Beniamino Pisati è un fotografo professionista che da sempre si occupa del rapporto fra l’uomo e il suo territorio. “Per capire un luogo bisogna saperne leggere il paesaggio”, spiega l’autore. Il “suo” luogo è Lassù, fra i rilievi che circondano la Valtellina.
In Valtellina è evidente come l’uomo abbia plasmato il territorio nel corso del tempo. Anche l’alpeggio, attività basata sulla transumanza estiva del bestiame, è ciò che l’autore definisce “una conquista nata dalla capacità di ottimizzare lo sfruttamento del territorio quando, nel 1800, il fondovalle era ancora paludoso”. L’uomo ha imparato a coltivare in pendenza però, man mano che si saliva di altitudine la terra era meno favorevole all’agricoltura e, di contro, aumentava la possibilità di sviluppare l’allevamento. Ci spiega Beniamino: “Si è iniziato a disboscare per ricavare prati e far pascolare gli animali, si sono costruiti recinti e dimore con pietre, contrade, villaggi. Un lavoro di fatica e tenacia alleviato solo dal grande spirito di comunità che contraddistingueva la vita nel 1800 e che ha contribuito in maniera decisa a formare l’identità culturale della comunità alpina”.
Prosegue Pisati: “Lo spostamento di mucche da latte in tarda primavera dal fondo valle ai monti, ai 1500 e i 2200 metri, e la relativa lavorazione del latte tutt’oggi comporta difficoltà a causa dell’asprezza del territorio: non ci sono strade carrozzabili, lassù spesso l’energia elettrica non arriva, occorrono sacrificio e dedizione. Quasi tutto deve essere svolto manualmente”.
Con il progetto Lassù, Beniamino Pisati sottolinea la sua visione di questa realtà che prevede la valorizzazione del rapporto fra uomo e natura nei territori della Valtellina, in provincia di Sondrio: un legame inscindibile non soltanto perché “bello e bucolico, ma perché essenziale”, sottolinea l’autore.
Gli alpeggi sono un patrimonio per la Valtellina, sia dal punto di vista economico, per via della massiccia produzione di formaggi di fama internazionale, sia per gli aspetti storici e culturali che quel mondo custodisce. La trasformazione del territorio a opera dell’uomo ha tuttavia introdotto nuove modalit
à di integrazione della presenza umana nel contesto montano, e ha necessariamente attivato un rapporto complesso e delicato, di metamorfosi della natura, che necessita di continue cure e rinnovamento.
Beniamino cosa ti ha condotto alla fotografia?
Quando ero piccolo volevo fare il veterinario, non perché amassi particolarmente gli animali, ma perché alla fine degli anni Ottanta in tv andava in onda la pubblicità dell’Amaro Montenegro. Ne erano protagonisti veterinari che a bordo di fuoristrada o aerei salvavano animali in difficoltà, e io ci vedevo qualcosa di avventuroso e coinvolgente. Ho pensato poi che fare il fotografo e viaggiare potesse emulare quelle avventure, leggevo la rivista National Geographic affascinato dai servizi che arrivavano da tutte le parti del mondo. Ho sempre vissuto di fotografia e già a 18 anni lavoravo come fotografo in un settimanale di cronaca della Valtellina: una bella esperienza perché potevo affrontare tutti i generi fotografici. Però mi sono subito scontrato con la consapevolezza che viaggiare e confezionare servizi non era facile. Perciò nel 2009 ho deciso di iniziare a organizzare viaggi per appassionati di fotografia in luoghi che conoscevo molto bene: l’idea era quella di offrire situazioni in cui portare a casa buone immagini e mettere al servizio dei partecipanti la mia esperienza. Potevo finalmente viaggiare! Da allora ho realizzato oltre 220 viaggi in diverse aree del mondo. Attualmente collaboro con agenzie per la divulgazione dei miei scatti, in particolare con Parallelozero.
Lassù è il tuo progetto fotografico dedicato alla Valtellina e all’esistenza slow che si svolge in vetta. Con questo lavoro hai ottenuto molti riconoscimenti. Come è cambiata la vita di questo progetto e la tua di autore dopo i premi ricevuti?
