Quella della nitidezza delle immagini sembra essere un'ossessione che resiste in una nutrita riserva di ostinati fotoamatori, malgrado il progresso tecnologico consenta oggi di ottenere immagini uniformemente nitide perfino da apparecchi entry-level e usando i vituperati "obiettivi da kit". Anche chi si accapiglia in discussioni sui forum su una cosa sembra essere d'accordo: la caratteristica regina di un'ottica è la sua nitidezza!
Alla base di tutto questo fenomeno c’è la diffusa convinzione che l’equazione foto professionale uguale foto tecnicamente perfetta abbia poche o nulle eccezioni e che niente come una nitidezza da record possa avvicinare a tale risultato. Al radicamento di questa convinzione hanno contribuito sia i produttori di obiettivi, che sanno bene quanto potente sia la sirena della nitidezza nell’orientare gli acquisti, sia alcuni settori, come la fotografia di moda, in cui l’esigenza di scatenare l’effetto Wow nell’osservatore spinge i magazine a proporre immagini dalla nitidezza surreale.
Ansel Adams: ben a fuoco anche le idee
Una celebre frase di Ansel Adams, fotografo citato in tutte le scuole di fotografia per il suo celeberrimo sistema zonale di controllo dell’esposizione, recita: “Non c’è niente di peggio di un’immagine nitida di un concetto sfuocato”. Adams pronunciò questo aforisma in un’intervista del 1972, ma la nitidezza era argomento divisivo già molto tempo prima, almeno da quando, a metà del XIX° secolo, si affermò la corrente del pittorialismo fotografico che considerava essenziale che la fotografia abbandonasse quanto più possibile nitidezza e realismo perché considerati di ostacolo per far accettare la fotografia come forma d’arte figurativa alla pari con quelle classiche.
C’è però da riconoscere che a dispetto del suo caustico aforisma, Ansel Adams, oltre ad avere a fuoco i concetti, aveva anche una padronanza tecnica superlativa che gli consentiva di ottenere nelle sue immagini un livello di dettaglio che risulta notevole anche per gli standard attuali.
Ce lo conferma il fatto che da una delle sue più celebri immagini, The Tetons and the Snake River, scattata nel 1942 e inserita da Life tra le cento fotografie più importanti di tutte le epoche, Adams stesso, nel 1960, ricavò una stampa di circa 100×130 centimetri. Sessanta anni dopo, quella stessa stampa è stata battuta in una asta di Sotheby’s e aggiudicata per quasi un milione di dollari.
Per ottenere quel livello di dettaglio e superare le limitazioni dei mezzi tecnici di allora, Adams utilizzava prevalentemente fotocamere di grande formato, tipicamente delle 8×10”. Ma nella sua lunga vita fotografica utilizzò anche altri apparecchi e formati, tra cui una medio formato Hasselblad, come testimonia una delle ultime immagini in cui il fotografo appare ritratto.
E proprio il medio formato, dopo un periodo di disaffezione che ha coinciso con la prima fase di avvento della fotografia digitale, grazie anche alla eccezionale risoluzione garantita dagli attuali sensori, è tornato a essere ricercato dai molti cultori della nitidezza e del dettaglio elevati ai massimi livelli.
PDC, Bokeh e Nitidezza: una triade eccezionale su medioformato
È sbagliato, però, pensare al medio formato come il punto di arrivo per chi è alla ricerca della massima nitidezza. Anzi, sono ben altre le sue caratteristiche distintive. Col crescere delle dimensioni del sensore o del supporto sensibile, infatti, si va via via riducendo la profondità di campo dell’immagine (a parità di altri fattori) e questa caratteristica si traduce in immagini con una maggiore tridimensionalità e nella possibilità di isolare maggiormente il soggetto dallo sfondo, situazione particolarmente ricercata nella ritrattistica al punto che alcuni fotografi ne hanno fatto la loro cifra stilistica, esasperando l’effetto tramite l’utilizzo di apparecchi di grande formato per i loro ritratti.
PDC, Bokeh e Nitidezza: soluzioni alternative per sensori di piccola taglia
Questo è anche il motivo per cui nei moduli fotografici degli smartphone è spesso presente una unità ottica che ha come unico scopo quello di fornire informazioni per tentare di ricreare algoritmicamente quel ritratto sfocato che gli obiettivi e i sensori utilizzati dagli smartphone non sarebbero mai in grado di riprodurre otticamente, a causa dei limiti fisici connessi con le loro dimensioni.
Ma anche nei formati digitali più tradizionali, l’esigenza di uno sfocato che valorizzi un ritratto e contribuisca a ricreare un’atmosfera onirica si è andata via via facendo più diffusa, spingendo l’industria ad aguzzare la fantasia per proporre soluzioni. Come è accaduto con il progetto Petzval, originariamente finanziato tramite una campagna Kickstarter, che ha prodotto un’intera linea di nuovi obiettivi, tutti basati su uno schema ottico del XIX secolo, caratterizzati da uno sfocato caratteristico detto Swirl Bokeh.
