Dedicati agli intenditori che snobbano gli zoom, ecco gli obiettivi che puntano tutto sulla luminosità, spesso accompagnata da qualità ottica e costruttiva da riferimento. Hanno perlopiù focali comprese fra 24 e 135mm, massime aperture relative che tendono a f/1,0 e la capacità di regalare stacchi dei piani mozzafiato. E sono anche perfetti per fotografare in luce scarsa senza allungare troppo il tempo di posa o innalzare gli ISO.
I valori f/ rappresentano nient’altro che la quantità massima di luce che un obiettivo può proiettare verso il sensore della fotocamera. Più è basso il numero che segue il segno di frazione, maggiore è la quantità di luce che l’obiettivo lascia passare. Quando si sceglie un’ottica, la sua massima apertura relativa è un elemento talvolta decisivo: indica qual è il diaframma più aperto disponibile. Negli obiettivi cosiddetti superluminosi, il numero che segue il suddetto segno di frazione è vicino, pari o addirittura inferiore a 1. Per comodità potremmo porre il confine della categoria a f/1,4, e di lì andare verso gli f/1,2, gli f/1,0 o addirittura f/0,95 anche se, come vedremo, può essere ammessa qualche eccezione che… poi tale non è. Ma andiamo per ordine.
Gli obiettivi superluminosi hanno un perché
Sotto il profilo pratico, le ottiche di questo tipo permettono di fotografare in scarsa luce ambiente utilizzando tempi di scatto più veloci di quelli necessari con obiettivi meno “aperti”, e magari sensibilità ISO più basse. Ma con l’aumentare dell’apertura diminuisce – a parità di altre condizioni – la profondità di campo, ed ecco forse la principale ragione che assicura ai superluminosi tanti estimatori: se impiegati al diaframma massimo, permettono di ottenere un piano di fuoco sottilissimo. È quella che si chiama messa a fuoco selettiva, un effetto molto ricercato soprattutto nel ritratto, e che ha anche un corollario: l’evidente stacco dei piani consente di rendere “protagonisti” (ossia elementi compositivamente ed esteticamente utili alla riuscita di una fotografia) perfino i piani fuori fuoco, che nel caso degli ultraluminosi hanno, solitamente, un aspetto più gradevole rispetto a quanto accade con obiettivi più ordinari. Insomma, con un superluminoso utilizzato a tutta apertura potrete avere addirittura una visione sognante della realtà, riuscendo a tratteggiare il soggetto e al tempo stesso lasciando all’osservatore l’interpretazione dei piani fuori fuoco. Questo al netto di una capacità descrittiva della realtà che, sia chiaro, ai diaframmi medi resta la stessa di un’ottica di luminosità inferiore, quindi con un buon contrasto, uniformità di resa tra centro e bordi del fotogramma e aberrazioni cromatiche ben controllate. Nelle reflex, che hanno mirini ottici e non elettronici, le ottiche di grande apertura relativa offrono anche il non trascurabile vantaggio di facilitare la composizione e la messa a fuoco manuale, poiché la loro luminosità si riflette – logicamente – anche sull’immagine mostrata nel mirino. E questo, ancora una volta, è d’aiuto quando si fotografa in luce scarsa.
Gli anelli adattatori permettono abbinamenti fotocameraobiettivo altrimenti impossibili. Alcuni di questi però non si limitano a rendere meccanicamente e/o elettronicamente compatibili una fotocamera e un obiettivo nati per sistemi differenti, ma influiscono anche sulla qualità dell’immagine. Tra questi ultimi ce ne sono alcuni, a tutti gli effetti dei moltiplicatori di focale con fattore inferiore a 1, in grado di concentrare l’immagine proveniente dall’ottica su una superficie ridotta, aumentandone di conseguenza la luminosità. Ad esempio, il Matabones Speed Booster Ultra 0,71x consente di adattare un Canon EF 50mm f/1,4 a una mirrorless Sony con sensore APS-C trasformandolo in un 35,5mm f/1. Resta tuttavia da considerare che questi anelli “miracolosi” non sono otticamente neutri e provocano inevitabilmente un seppur minimo decadimento della qualità d’immagine.
