Due cuori che si sono trovati, nel privato come nella professione, quelli di Jacob e Sara Aue Sobol, entrambi fotografi, partner di vita e genitori di due bambini. La mostra James’ House e Hunting Heart alla Leica Gallery di Milano, a cura di Maurizio Beucci e Claudio Composti, si compone di oltre trenta fotografie. L’esposizione è la narrazione di due storie d’amore: quella tra i due fotografi, in Hunting Heart, e quella tra Jacob e il suo amico James, in James’ House. James è un uomo inuit che Jacob ha incontrato in Groenlandia e che ha aperto le porte della sua famiglia al fotografo Magnum, facendolo diventare parte di essa.
La mostra si dipana in un fitto dialogo tra le immagini dei due fotografi che, pur parlando all’unisono di famiglia e del concetto di “casa”, rivelano anche le loro unicità e diversità, sia come individui che come fotografi. Abbiamo parlato con Sara della mostra e di come l’unità familiare sua e di Jacob sia la base del loro linguaggio fotografico.
La mostra James’ House e Hunting Heart si compone di due lavori distinti. Cosa li ricongiunge?
Ciò che li unisce è il concetto di “famiglia”: una famiglia è quella che ha accolto Jacob a vivere in Groenlandia, l’altra è la nostra, una famiglia di due fotografi e due bambini. Entrambi fotografiamo la nostra vita e i viaggi che facciamo: la famiglia e la nostra unione sono essenziali per il lavoro di fotografi. Sappiamo che, a prescindere da ciò che accade e dal sogno che perseguiamo, potremo sempre contare sul supporto e sul calore l’uno dell’altra.
Jacob scava sempre in profondità nell’intimità di una persona quando scatta fotografie. Come è riuscito a farlo anche con James, l’uomo inuit conosciuto in Groenlandia?
Scavare in profondità non è qualcosa che Jacob fa volontariamente, è un tratto della sua personalità che emerge naturalmente anche quando fotografa. Più che un fotografo, in Groenlandia, Jacob voleva imparare a essere un cacciatore, un padre di famiglia che ottiene l’essenziale per vivere in un Paese così duro. Forse alleggerire la pressione sull’aspetto fotografico gli ha consentito di realizzare immagini così intime e forti, perché lui era presente, come parte della famiglia di James.
James è stato davvero un suo buon amico durante gli anni in Groenlandia, si amano sinceramente e si aiutano a vicenda. Jacob ha potuto osservare e imparare come cacciare e pescare, come macellare, come cucinare e conservare il cibo, ma soprattutto ha imparato a sopravvivere con sé stesso e con il suo dolore. Si era trasferito in Groenlandia, infatti, dopo la morte di suo padre in un incidente fatale, e quella scelta è stata la sua salvezza, l’unico modo possibile per riuscire a navigare una voragine. Per questo motivo James è stato molto più di un amico, è stato una persona che ha saputo sentire il dolore di Jacob e gli ha insegnato a usarlo per far fronte alle sfide di vita della Groenlandia.
In Hunting Heart le vostre immagini dialogano. L’intera narrazione fotografica del progetto si concentra sul racconto del vostro concetto di famiglia. A parte l’evidente diversità tra l’uso del bianco e nero da parte di Jacob e del colore da parte tua, le vostre immagini sono messe in comunicazione per analogia o per opposizione?
In Hunting Heart abbiamo voluto ritrarre la nostra relazione, sia come partner romantici, sia come artisti. Tra di noi ci sono affinità e differenze, e questo spettro è qualcosa che amiamo e che abbiamo voluto condividere. Simbolicamente, in Hunting Heart, io sono l’“estroversa”, che fotografa persone e luoghi al di fuori della nostra famiglia, e Jacob è l’“introverso”, che valorizza invece l’intimità e la vita privata. La mia serie inclusa nella mostra nasce dai miei viaggi attraverso la Russia, il Messico e una parte degli Stati Uniti, e comprende immagini che rappresentano il mio universo visivo, il mio approccio poetico, e che convergono in un unico progetto che diventerà un libro a sé stante. In Hunting Heart abbiamo creato un dialogo di questo tipo tra le nostre immagini, partendo dal fatto che entrambi guardiamo prima dentro e poi fuori noi stessi. Per entrambi, infatti, l’intimità e la connessione sono alla base del nostro lavoro, è da questo concetto che costruiamo e creiamo. Non importa se siamo a casa, nel nostro Paese, o in luoghi sconosciuti, partiamo sempre da una domanda: ‘chi siamo come esseri umani?’.
