Luca Eberle non è solo un ottimo fotografo, ma anche un coinvolgente divulgatore. Ed è per questo che lasciamo campo libero al giovane ed eclettico ventisettenne della provincia di Varese. Ecco come descrive il suo approccio alla fauna costaricense e il perché di una scelta apparentemente difficile come la macrofotografia in notturna.
Nell’immaginario collettivo le foreste del Neotropico si presentano come luoghi incredibili dove l’incomparabile biodiversità permette al fotografo o all’appassionato di incontrare una moltitudine di soggetti, vicini e semplici da ritrarre, con condizioni di luce intriganti e creative. Purtroppo, niente è più lontano dalla realtà. Le foreste tropicali, infatti, appaiono molto più spesso come un impenetrabile muro verde le cui migliaia di specie vegetali crescono l’una sull’altra, dando l’impressione di occupare quasi ogni centimetro a disposizione.
La luce del sole penetra a fatica nella calotta verde e anche in pieno giorno l’indicatore degli ISO mostra 12800 anche a tutta apertura, se si vogliono rispettare i tempi di sicurezza. La fauna compare e scompare in una frazione di secondo: veloci aguti sfrecciano nel sottobosco mentre le scimmie ragno sembrano planare sui rami più alti. La messa a fuoco automatica non riesce ad agganciare i soggetti e anche gli uccelli più vicini diventano complessi da ritrarre. E le immagini sono sempre piene di rumore elettronico.
La fauna di minori dimensioni come anfibi, rettili e artropodi, presenta invece pattern e colori molto simili alla vegetazione circostante, rendendoli indistinguibili nel paesaggio durante il giorno.
E notte fu
Per tutti questi motivi preferisco scattare di notte.
In Costa Rica, quando il sole tramonta, suoni e odori cambiano drasticamente: le note pungenti di pecari iniziano a scemare mentre l’aroma di geosmina (quello che di solito chiamiamo “odore di pioggia”) si fa più intenso, anticipando le precipitazioni notturne. Il canto degli uccelli, invece, viene velocemente sostituito dall’incredibile vocabolario delle rane di vetro e dalle profonde vocalizzazioni dei rospi delle canne.
Di notte ci si muove solo con luce frontale, il cui stretto raggio permette di concentrare l’attenzione in piccole porzioni di piante o del terreno, rendendo così più semplice individuare i soggetti con una visione ad “occhio di bue”. I più comuni sono sicuramente rettili, anfibi e invertebrati, tutti di dimensioni ridotte e che necessitano talvolta di forti ingrandimenti per essere ritratti.
Cosa c'è nello zaino di Luca
Parto per il mio prima viaggio in Costa Rica con un Sigma 60-600mm, un Canon 24-70mm e tre ottiche Laowa a corredare la mia reflex digitale: il luminosissimo 12mm f/2.8, il potente 60mm macro 2:1 e il 15mm 1:1 macro. Utilizzo il primo per i paesaggi notturni e diurni, il secondo per gli ingrandimenti più spinti e il terzo per le macro ambientate, un genere che punta a ingrandire i soggetti più piccoli, allo stesso tempo inserendoli nel loro habitat grazie all’ampio angolo di campo.
Nella macro notturna l’illuminazione svolge una funzione chiave: alla luce continua del led ho sempre preferito il flash, quindi luce più intensa e istantanea, determinante se si vuole ottenere una buona profondità di campo e azzerare il rischio di mosso. Di solito utilizzo una coppia di flash Godox con relativi diffusori, montati su piccoli bracci articolati che mi permettono buone maneggevolezza e stabilità. In alternativa, un singolo flash dotato di un diffusore più grande per una luce laterale e orientata, posizionata “a mano” per ampliare le possibilità creative dello scatto.
Il primo “set”, quello del dorso dello scorpione, è perfetto per gli obiettivi macro di Laowa: i led dei flash illuminano la scena a sufficienza per focheggiare manualmente anche a diaframmi molto chiusi. Essendo obiettivi con diaframma stop-down, chiudere il diaframma significa dover osservare immagini poco luminose nel mirino della reflex. Per questo consiglio vivamente l’utilizzo del live view se lo si ha a disposizione. In caso contrario, anche se più macchinoso, potrebbe essere un’alternativa focheggiare a diaframmi aperti per poi chiudere al valore prescelto, cercando di non variare la distanza di ripresa.
Scelgo di utilizzare il 60mm 2:1 per l’ovvio potere d’ingrandimento e per l’angolo di campo più ampio rispetto al 100mm a cui ero abituato. L’ottica, sebbene richieda un maggiore avvicinamento al soggetto per ottenere lo stesso ingrandimento, regala punti di vista a dir poco interessanti e inusuali anche su specie iconiche e già fotografatissime, come la raganella dagli occhi rossi.