Normale, mica tanto
Salvo alcune eccezioni (le vedremo in un box dedicato agli zoom autofocus), gli obiettivi superluminosi sono a focale fissa, a fuoco manuale e hanno di solito il diaframma di tipo stopdown, quindi sempre chiuso al valore impostato sulla ghiera. E soprattutto gravitano nell’orbita dei 50mm di focale. Ottenere una massima apertura relativa prossima a f/1 nei grandangolari o nei teleobiettivi è, sotto il profilo della progettazione, oltremodo complicato o antieconomico. E per certi versi è anche inutile, per i grandangolari, o controproducente, per i teleobiettivi. Con i primi, infatti, il rischio di mosso si riduce insieme alla lunghezza focale e non ha quindi molto senso progettare obiettivi dal costo esorbitante per risolvere un “non problema”. Nel campo delle focali lunghe, invece, esagerare con la luminosità porterebbe a oggetti non solo dal prezzo inavvicinabile, ma anche intrasportabili e assai poco maneggevoli: un 600mm f/2,8 avrebbe una lente frontale da oltre 20cm di diametro, facile immaginare le dimensioni e il peso del barilotto. In soldoni, a parità di taglia di sensore cui sono destinati, gli obiettivi con luminosità massime più elevate necessitano di lenti di diametro più grande e quindi più pesanti, che richiedono innanzitutto una meccanica adeguata. Inoltre, con le grandi aperture relative aumentano le aberrazioni, e dunque nasce la necessità di vetri speciali e di schemi ottici complessi, e questo in misura crescente quanto più ci si allontana dalla lunghezza focale normale.
Quello di superluminoso è dunque un concetto relativo, tutt’altro che numerico, da declinare esclusivamente in funzione della focale: possiamo considerare superluminosi i supergrandangolari con apertura f/1,8 (come il Sigma 14mm f/1,8) o f/1,4 (sono diversi i 24mm e i 28mm con questa luminosità), gli obiettivi grandangolari f/1,2 (esistono alcuni 35mm con tale apertura), le ottiche cosiddette normali con diaframma uguale o maggiore di f/1 (anche se, con un po’ di elasticità, possiamo includere i 50mm f/1,2), i mediotele da 85mm f/1,2, e su fino ai teleobiettivi (135mm e 200mm di focale) con luminosità f/1,8 e f/2. Sono le eccezioni – che poi tali non sono – cui accennavamo all’inizio di questo articolo.
Alcuni Costruttori si sono cimentati recentemente nella produzione di zoom autofocus superluminosi: è il caso di Sigma che, con i suoi Art 18-35mm f/1,8 DC HSM (805 euro) e Art 50-100mm f/1,8 DC HSM (1.061 euro), dedicati alle più diffuse reflex APS-C, assicura la copertura di tutte le focali comprese tra 27 e 150mm (equivalenti su full frame) con apertura costante di f/1,8 lungo l’intera escursione; ci auguriamo che i citati zoom vengano presto proposti anche in versione mirrorless. L’altro “super” zoom è il Canon RF 28-70mm L USM, questo destinato alle mirrorless full frame Eos R: grazie alla sua apertura f/2, anche qui costante nell’intero arco della zoomata, entra di diritto nella squadra dei superluminosi. Costa 3.430 euro.
Sfida senza regole
Fotografare con un’ottica a elevata luminosità implica di destreggiarsi con una messa a fuoco a dir poco selettiva, di saper valorizzare i piani fuori fuoco, di sfruttare a proprio vantaggio la loro resa spesso onirica e tutt’altro che didascalica a tutta apertura, di controllare il controluce. Sono competenze delle quali chi ambisce a diventare un bravo fotografo non può fare a meno, ma che è possibile iniziare ad acquisire fin da subito senza necessariamente spendere una fortuna. Alcuni produttori di ottiche universali come Laowa e 7Artisans, per esempio, propongono obiettivi esclusivi per luminosità a prezzi che partono da 250 euro o poco più. È chiaro che non sempre da questi “low cost” possiamo aspettarci prestazioni eccellenti a qualsiasi diaframma, ma teniamo presente che l’eccellenza ottica e costruttiva dei mostri sacri, come il più recente Nikon Z 58mm f/0,95 S Noct, può costare una fortuna (8.990 euro nel caso appena citato). Bisogna quindi sopperire alle mancanze con il “manico” e qualche trucchetto: un’ulteriore sfida molto stimolante… Tanto per fare un esempio, quasi tutti gli obiettivi di primo prezzo soffrono di aberrazioni cromatiche assiali (che si riducono solo ai diaframmi medi) impossibili da eliminare in postproduzione: scattare o convertire l’immagine in un bianconero evocativo di antiche tecniche di stampa è uno dei trucchi a cui possiamo ricorrere per mascherarle. Ci sono poi casi nei quali il problema è il controluce (che possiamo sfruttare creativamente nel ritratto), o magari una ghiera di messa a fuoco il cui arco di rotazione è così ristretto da renderne difficoltosa la regolazione fine, o così ampio da rendere l’operazione non propriamente rapida: in questi casi, come vedremo, il perfetto alleato del fotografo è il focus peaking, strumento di assistenza alla messa a fuoco del quale oramai tutte le moderne mirrorless sono dotate.
