“Se potessi scattare solo un’altra foto per il resto della tua vita, quale sarebbe?”. A circa dodici minuti dall’inizio de film di Ryōta Nakano intitolato Foto di famiglia il protagonista, Masashi, si sente porre questa domanda. Il quesito è stimolante e di non facile risoluzione, ma non c’è dubbio che per molti la risposta risiederebbe proprio in una foto di famiglia. Foto di famiglia, nei cinema italiani dallo scorso 19 ottobre, racconta la storia vera del fotografo Masashi Asada, che nella fotografia di famiglia ha affondato le radici del suo mestiere.
La storia di Masashi Asada
La prima parte della pellicola “ospita” il pubblico in casa Asada, tracciando il ritratto di una famiglia giapponese divertente, a tratti goffa, ma coesa, in cui la fotografia gioca il tradizionale ruolo di registratore dei ricordi. A dodici anni Masashi riceve in dono dal padre la fotocamera “di casa” e si appassiona con sensibilità allo strumento, attraverso il quale decide – qualche anno più tardi – di realizzare un progetto stravagante: fotografare la famiglia in una serie di elaborate messe in scena dall’aria comica, vere e proprie simulazioni di situazioni che genitori e figli (Masashi e suo fratello maggiore) avrebbero voluto vivere almeno una volta.
L’apprezzamento del lavoro di Masashi si fa attendere, ma a tempo debito l’esilarante raccolta di ritratti degli Asada diventa un libro. Proprio quando il protagonista sembra finalmente avviato sulla strada del successo il Giappone viene colpito dal terremoto del 2011, nella regione del Tōhoku. Masashi raggiunge la zona colpita dal sisma e dal successivo tsunami e tenta di rendersi utile offrendo il proprio aiuto a un volontario che ha intrapreso una lodevole missione: “salvare” le foto e gli album di famiglia recuperati tra le macerie, ripulirli ed esporli dove i legittimi proprietari possano riconoscerli e riprenderli con sé.
I temi di Foto di famiglia
Il film descrive, con il garbo proprio della cultura giapponese, la delicatezza delle relazioni interpersonali, con particolare attenzione alle dinamiche familiari. Con lo stesso tatto la storia tratta la forza commovente della fotografia vernacolare, quel prezioso scrigno di emozioni al quale la società contemporanea pare incomprensibilmente risoluta a rinunciare.
I personaggi del film che scrutano con pazienza e speranza intere pareti ricoperte di foto in cerca di un volto familiare sono un potente monito del valore culturale, identitario e affettivo degli album di famiglia.
Delle 80.000 fotografie raccolte dai volontari in seguito al terremoto più di 60.000 sono tornate nelle mani dei proprietari. Oggi quante sono le stampe che abitano le nostre case? “Se poteste tenere – chiediamo noi – solo una fotografia per il resto della vostra vita, quale sarebbe?” A chi dovesse reputare malinconica l’idea di scegliere basti riflettere su quanto sia malinconico non avere memoria dell’ultima volta in cui si è stampato qualcosa da aggiungere all’album di famiglia.
Foto di famiglia, dunque, è un ottimo incentivo a tenere in vita un archivio concreto, un film divertente, prezioso e commovente: proprio come un vero album di famiglia.