Poco più che ventenne, il fotografo in erba Anders Petersen si addentrò in un locale popolato da un’umanità che avrebbe spaventato gran parte dei suoi coetanei. Lui invece decise di socializzare e iniziare una frequentazione che avrebbe portato alla pubblicazione di un libro di culto.
Ad alcuni fotografi – come ai cantanti, agli scrittori e a tutte le altre menti creative – capita di lavorare per parecchi decenni ma di continuare a essere ricordati per una sola opera. Un libro, un reportage o magari un singolo fotogramma che resta impresso nella memoria collettiva perché è un autentico capolavoro o perché si distingue da tutto il resto, occupando una nicchia nella storia della fotografia in cui non ci sarebbe spazio per nient’altro se non per emulazioni spurie. È quanto è successo allo svedese Anders Petersen. Autore di qualche decina di libri, fuori dalla sua patria è conosciuto soprattutto (se non esclusivamente) per il suo celeberrimo Cafè Lehmitz, originariamente pubblicato da Schirmer/Mosel nel 1978 e ora riproposto da Prestel.
Gli scatti raccolti nel libro sono l’affresco di un’umanità che sarebbe piaciuta a Brassaï, Lisette Model, Diane Arbus, Robert Doisneau. Esseri umani relegati ai margini della società civile, una corte dei miracoli che gravitava attorno al bancone di una bettola di Amburgo che si chiamava, appunto, Cafè Lehmitz. Personaggi da film, come si sarebbe detto una volta, o a cui potevano dare voce solo i cantautori da marciapiede come Lou Reed o Tom Waits. Quest’ultimo, infatti, ha scelto una foto dal libro di Petersen per illustrare la copertina di Rain Dogs, il suo LP del 1985.
Cafè Lehmitz nasce da una fotocamera lasciata sul tavolo
Nato nel 1944, Petersen frequentò il Cafè Lehmitz alla fine degli anni Sessanta. Una sera vi entrò per caso e quando tornò dal bagno si accorse che gli altri avventori del bar si erano impadroniti della macchina fotografica che aveva lasciato sopra a un tavolino e stavano facendo a turno per ritrarsi. Il giovane svedese, anziché prendersela, si unì a loro e in quel momento iniziò una collaborazione sui generis che durò circa un paio di anni. Petersen trascorreva le nottate in compagnia della fauna che frequentava il locale (talvolta anche registrandone su nastro le conversazioni), poi portava i negativi a Stoccolma per svilupparli e mostrarli in giro, quindi tornava ad Amburgo per un’altra immersione nella vita notturna del Lehmitz.
Le conversazioni registrate al Cafè Lehmitz trascritte nel’edizione Prestel del libro
La nuova edizione del libro, da affiancare nella propria libreria a Carnival Strippers di Susan Meiselas (1976) e Platteland di Roger Ballen (1994), è introdotta da Tom Waits e contiene una trascrizione delle conversazioni registrate da Petersen. Nelle pagine che precedono le immagini in bianco e nero si possono leggere le confessioni di uomini e donne di tutte le età, le loro aspirazioni e le loro disillusioni, i ricordi di amici morti prima del tempo o semplicemente svaniti nel nulla. Parole che salivano dallo strato più basso della società e che ancora oggi riecheggiano nei versi di Rain Dogs: “Abbiamo ballato e abbiamo inghiottito la notte/perché era abbastanza matura per sognare/oh, come abbiamo scacciato tutte le luci/con il nostro ballo/siamo sempre stati fuori di testa”.
Cafè Lehmitz
Titolo Cafè Lehmitz
Formato 21x24cm
Immagini 88
Pagine 120
Lingua inglese
Prezzo 44 euro
Editore prestelpublishing