Un genere dopo l'altro
Per quanto nessuno ci vieti di utilizzare un grandangolare, un normale o un mediotele nella fotografia sportiva o nella macro, magari abbinato a un tubo di prolunga, ci sono generi fotografici come lo still life, il ritratto, la fotografia di paesaggio o il reportage, nei quali gli obiettivi in questione si rivelano intuitivi da utilizzare e danno il meglio.
Still life: muovere i primi passi
La tranquillità di uno studio fotografico o delle mura domestiche, e la staticità dei soggetti inanimati, configurano le condizioni ideali per cominciare a fare “amicizia” con un’ottica superluminosa. Questo perché nello still life la composizione della scena, la messa a fuoco manuale, i parametri di ripresa, l’illuminazione possono essere curati senza pressioni. In studio è anche più facile osservare alcune relazioni causa-effetto caratteristiche della fotografia: ad esempio come certi punti luminosi fuori fuoco possano passare dal somigliare a delle stelle ad assumere la forma di macchie di colore tendenzialmente circolari, passando da un diaframma tutto chiuso a uno tutto aperto. Alla stessa maniera è possibile analizzare la progressiva riduzione della profondità di campo all’aumentare dell’apertura del diaframma (sempre che questo sia stop-down, o che si disponga di una fotocamera che consente di chiuderlo all’effettivo valore impostato), oppure osservare la trasformazione di un oggetto posto di quinta e fotografato a tutta apertura anziché a diaframmi medi, medio-alti; è assai probabile che questo appaia come una macchia di colore di forma pressoché indefinita a tutta apertura, mentre sia ancora perfettamente riconoscibile realizzando uno scatto a f/4.
Il modo in cui un superluminoso utilizzato a tutta apertura è in grado di rappresentare gli elementi posti nei piani fuori fuoco ci suggerisce di curare questi ultimi con la stessa attenzione riservata al soggetto principale quando si realizza un’immagine di still life.
Il ritratto: gestire la profondità di campo e domare il controluce
Nel ritratto ambientato, come nei primi piani, inserire elementi di quinta opportunamente sfocati aiuta a indirizzare lo sguardo dello spettatore verso il soggetto principale. Chi scatta in controluce e non vuole preoccuparsi dei riflessi indesiderati può sfruttare a proprio vantaggio la comparsa di artefatti e la perdita di contrasto generale per realizzare immagini dall’atmosfera sognante.
Per creare atmosfere sognanti quando si realizza un ritratto con un obiettivo superluminoso è molto importante saper dosare la profondità di campo. Estenderla fin oltre il volto del soggetto significherebbe ottenere grossomodo l’effetto che avremmo con un’ottica di moderata luminosità, ma anche limitarla a pochi centimetri (utilizzando l’obiettivo a tutta apertura e fotografando dalla minima distanza di messa a fuoco) potrebbe rendere illeggibili i tratti di un volto e magari l’espressione: un errore molto comune in tal senso è fotografare soggetti posti di tre quarti senza estendere la messa a fuoco dall’occhio più vicino al fotografo fino a quello più lontano. In linea di massima, quindi, in un primo piano ben realizzato devono essere sempre ben nitide le zone del volto che vanno dalla punta del naso agli occhi, mentre possono apparire già discretamente sfocate le orecchie. Se scattiamo all’esterno possiamo poi sfruttare il controluce per isolare il nostro soggetto dallo sfondo, creandovi intorno un alone luminoso, ma occorrerà fare attenzione alla possibile formazione di riflessi interni all’ottica: a causa della loro struttura, difatti, i superluminosi (che sono realizzati con lenti particolarmente grandi e diverse superfici aria vetro) sono molto sensibili a questo fenomeno. I modelli più economici, per giunta, dispongono di trattamenti antiriflesso limitati a poche superfici se non a una sola. Mai come in questo caso, dunque, è prezioso il supporto del paraluce o di un elemento esterno con il quale schermare i raggi parassiti. Questo a meno che non si voglia sfruttare il calo di contrasto generale o le formazioni luminose generate dalla luce incidente per scopi creativi.
