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Home CULTURA INTERVISTE

Carlo Orsi fotografo: sguardi sul mondo, Milano nel cuore

La mostra “Miracoli a Milano. Carlo Orsi fotografo” è un’istantanea puntuale dell’affetto con cui il fotografo guardava tutti i volti della sua città natale, nonché una panoramica sull’intera produzione fotografica dell’autore.

Francesca Orsi di Francesca Orsi
27 Ottobre 2024
in INTERVISTE
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Carlo Orsi, Milano, 1965. Metropolitana in bianco e nero © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Milano, 1965. Metropolitana in bianco e nero © Archivio Carlo Orsi

Carlo Orsi era un fotografo eclettico, ma la sua carriera riserva un posto speciale al racconto della sua Milano. Dagli anni Sessanta in poi la sua macchina fotografica ha immortalato la città meneghina come scenario a cielo aperto, come contesto in cui carpire storie di qualunque genere, passando dalle questioni sociali come l’immigrazione a tematiche legate al cambiamento urbano e alle trasformazioni culturali.

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Come reporter delle maggiori riviste del periodo Orsi ha omaggiato la sua amata città, ma la mostra Miracoli a Milano.Carlo Orsi fotografo, in programma dal 31 ottobre al 2 febbraio 2025 a Palazzo Morando di Milano, non si sofferma unicamente su questa narrazione. L’esposizione, a cura di Giangiacomo Schiavi e Giorgio Terruzzi, si dedica infatti all’intera produzione dell’autore,  dalla ritrattistica, alla fotografia pubblicitaria, fino al ritorno al reportage, negli ultimi anni, per seguire alcune associazioni umanitarie in Tibet, Cina, Uganda, Bangladesh e Bolivia e raccontare il sentimento di sofferenza e speranza di quei luoghi.
Giorgio Terruzzi, testimone diretto dell’opera di Carlo Orsi, ci racconta la mostra e l’evoluzione del pensiero del grande fotografo nato a Brera. 

Carlo Orsi, Milano, 1999. Campagna Krizia © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Spotorno, 1989. Servizio per “Gioia” © Archivio Carlo Orsi

Sul rapporto con Milano, sulla narrazione della sua città di origine, Carlo Orsi ha incentrato gran parte della sua carriera. Ci racconta questo legame?

Carlo Orsi appartiene a quella generazione di fotografi abituati, sin dai primi capitoli del loro percorso, a fotografare tutto, dando luogo ad una produzione variegata: fotocronache, ritratti, foto pubblicitarie, moda, costume. Questo è dovuto soprattutto alla necessità di lavorare per mantenersi. Si consideri, poi, che il  contesto fotografico di quei tempi, dal punto di vista lavorativo, era ben più favorevole rispetto a ciò che accade oggi. Milano, nei primi anni Sessanta, in questo senso, era una sorta di miniera: era, infatti, l’editoria il riferimento primo per un giovane fotografo, contesto che fungeva anche da palestra per cercare di definire il proprio stile, la propria personalità sul campo.

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Carlo, poi, milanese nato a Brera, era affezionato e innamorato della sua città. Il fatto di percorrerla a caccia di storie e di scatti amplificò rapidamente sia la conoscenza, sia la curiosità nei confronti di un universo stracolmo di energie. Raccontò di immigrazione e grande industria, della trasformazione urbanistica ma anche sociale e culturale, con la presenza di una quantità di personalità rilevanti in diversi campi, dall’architettura al design, dall’arte alla musica, alla comicità. Per molti versi, quella fu un’epoca irripetibile e straordinariamente stimolante per Milano e per chi, come Orsi, mostrava disponibilità e apertura mentale.    

Carlo Orsi, Loredana Bertè, 1983 © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Loredana Bertè, 1983 © Archivio Carlo Orsi

Ai suoi esordi fu assistente di Ugo Mulas. Nelle immagini di Orsi si avverte, secondo lei, la sua influenza?

Intanto era simile il contesto di riferimento: Orsi, abitando in via Solferino, entrò subito in contatto con gli studenti dell’Accademia di Brera, dunque con una serie di interessi legati all’arte. Cosa che lo portò a frequentare il Bar Jamaica e dunque una quantità di artisti e di intellettuali che gravitavano lì. Non penso si possa parlare di un’influenza di Mulas nel suo stile fotografico, piuttosto nell’importanza del lavoro in camera oscura. Qui l’influenza di Mulas fu molto rilevante. Dedicarsi alla stampa fotografica significò, presto, per entrambi, determinare una precisa qualità dell’immagine. Sia Mulas, sia Orsi hanno sempre considerato questo aspetto fondamentale. Decisivi risultavano i neri e i grigi in fase di stampa e su questo fronte Orsi era pignolo, precisissimo.

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Carlo Orsi fu artefice di immagini iconiche, come quella del vigile vestito di bianco alla fermata “Duomo” della metropolitana, con la quale apriamo questo articolo. C’è qualche aneddoto particolare dietro a quella fotografia?

Si tratta di un’immagine realizzata per il libro su Milano del 1965, insieme con Giulia Pirelli, con un magnifico testo di Dino Buzzati, la grafica di quel fenomeno che è stato Giancarlo Iliprandi, per Bruno Alfieri Editore. Il volume è quasi introvabile oggi, ha un costo molto elevato nell’ambito del collezionismo. Carlo, a proposito di questo lavoro e a proposito della camera oscura, raccontava di aver esasperato volutamente i contrasti nelle stampe, proprio per cercare di offrire una visione di Milano particolare, per certi versi più aderente alla realtà, al clima che si respirava in città.

