il procedimento di rinascita della città in tutte le sue sfaccettature.
Per questioni di fondi, e soprattutto per la necessità di inseguire le notizie del momento, la produzione di un reportage non può occupare un fotografo per un periodo di tempo molto lungo, a meno che il progetto non sia un’iniziativa personale finanziata di tasca propria. Ormai appartiene al passato un’idea come quella del reportage collettivo commissionato dalla Farm Security Administration americana – quindi con soldi pubblici – a Dorothea Lange, Gordon Parks, Walker Evans, Jack Delano e colleghi.
Oggi tutto corre veloce e anche gli organi di informazione devono levare le tende non appena la notizia si raffredda e da un’altra parte ne comincia a bollire una nuova. Si confrontino per esempio i modi in cui vengono trattati la guerra in Ucraina, che essendo ancora in corso viene seguita senza interruzione, e il terremoto accaduto recentemente al confine tra Turchia e Siria, che essendosi consumato è già diventato materia di interesse per pochi.
Reportage lento e a più riprese
Eppure il reportage di lungo respiro, non necessariamente prodotto in un’unica sessione estesa ma magari anche in più capitoli distanziati nel tempo, offre al proprio autore possibilità che la caccia alle ‘breaking news’ non può concedergli. Permette di riflettere a sangue freddo, di costruire un rapporto personale con i testimoni degli eventi, di documentare gli stessi luoghi da diverse angolazioni e in differenti condizioni; in poche parole contribuisce a una storiografia fatta non solo di date ed eventi epocali ma anche di micronarrazioni e ampi racconti che superano il qui e ora degli eventi più salienti per contestualizzarli nel tempo e nello spazio.
Pertanto per un fotografo che non lavora chiuso nello studio è importante tornare sui propri passi, visitare a distanza di anni gli stessi paesaggi o affrontare con occhi diversi lo stesso tema. Come faceva Gabriele Basilico, della cui scomparsa prematura si celebra quest’anno il decimo anniversario.
Il fotografo milanese, classe 1944, pensava che la sua professione non fosse un viaggio in autostrada lungo una linea retta che toccava ogni luogo una volta sola, bensì la percorrenza di un sentiero di montagna che a ogni tornante gli permetteva di osservare lo stesso soggetto da un’angolazione diversa.
Intorno ai Ritorni a Beirut di Gabriele Basilico
Probabilmente Basilico non ebbe modo di rivedere tutti gli scorci urbani che documentò, ma molti sì. Sicuramente quelli della sua Milano, che fotografò in più occasioni e a cui dedicò uno dei suoi primi e più famosi libri, Milano Ritratti di Fabbriche (uscito per SugarCo nel 1981 e riproposto in edizione aggiornata da 24 Ore Cultura nel 2022). E certamente anche alcuni angoli di Beirut, in Libano, dove si recò quattro volte a distanze di tempo sempre più ravvicinate.
Nel 1991, quando fu invitato dalla Hariri Foundation e dalla scrittrice Dominique Erré a realizzare un reportage collettivo sulle distruzioni causate da quindici anni di guerra civile; nel 2003 su incarico del mensile Domus per documentare la ricostruzione della città; nel 2008 in occasione di una sua mostra personale nella capitale libanese; infine nel 2011 quando l’Hariri Foundation gli ripropose un reportage collettivo, questa volta sulla città già ricostruita.
Tra colore e bianco e nero, produsse un totale di circa 1.100 negativi in formato 10x12cm, una ventina di rullini in formato 6×9 cm e altrettanti in formato 6x8cm.
Il libro a cura di Giovanna Calvenzi
Una selezione di scatti è raccolta in un nuovo libro curato da Giovanna Calvenzi per Contrastobooks: si intitola Ritorni a Beirut ed è una summa di altre pubblicazioni uscite a partire dai primi anni Novanta. Le immagini sono accompagnate da riflessioni dello stesso Basilico e dai ricordi di coloro che lo accompagnarono nelle sue spedizioni, cui si aggiunge un’annotazione di Christian Caujolle, curatore di una mostra attualmente in corso a Tolosa. Ed è leggendo i testi e confrontando le foto che si scopre come il secondo viaggio fu molto più che un semplice ritorno.
Infatti Basilico non si limitò a produrre un reportage aggiuntivo al primo, ma camminò lungo le stesse strade che aveva già percorso e fotografò gli stessi scorci con le stesse inquadrature, in modo tale da realizzare un dittico ideale sulla relazione tra tempo e architettura. Vale anche la pena ricordare che nei primi due viaggi si concentrò su un’area ristrettissima del centro di Beirut, quella percorsa dalle linee di divisione delle fazioni in guerra e quindi maggiormente segnata dai combattimenti.
Come ricorda Fouad Elkoury, uno dei fotografi che parteciparono alla prima missione, “anche se il perimetro nel quale operavamo era il centro storico della città, tra Est e Ovest, eravamo come su di un’isola deserta. Bisogna immaginare una città fantasma popolata di edifici sventrati e di strade piene di buche dove regnava un silenzio assoluto, che la sera, al calare della notte, si trasformava in un silenzio agghiacciante”.
Solo con il terzo e il quarto viaggio Basilico si allontanò dal cuore della città, forse per gettare lo sguardo oltre un’epoca che tutti si auguravano fosse conclusa. Così, con un racconto per immagini durato vent’anni, regalò al mondo un sunto della storia recente di Beirut, partendo dal momento più drammatico per arrivare a quello in cui si intravedeva una speranza di rinascita.
Il volume che oggi raccoglie i quattro capitoli di quel racconto è di sicuro interesse sia per gli studiosi delle vicende politiche del Medio Oriente sia per i fotografi di architettura urbana. Inoltre a tutti i fotografi, indipendentemente dal genere che praticano, ricorda che ogni progetto può essere interrotto in qualsiasi istante ma può anche essere sviluppato nel corso di anni senza per questo precludersi la possibilità di lavorare ad altri lavori di pari importanza. Questo, in definitiva, insegna Gabriele Basilico: viaggiare significa dirigersi verso luoghi sconosciuti, ma anche ritornare in quelli già visitati per guardarli con occhi nuovi ed essere partecipi della loro storia.
Ritorni a Beirut è anche una mostra, attualmente esposta presso la Galerie le Château d’Eau di Tolosa (Francia) e visitabile fino al 14 maggio.
Titolo Ritorni a Beirut
Formato20x26cm
Immagini 100 a colori e in bianco e nero
Pagine 200
Lingua italiano e inglese
Prezzo 45 euro
Editore Contrasto