Crescono i movimenti che in vari Paesi rivendicano il diritto universale alla riparazione dei dispositivi elettronici. Se da un lato prosperano siti che offrono guide gratuite ai fanatici del fai-da-te (per esempio ifixit.com), dall’altro si mira a eliminare l’esclusiva delle reti ufficiali: in questo senso, community quali repair.eu o repair.org sono arrivate a esercitare una vera e propria pressione politica, promuovendo il principio in base al quale riparare qualcosa equivale a rinviare il momento in cui la si dovrà smaltire. Insomma, l’idea ruota intorno al concetto di sostenibilità.
È un nuovo scenario nel quale casca casualmente a fagiolo il programma Self Service Repair Store (selfservicerepair.com), di recente avviato da Apple per rendere i suoi iPhone riparabili da chiunque e non solo dalla propria rete ufficiale. Il servizio, inizialmente riservato agli USA (ma l’Europa dovrebbe seguire a breve), permette di acquistare parti di ricambio allo stesso prezzo riservato ai punti d’assistenza della mela morsicata e, volendo, di noleggiare un kit di attrezzi per l’intervento; il sito predisposto da Apple mette pure a disposizione i manuali d’istruzione (la foto è presa da quello dell’iPhone 12 mini).
Orbene, non è detto che un normale cliente possegga le capacità tecniche per fare da solo risparmiando sulla manodopera, ma fra gli obiettivi della “liberalizzazione” di Cupertino potrebbe esserci quello di coinvolgere i riparatori professionali generici e promuovere l’uso dei ricambi originali. Nel frattempo, anche Samsung valuta l’ipotesi di un’iniziativa simile, e la stessa Apple anticipa che presto la estenderà ai computer. Difficile prevedere se l’esempio sarà seguito dai costruttori di prodotti strutturalmente più complessi, come per esempio gli apparecchi fotografici. Probabile, però, che si ingrossino le fila dei consumatori “esperti” interessati a dispositivi disegnati sin dall’origine per poter essere facilmente smontati: in tal caso, i progettisti dovranno adeguarsi.