Carlo Orsi, Luciano Pavarotti, 1985 © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Milano, 2015. Senza ombrellone. Castello Sforzesco © Archivio Carlo Orsi

L’immagine che citi tu, in questo senso, contiene molti indizi precisi: la divisa elegantissima del protagonista, ad indicare una cifra urbana molto singolare e raffinata; la metropolitana come segno di una modernità conquistata; la pubblicità de La Rinascente, il grande magazzino che stava rivoluzionando la relazione con i beni di consumo anche per la borghesia milanese; la coppia di anziani che compare come una sorta di legame tra passato, presente e futuro. C’è tutto in quello scatto.

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La sua produzione è esclusivamente in bianco e nero per una conformazione allo stile dell’epoca? Oppure dietro a questa scelta c’era un pensiero estetico?

Entrambe le cose. Il bianco e nero determina una visione che appartiene soltanto alla fotografia e che differisce dallo sguardo sulla realtà. In aggiunta, le committenze di Orsi richiedevano spesso fotografie in bianco e nero, soprattutto i quotidiani. Carlo ha cominciato ad utilizzare il bianco e nero quasi naturalmente, in seguito è arrivata la sua visione, la percezione dello scatto, pensata in bianco e nero. Inoltre, come dicevo prima, il potere della stampa e della camera oscura per lui erano fondamentali. Credo si trattasse di un punto fisso della sua poetica, mai messo in discussione, se non per esigenze del committente. Il bianco e nero come ingrediente fondamentale di un’espressione.

Carlo Orsi, Milano, 2013. L’iniziazione. Pinacoteca di Brera © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Milano, 2013. L’iniziazione. Pinacoteca di Brera © Archivio Carlo Orsi

Abituato a raccontare la vita urbana di Milano, come si rapportò, invece, ai lavori in studio, sia per i ritratti che per le campagne pubblicitarie?

Carlo ha lavorato in diversi studi milanesi, soprattutto in quello di via Tortona. Essendo una persona simpatica, ospitale, votata alla convivialità, trattava lo studio come una casa nella quale accogliere, come ospiti, i soggetti dei suoi ritratti. Prima dello scatto condivideva con loro chiacchiere, cibo e vino. 

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Quel tempo passato insieme serviva a Carlo per cogliere, nel suo soggetto, la sua caratteristica peculiare e decidere, di conseguenza, come ritrarlo. Lo stesso accadeva quando si trattava d fotografare un artista nel suo ambiente, “invaso” amichevolmente da Orsi, rispettando un disordine consueto, uno spazio da interpretare.

Carlo Orsi, Milano, 1959. Madonnina velata, Piazza Duomo © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Milano, 1959. Madonnina velata, Piazza Duomo © Archivio Carlo Orsi

Talvolta la sessione si basava su un’idea pregressa, su un dettaglio, un oggetto, una postura che emergeva all’improvviso. L’informalità sul set veniva applicata da Carlo anche per i servizi dedicati alla pubblicità. Per lui era importante che le modelle e i modelli si muovessero con naturalezza e spontaneità. Se il servizio, invece, riguardava degli oggetti sceglieva spesso un contesto straniante nel quale posizionarli: le Dolomiti, il circo, l’architettura urbana, trattati come set.

Il suo pensiero fotografico andava ben oltre il suo essere autore di immagini. Fu infatti anche tra i fondatori della rivista Città, tesa a raccontare la città di Milano attraverso lo sguardo di grandi fotografi…

Città fu un’idea straordinaria, un giornale di grande formato, stampato, a regola d’arte da Meroni, su carta pregiata, per dare massimo risalto alle immagini, con un magnifico impianto grafico ideato da Gianfranco Pardi. Una sorta di atto d’amore nei confronti sia della fotografia, sia di Milano. 

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Carlo Orsi, Bandiera e cielo nuvoloso, 2005, San Francisco (Stati Uniti) © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Bandiera e cielo nuvoloso, 2005, San Francisco (Stati Uniti) © Archivio Carlo Orsi

Con Città hanno collaborato i più importanti fotografi italiani e non, una quantità di giornalisti e scrittori di talento. Con, sempre, un servizio in apertura firmato da Emilio Tadini che ‘leggeva’ insieme ad un fotografo le più importanti opere d’arte presenti a Milano. Città fu, sicuramente, un’indimentacabile avventura culturale per tutti noi, affrontata con una passione disinteressata e potente.

Carlo Orsi, Autoritratto allo specchio, 2007, White Sands National Park (Stati Uniti) © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Autoritratto allo specchio, 2007, White Sands National Park (Stati Uniti) © Archivio Carlo Orsi

Miracoli a Milano. Carlo Orsi fotografo

  • A cura di Giangiacomo Schiavi e Giorgio Terruzzi
  • Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, via Sant’Andrea, 6 – Milano
  • dal 31 ottobre 2024 al 2 febbraio 2025
  • mar-ven 10-19; sab-dom e festivi 10-20. Lunedì chiuso
  • intero 12 euro
  • miracoliamilano.it
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