Se per scattare una buona fotografia serve curarne l’inquadratura, per apprezzare davvero le opere dei grandi maestri bisogna inquadrarne il contesto storico e di produzione. Perché solo lo studio che va oltre i bordi delle immagini può salvarle dall’oblio e dalla fruizione superficiale.
Spesso i fotografi che in virtù del loro talento e delle loro sperimentazioni sono considerati dei classici vengono dati per scontati. Si riconosce loro il merito di avere stabilito un canone o di avere influenzato intere generazioni di colleghi più giovani ma, dato che non possono più produrre nuovi scatti, si pensa che di loro si sappia già tutto e che non serva dire più niente. Così, attorno alle opere di questi grandi autori vengono allestite mostre che raccolgono le “greatest hits”, sicuramente istruttive per i neofiti della fotografia ma non imperdibili per coloro che vi si sono già addentrati. Una delle tante vittime di queste dinamiche è Henri Cartier-Bresson (1908- 2004), capostipite dell’agenzia Magnum Photos, che stava all’obiettivo come Lester Young stava al sassofono: il suo strumento sembrava essere nato con lui, come se non fosse esistito prima della sua comparsa sulle scene, e nessuno dopo di lui avrebbe potuto prenderlo in mano senza confrontarsi con la sua musica.
L’inedito che stimola
Ciò nonostante non sarebbe intellettualmente onesto negare che molti “intenditori”, quando sentono pronunciare il nome del fotografo francese, non provano alcun entusiasmo. L’unico modo perché siano davvero in grado di accoglierlo con rinnovato interesse è scoprire qualcosa di inedito sulla sua vita o sulla sua opera. Un’occasione che non si presenta certo tutti i giorni, e proprio per questo il libro Henri Cartier-Bresson In Cina pubblicato da Contrasto non può lasciare indifferente nessuno. Infatti il volume, dietro il quale ci sono lo storico della fotografia Michel Frizot e il curatore Ying-lung Su, ripercorre un capitolo della biografia e della carriera del leggendario autore con una dovizia di particolari e aneddoti in cui si intersecano la storia del fotogiornalismo, dell’editoria specializzata, dell’agenzia Magnum Photos, della Cina, tutte storie con la ‘s’ maiuscola che quando vengono raccontate attraverso le immagini assumono una dimensione di umanità che spesso le sole parole non riescono a conferire.
Il libro è una sorta di estensione, nel tempo e nella consistenza, di un altro che Cartier-Bresson aveva pubblicato nel 1954 con l’editore Delpire, e che aveva intitolato D’une Chine à l’autre. Raccoglie due lavori molto articolati che il fotografo realizzò a cavallo tra il 1948 e il 1949 e nel 1958.
L'era di Mao
Tutto ebbe inizio quando la rivista americana Life, che all’epoca raggiungeva tirature fino a 5milioni di copie, lo contattò mentre era in Birmania con la moglie per commissionargli un reportage sulla ritirata del Kuomintang da Pechino alla vigilia dell’ingresso in città dell’Esercito di Liberazione Popolare di Mao Tse-tung, un momento decisivo nella guerra civile con cui i rivoluzionari sconfissero l’esercito nazionalista. Lo scopo dell’incarico era documentare la capitale prima che il nuovo ordine politico potesse alterarla cancellandone, si temeva in America, la storia e le tradizioni. E nessuno sembrava più adatto a portarlo a termine del fotografo francese, già noto anche nel nuovo mondo per la sua sensibilità e per l’attenzione alla vita della gente comune, alle vicende che si svolgevano in silenzio, a tutto ciò che veniva trascurato da chi era a caccia di sensazionalismo. Infatti il servizio, pubblicato sul numero di Life uscito il 3 gennaio 1949, ebbe un successo strepitoso e così Cartier-Bresson proseguì il suo lavoro in altre città, tra cui Shanghai e Nanchino.
Dentro la vita
Nelle sue inquadrature entrarono la vita di strada, le sale da tè, il mercato nero, le cerimonie religiose e civili, le prime parate del nascituro regime, la corsa all’acquisto dell’oro per scampare al tracollo finanziario, il benessere e la miseria. L’unico tassello di quella svolta epocale che non riuscì a cogliere appieno come avrebbe voluto, furono le operazioni militari e la vita di campo delle truppe rivoluzionarie. Questo perché Cartier-Bresson non ottenne mai il permesso di penetrare in profondità nelle zone che esse controllavano, né tantomeno quello per avvicinarsi ai loro leader. Forse fu anche per questo che nel 1958 volle tornare in Cina per documentarne il nuovo corso storico. Tra l’altro il momento non poteva essere più azzeccato: proprio in quell’anno il Paese veniva lanciato in quel grande balzo in avanti che avrebbe dovuto modernizzarlo grazie a una serie di riforme economiche, agricole e industriali. Infatti, nelle immagini di quel reportage finirono soprattutto l’operosità collettiva e il culto del lavoro imbevuti della propaganda di partito.
Fu quasi completamente assente la ricerca di storia e tradizione che era stata all’origine del viaggio del 1948-1949, mentre l’obiettivo inquadrava gli sforzi di un popolo teso verso un futuro che sarebbe giunto con qualche decennio di ritardo rispetto alle aspettative. A questo progetto, il fotografo dedicò “solo” quattro mesi, per cui risulta meno sostanzioso del precedente. Ma nel volume che raccoglie entrambi i lavori, questi vengono analizzati e contestualizzati attraverso una cronologia dettagliata, con le riproduzioni delle pagine di alcune riviste che li pubblicarono all’epoca, i provini a contatto, gli appunti e le lettere dell’autore. Le immagini sono quindi corredate da una tale completezza di informazioni che il volume non solo è destinato a diventare fondamentale per chiunque voglia studiare l’opera dell’autore francese, ma riesce ad appassionare anche coloro che pensano di conoscere Henri Cartier-Bresson già in modo più che approfondito.

Titolo Henri Cartier-Bresson. In Cina
Illustrazioni 130
Pagine 288
Prezzo 69 euro
Editore Contrasto, 2019