Paesaggio con obiettivi superluminosi: includere le quinte
Mentre le ottiche di moderata luminosità non possono essere impostate a valori di diaframma tanto elevati, quelle superluminose possono certamente lavorare ad aperture medie o basse; ossia quelle più utilizzate nella fotografia di paesaggio. Ai detti valori di apertura, tra l’altro, anche i superluminosi più economici sono in grado di restituire una qualità dell’immagine più che discreta (con aberrazioni cromatiche quasi nulle, uniforme resa tra centro e bordi e trascurabile caduta di luce ai bordi…) e possono essere quindi utilizzati senza particolari accorgimenti. Il bello del riprendere un paesaggio con un obiettivo superluminoso, però, è anche quello di farlo all’alba o al tramonto – quindi con poca luce e, in tal caso, a tutta apertura o quasi – senza necessariamente montare il treppiedi o innalzare oltremodo gli ISO (ma semplicemente aprendo il diaframma). Come nello still life, il nostro superluminoso potrebbe suggerirci di includere elementi di quinta accortamente sfocati per incorniciare in modo inusuale il soggetto principale del nostro scatto, scampando il rischio di cadere nell’abusato stile “cartolina”.
Fotografare di notte: sotto le stelle senza compromessi
Nella ripresa di cieli stellati, da praticare con la fotocamera su treppiede, la preferenza va alle focali grandangolari di maggiore apertura relativa, ossia quelle con le quali è possibile esporre più a lungo – mantenendo bassi gli ISO – senza che le stelle risultino mosse a causa del loro movimento relativo. Tenendo conto però che anche le ottiche più pregiate e costose, se sfruttate a tutta apertura, possono soffrire di difetti residui quali coma e astigmatismo, è importante che il nostro superluminoso sia in questo caso in grado di rendere al meglio già a tutta apertura o al massimo diaframmato di uno stop. È chiaro che nessuno vieta di fotografare con un obiettivo più economico a f/2 o f/2,8, ma la sensibilità ISO e il tempo di scatto vanno adeguati di conseguenza, portando in un caso a un maggior rumore e nell’altro a trasformare le stelle da punti a scie luminose.
Grandangolari e supergrandangolari di elevata luminosità permettono di fotografare con una certa soddisfazione anche sotto cieli stellati. I più raffinati permettono di catturare immagini di qualità anche a tutta apertura, mentre i modelli più economici per rendere al loro massimo hanno bisogno di lavorare a diaframmi più chiusi di almeno un paio di stop rispetto al valore di apertura massima.
Immagini spettacolari realizzate sotto le stelle dal fotografo Alberto Ghizzi Panizza.
Non il solito reportage
La maggior parte degli obiettivi superluminosi è a fuoco manuale, e se faremo pratica nell’utilizzarlo, acquisendo rapidità e precisione, saremo certamente in grado di realizzare immagini di reportage inconsuete. Con ciò ci riferiamo a fotografie che lasciano ampi margini di interpretazione all’osservatore perfino in questo genere di ripresa, normalmente scandito da immagini iperdescrittive. La sfida principale, dunque, è quella di riuscire a isolare il soggetto dallo sfondo mettendo a fuoco in manuale, chiaramente senza poter ricorrere alla tecnica dell’iperfocale che è applicabile solo con diaframmi medi o chiusi. Un espediente alternativo al tradizionale e antico metodo della prefocheggiatura (ossia mettere a fuoco sfruttando un punto di riferimento e scattare solo quando il soggetto si trova in corrispondenza di esso) è utilizzare il focus peaking: questo strumento di assistenza alla messa a fuoco integrato oramai in tutte le mirrorless segnala a monitor e a mirino – evidenziandole con un colore – le zone dell’immagine dove la fotocamera rileva il maggior contrasto; può essere regolato nella sensibilità e quindi impostato per segnalare in maniera molto rigorosa il punto dove cade la messa a fuoco, ma con molti obiettivi superluminosi, che a tutta apertura non hanno elevato contrasto, si corre il rischio di non scorgere la segnalazione della fotocamera. Meglio, quindi, aumentare la sensibilità del focus peaking, che sarebbe più corretto definire “tolleranza”: in tal modo avremo un’enfasi meno precisa delle zone a fuoco, che varrà comunque come valido aiuto per scatti estemporanei, in uno stile a metà via tra la street photography e il ritratto classico.