Nella vostra progettualità fotografica, anche se con le dovute differenze, cercate entrambi di creare una connessione diretta ed emotiva con chi guarda le vostre immagini, tramite un’estetica viscerale e senza filtri. Come siete giunti a tale espressionismo?
Siamo due persone molto dirette e predisposte all’ascolto: se fossimo entrambi seduti in una stanza con altre persone ascolteremmo eventuali discussioni e affronteremmo questioni delicate osservando con cura le reazioni delle persone interessate. Ci succede lo stesso quando fotografiamo. Puntiamo alla medesima intimità con il nostro soggetto sia quando parliamo, sia quando scattiamo.
Jacob è senza filtri, io lo sono quando mi relaziono con la famiglia e gli amici, e questo, per noi, è l’unico modo sensato di vivere e quindi di fotografare. Jacob ha una carriera più lunga e più ampia della mia, ma siamo sicuramente in una relazione profonda l’uno con l’altra perché ci “adattiamo” al modo in cui ci relazioniamo tra di noi e con il mondo. Non ha senso per noi indossare una maschera o proteggerci dagli altri, dobbiamo essere onesti con tutti perché altrimenti ci sentiremmo disonesti con noi stessi.
Cosa rappresenta per voi il concetto di “casa”?
La casa è un luogo caldo per i nostri cuori, è il luogo in cui sappiamo che tutti i nostri sentimenti sono abbracciati e protetti, sia che siano buoni, sia che siano cattivi. Inoltre, la casa è anche il luogo dove custodiamo i nostri sogni. La casa è il luogo in cui ci amiamo incondizionatamente e in cui ci prendiamo cura della nostra prosperità individuale e familiare.
Come la progressione della vostra vita adulta, come compagni e poi come padre e madre, ha influenzato il vostro modo di intendere la fotografia e la vostra espressività?
Oggi siamo entrambi più grati, rispetto a prima, per le nostre vite. Quando non avevamo figli potevamo dare per scontata la nostra salute, la nostra quotidianità, ma una volta che la vita è condivisa anche con dei figli, si apprezza di più ciò che si ha: nel nostro caso due bambini sani e belli, la capacità di essere buoni genitori e buoni partner uno per l’altra, di sognare e di lavorare per realizzare i nostri sogni. Tutto ciò è qualcosa a cui pensiamo molto, ci motiva ed è diventato, in realtà, un potente motore per l’intero sistema della nostra famiglia.
Avere due bambini e lavorare in casa in una camera/studio è caotico, ma non potrebbe che essere così per noi. Tutto è condiviso e tutto si mescola, a me personalmente piace fotografare il caos in casa, è un ritratto estremamente onesto di quattro persone che abitano sotto lo stesso tetto.
Al momento io sto per iniziare un progetto che, per la prima volta da quando sono diventata mamma, mi porta fuori dalle mura di casa. È un salto piuttosto spaventoso, ma so che ciò che mi rende nervosa è anche qualcosa per cui vale la pena mettersi in gioco. Da adulti, e soprattutto da genitori, abbiamo sviluppato una sensibilità verso le persone completamente diversa, forse un po’ più profonda. Avere dei figli ci permette di empatizzare in modo più intenso con altri genitori, e per me l’empatia è un elemento centrale che mi consente di vedere le persone per quello che sono, in tutta la loro umanità. Diventare genitori ci ha sicuramente resi degli artisti migliori di prima.
Jacob e Sara Aue Sobol. James’ House e Hunting Heart
- A cura di Maurizio Beucci e Claudio Composti
- Leica Galerie Milano, via Giuseppe Mengoni, 4 – Milano
- dal 17 novembre 2023 al 31 gennaio 2024
- martedì-sabato 10-14-15-19; domenica e lunedì chiuso
- ingresso gratuito
- https://leica-camera.com/it