Basilea
Dal 28 gennaio al 21 aprile 2024
Il canadese Jeff Wall, nato a Vancouver (Canada) nel 1946, è un fotografo anomalo. In circa mezzo secolo di attività non ha scattato decine di migliaia di foto come fanno di solito i suoi colleghi. Ne ha firmate talmente poche che si possono contare: sono meno di duecento. Questo perché il suo modus operandi è simile a quello di un pittore che non vive nell’istante come capita a chi sta dietro un obiettivo, bensì lavora con tempi dilatati per dare forma a un pannello narrativo che il momento, anziché catturarlo, lo crea. E proprio come gli altri artisti anche lui ha pubblicato un catalogo ragionato, suddiviso in due volumi che coprono gli anni dal 1978 al 2004 e dal 2005 al 2021 (editi rispettivamente da Steidl e dalla galleria Gagosian).
Jeff Wall: il libro e la mostra alla Fondation Beyeler di Basilea
È bene sottolineare che un catalogo ragionato, una volta ultimato, raccoglie tutte le informazioni esistenti su tutte le opere riconosciute da un autore, pertanto è un tipo di pubblicazione quasi tecnica che ha come lettori ideali galleristi, collezionisti e ricercatori della materia.
Chi ama il lavoro di Wall potrebbe apprezzare di più un libro appena dato alle stampe intitolato semplicemente Jeff Wall, uscito in occasione della retrospettiva inaugurata recentemente alla Fondation Beyeler di Basilea. Nonostante le sue undici sezioni rispecchino fedelmente il percorso dell’esposizione, si tratta di una proposta interessante in quanto ha un valore intrinseco che lo rende molto appetibile anche per chi non visiterà la mostra.
Jeff Wall racconta le proprie opere
Oltre a una discussione tra il fotografo e il curatore della mostra, Martin Schwander, il volume contiene un’introduzione scritta da quest’ultimo e un testo critico a firma dello storico dell’arte moderna e contemporanea Ralph Ubl. Ma il pezzo forte della pubblicazione sta nel fatto che ogni sequenza di immagini che contiene è accompagnata dalle riflessioni personali di Wall, il quale offre una disamina delle proprie opere raccontandone la genesi, il processo di realizzazione e le relazioni che le tengono assieme.
Così si scopre che The Flooded Grave (1998-2000) e la celeberrima A Sudden Gust of Wind (After Hokusai) (1993) sono accomunate dall’appartenenza a un ciclo che l’autore definisce ‘pastorale’, aggettivo che utilizza per descrivere quelle scene in cui elementi della vita urbana – quasi sempre esseri umani – vengono innestati nella fotografia di paesaggio. Wall rivela pure che sono tra i primi lavori che ha realizzato con la tecnologia digitale, che gli ha permesso di assemblare diversi negativi per comporre un’unica opera. D’altronde non fa mistero che la sua ricerca vada in direzione opposta al reportage e al documentarismo, seguendo piuttosto la scia delle discipline alimentate dalla fantasia e dall’ispirazione dei loro praticanti.
Citazioni artistiche e letterarie nelle fotografie costruite di Jeff Wall
I punti di riferimento di Wall, quindi, si collocano ben al di là dei confini della fotografia e sono individuabili in tutti i campi in cui si esprime la creatività umana. Se A Sudden Gust of Wind (After Hokusai) rende chiaro fin dal titolo il riferimento a una xilografia del giapponese Hokusai risalente agli anni Trenta dell’Ottocento e The Thinker (1986) è un’ovvia traduzione fotografica del pensatore che Auguste Rodin scolpì alla fine dello stesso secolo, più difficilmente decifrabili possono essere le citazioni letterarie.
È solo grazie alle rivelazioni del loro autore che si evince, per esempio, che la bambina che scende le scale in Odradek, Taboritska 8, Prague, 18 July 1994 (1994) esce dalle pagine di un racconto scritto da Franz Kafka nel 1917 e contenuto nella raccolta Un Medico di Campagna. E d’altra parte non è tra gli autori americani più noti Ralph Ellison, dal cui romanzo Invisible Man del 1952 Wall ha preso in prestito il protagonista e la stanza in cui vive. La sua After ‘Invisible Man’ by Ralph Ellison, the Prologue (1999-2000) riassume tutta l’esistenza del giovane afroamericano recluso in un seminterrato illuminato da 1.369 lampadine per esorcizzare la paura di essere un invisibile.
Tra fotografia e performance
Molte altre opere del canadese attingono più genericamente alla storia dell’arte, senza fare diretto riferimento a dipinti specifici ma piuttosto a generi e stili. E sono esse stesse creazioni transartistiche dato che, essendo tutte messe in scena, incrociano la fotografia e la performance, come accade anche negli scatti di Francesca Woodman e Cindy Sherman. Infatti, anche quando non usa scenografie create a proposito, Wall non si limita a far posare i suoi soggetti come è normale nella ritrattistica tradizionale, ma chiede loro di interpretare, sia pure con un solo gesto, un personaggio che è altro da loro e che vive una storia senza tempo, nel senso che la sua durata varia in base a quanto a lungo l’osservatore sia disposto ad assistervi.
C’è quindi una componente di teatralità e non per niente si parla di tableaux vivants, nei quali la sceneggiatura si dipana nello spazio dell’inquadratura anziché nello scorrere del tempo. Così, alla luce di tutto questo, chi si avvicina al lavoro di Wall dovrebbe tenere in considerazione che sta approcciando un autore che certamente utilizza la tecnica fotografica ma che lo fa per scivolare dentro il territorio dell’arte contemporanea. E il libro appena pubblicato illustra molto bene, con una cinquantina di foto, come e perché lo fa.
Jeff Wall
Titolo Jeff Wall
Formato 31x25cm
Pagine 248, 95 illustrazioni
Lingua inglese
Prezzo 59,46 euro
Editore hatjecantz.com
Jeff Wall
- A cura di Martin Schwander
- Fondation Beyeler, Baselstrasse, 101 – Basilea
- dal 28 gennaio al 21 aprile 2024
- lunedì-domenica 10-18; mercoledì 10-20
- intero 25 franchi, ridotto 20 franchi
- www.fondationbeyeler.ch