Risulta quasi superfluo segnalare che il revival delle ottiche Petzval ha dato origine a innumerevoli imitazioni algoritmiche sotto forma di filtri Instagram e Photoshop dedicati a chi vuole sperimentare l’effetto senza sobbarcarsi la spesa e l’impegno di una nuova ottica.
Il non-nitido funziona? Risponde Henri Cartier-Bresson
Dieci anni esatti prima che Adams immortalasse l’immagine “the Tetons and the Snake River“, un altro mostro sacro della fotografia, Henri Cartier-Bresson, scattava un’altra immagine destinata a diventare iconica, intitolata Hyères, France. Confrontata con la foto di Adams, così ricca di dettagli e uniformemente a fuoco, qui siamo di fronte alla situazione opposta: non solo nell’immagine il soggetto principale – l’uomo sulla bici – appare mosso, ma tutta la foto presenta una nitidezza non proprio ottimale, anche se probabilmente in linea con quella che si poteva ottenere con le ottiche e il materiale sensibile disponibile all’epoca in cui fu scattata.
L’esperimento su Flickr: tutti contro Bresson
Ma come sarebbe stata giudicata questa foto dagli agguerriti supporter della nitidezza a tutti i costi? È l’esperimento che tentò nel 2005 un utente di Flickr sottoponendo la foto Hyères, France, spacciandola per sua, al gruppo Flickr “Delete me” nel quale i partecipanti dovevano valutare le foto proposte e scegliere quale scartare. Quale fu l’esito, potete immaginarlo facilmente ma se siete curiosi, siete ancora in tempo per leggere quali giudizi sprezzanti fioccarono. Come avrebbe commentato l’episodio Henri Cartier-Bresson? Non possiamo ovviamente saperlo ma ci piace pensare che avrebbe usato la stessa frase detta qualche anno prima a Helmut Newton commentando le foto mosse che lo stesso Henri Cartier-Bresson, ormai molto anziano e con la presa non più così ferma, aveva scattato al secondo in occasione di un incontro organizzato da Vanity Fair tra fotografi ultraottantenni: “la nitidezza è un concetto borghese”.
La fotografia, oggi: contro la nitidezza per affermare la realtà
Nel 2005, Facebook e Flickr avevano appena festeggiato il loro primo anno di vita, l’iphone e Instagram erano di là da venire e non era ancora scoppiata la seconda rivoluzione digitale che avrebbe dato origine al vertiginoso flusso iconico di immagini a cui siamo sottoposti oggi – contemporaneamente come produttori e fruitori – e che ha modificato in maniera radicale il rapporto dell’immagine fotografica con lo spazio, il tempo, la memoria ma soprattutto con il reale. L’avvento dell’intelligenza artificiale ha, infatti, definitivamente tolto di mezzo l’idea che l’immagine fotografica, anche se manipolabile, dovesse avere origine dalla rappresentazione di un frammento di realtà fissato dalla luce, determinando il paradosso per cui tanto più oggi un’immagine è tecnicamente ed esteticamente perfetta, tanto più farà dubitare della sua genuinità. Questa diffidenza, unita alla sempre più pressante necessità di sfuggire agli stimoli visivi a cui siamo continuamente sottoposti, sta spingendo progressivamente verso l’esplorazione di immagini dalle forme indefinite, dai dettagli sfocati, nelle quali il contenuto informativo va via via sparendo in favore di una astrazione che stimola domande più che esporre tesi e, così facendo, riesce a far scorgere una rappresentazione più veritiera del mondo e di noi stessi.
LifeWorld: Olafur Eliasson “sfoca” le piazze più famose del mondo
E proprio questa “sfocatura intenzionale” è alla base dell’opera realizzata dall’artista danese Olafur Eliasson intitolata LifeWorld e installata nelle piazze di alcune metropoli, tra cui Times Square a New York (e, ovviamente, visibile su Instagram): una serie di immagini oniriche dai contorni sfumati e dai colori cangianti, trasmesse sincronicamente in più città, sostituiscono l’usuale visione trasmessa dai pannelli pubblicitari e stimolano un’esperienza sensoriale e psicologica più ampia che dovrebbe farci riflettere sugli spazi che abitiamo quotidianamente e rientrare in contatto con gli aspetti della realtà che rimangono nascosti dalla “furia delle immagini”.
Non possiamo prevedere se questa tendenza verso le immagini sfuocate e prive di dettaglio riuscirà a scoraggiare del tutto il manipolo di appassionati della nitidezza a ogni costo. Possiamo però dire, con ragionevole certezza, che la nitidezza non solo è un concetto borghese ma è anche un po’ demodé.
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