Con lo stesso obiettivo amo sperimentare anche con una fonte di luce unica, diffusa e orientata. La presenza di un solo flash dotato di luce pilota led rende più complesso lavorare a diaframmi più chiusi: anche in live view si fatica a focheggiare, ma con un po’ di pazienza si riesce ad agganciare l’occhio del soggetto. In questo caso, ovviamente, sarà necessaria la presenza di una seconda persona per orientare il flash poiché entrambe le mani saranno occupate a reggere la fotocamera e muovere la ghiera di messa a fuoco.
In assenza di compagni o di guide scelgo sempre l’opzione “doppio flash” sui bracci articolati per poter lavorare in autonomia mantenendo discrete possibilità creative. La pratica, come sempre, aiuta a ottimizzare i risultati e oggi il 60mm è senza dubbio l’obiettivo che uso di più in macrofotografia notturna. Utilizzo invece il 15mm sia per le fotografie di paesaggio che per le macro ambientate. Anche in quest’ultimo caso è quasi sempre necessario l’utilizzo di una coppia di flash per illuminare il primo piano, eliminare ombre dure e scattare anche in controluce.
La macro con il grandangolare da 15mm, i paesaggi con il 12mm
L’ampio angolo di campo regala prospettive interessanti non solo dal punto di vista fotografico, ma anche naturalistico: se infatti con la macro spinta possiamo godere dei dettagli di un piccolo soggetto, il più delle volte perdiamo l’ambiente circostante e di conseguenza l’habitat tipico della specie, un dettaglio non indifferente per chi è interessato anche alla sua ecologia. Per le macro ambientate di soggetti in movimento come rettili e anfibi solitamente preferisco avere a disposizione la messa a fuoco automatica ma qui, vista la scarsa mobilità della vita durante le ore notturne, focheggiare in manuale è assolutamente possibile.
Sebbene il 15mm risulti ottimo anche per i paesaggi, avendo a disposizione il 12mm decido di usare quello il più delle volte: l’ampia apertura di diaframma diventa una straordinaria alleata per la fotografia astronomica e tutte le sue faunistiche varianti.
Anche di giorno l’ampio angolo di campo e la ridotta distanza di messa a fuoco del 12mm aprono a interessanti prospettive, specialmente dove radici di mangrovie e di ficus si diramano nelle foreste settentrionali del Paese.
Quando l'umidità regna sovrana
Il viaggio mi porta dalle foreste secche del nord alle pluviali del sud del Costa Rica, passando rispettivamente da clima secco a frequenti precipitazioni durante l’intera giornata. Gli zoom sembrano soffrire di più la formazione di condensa ma tutti gli obiettivi di casa Laowa sembrano non temerla particolarmente. Faccio comunque sempre attenzione a coprire l’ottica specialmente durante gli acquazzoni per evitare un accumulo di umidità e una conseguente formazione di muffe sulle lenti esterne ed interne.
Se mancano i millimetri, ci sono prudenza ed esperienza
Le specie incontrate e fotografate sono moltissime, e la combinazione 15mm + 60mm mi permette di sperimentare quanto voglio e avere tutto ciò che mi serve, almeno per la macro. A volte sento la mancanza del 100mm per poter stare un po’ più lontano da specie più pericolose, ma grazie a un minimo di esperienza maturata e con le dovute precauzioni riesco a compensare la mancanza di qualche decina di millimetri.
Il viaggio si conclude con un portfolio ricco di incredibili e inaspettati incontri, non solo con la fauna selvatica ma con tante persone appassionate allo stesso modo di natura e impegnate nella salvaguardia e nella conservazione. Lascio a malincuore luoghi dove la natura è turismo ma anche un bene da proteggere, luoghi dove la fotografia diventa un potente strumento di comunicazione per proteggere anche le più piccole forme di vita che spesso passano inosservate.
Chi è Luca Eberle
Direttamente dal suo sito web preleviamo qualche elemento di una biografia particolarmente corposa, considerata la sua giovane età…
Nato nel 1996 a Saronno, si interessa fin da giovanissimo di natura e animali, dapprima collezionando vecchie enciclopedie e ritagli di giornale, per poi passare intere giornate allo zoo della sua città dove inizia a realizzare anche i primi scatti. Con i genitori viaggia moltissimo, visitando più di 20 Paesi prima di concludere le scuole superiori. A 17 anni si imbarca per un viaggio di volontariato naturalistico in Zambia con il progetto “Lion Encounter” nel Mosi-Oa-Tunya National Park e l’anno successivo è in Cina, presso il Bifengxia Panda Base, nel Sichuan. Laureato in Scienze dell’Ambiente e della Natura, collabora a diversi progetti di conservazione in Lombardia ed Emilia Romagna. Oggi lavora come naturalista e fotografo freelance organizzando seminari, workshop, realizzando reportage e progetti di conservazione, sia autonomamente che in collaborazione con enti e aziende.
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