Premetto che vincere concorsi non certifica nulla, spesso ci vuole solo fortuna. Dietro a concorsi vinti ci sono tantissime partecipazioni andate a vuoto. Il mio rapporto con questo lavoro non è mai cambiato, nonostante le molte gratificazioni, e l’approccio è sempre stato lo stesso, con la medesima determinazione e consapevolezza di creare un racconto puntuale e veritiero di questa realtà, o meglio della mia visione di questa realtà. Certamente ricevere riconoscimenti ha dato visibilità a me e a questo angolo di mondo. Gli stessi soggetti che ho fotografato, tra cui molti giovani, sono felici che la loro attività, la loro vita, sia documentata. In una società che va sempre più di fretta dovremmo soffermarci sui segni del passato, sulla realtà che ci circonda, sulla natura, affinché tutto ciò non si disperda.
Perché hai deciso di cominciare questo progetto, e quanto hai impiegato a realizzarlo?
Perché qui ci sono quasi nato, questa realtà fa parte della mia infanzia, con la mia famiglia si andava nelle baite in estate, e quando vai in montagna da queste parti non vai molto lontano da pascoli, mucche e pastori. Anche quando poi mi sono trasferito in città, a Sondrio, dalla mia finestra vedevo passare le mucche che salivano e scendevano dalle montagne. A distanza di anni sono ritornato in questo mondo, inizialmente per ragioni di lavoro, poi l’interesse è diventato personale, anche il mio approccio è cambiato. Ho iniziato a percepire tutto questo sistema come un’entità che si muove in perfetta armonia: animali, uomo e ambiente diventano una cosa sola. Questo è l’aspetto che mi ha appassionato.
Per realizzare gli scatti, ogni estate e specie nei primi anni, andavo in Valtellina anche più volte a settimana, mentre il lavoro di editing dipende tuttora dall’utilizzo delle immagini: per confezionare la sequenza inviata a Portfolio Italia, ho impiegato due anni. Sintetizzare in poche foto ciò che si vuole comunicare, specie se la scelta è ampia, togliere immagini a cui sei affezionato, cercare quelle utili che poi non sono necessariamente solo quelle belle, non è affatto facile.
I ritmi della vita in montagna sono particolari, poco comuni e ignoti ai più. Come ha inciso questo nella realizzazione del tuo progetto?
Pandemia a parte, ho sempre viaggiato molto: staccare dalla frenesia dei voli e del traffico era quasi una necessità per me. Spesso lassù il telefono non ha segnale e scollegarmi totalmente, far parte di quel ritmo lento, mi piace molto. A volte mi fermo a dormire dai pastori e mi godo i giorni passati con loro. Anche senza fotocamera.
Quanto incide il rapporto che il fotografo riesce a creare con le persone e con i luoghi in cui si trova a operare?
È determinante: se fossi venuto da fuori non sarei potuto entrare in sintonia con questa gente. Il fatto di vivere sotto lo stesso cielo permette di discutere di molte cose, non vai lassù solo per fotografare, ma per ascoltare, scherzare, conoscere. Le fotografie sono figlie di tutto questo, parlando con le persone capisco le fatiche, la passione che hanno per quello che fanno, le loro privazioni: c’è chi non hai mai fatto ferie o visto il mare. Spesso mostro le foto scattate in giro per il mondo e i pastori si divertono a vedere altri pastori come loro, che però sono, ad esempio, in Mongolia. Sono persone straordinarie.
Bio
Classe 1977, originario di Milano, Beniamino Pisati vive tra la Valtellina e l’Oltrepò Pavese, e lavora come fotografo professionista freelance. È specializzato in reportage geografico e ha all’attivo oltre 220 viaggi in diverse aree del mondo. Da oltre dieci anni sta documentando lo stretto rapporto tra uomo e ambiente negli alpeggi della Valtellina (Sondrio). Collabora con riviste e agenzie del settore, e dal 2009 organizza workshop di fotografia di viaggio in Italia e all’estero.
Diversi sono i riconoscimenti nazionali e internazionali che ha ricevuto: fra gli altri, due primi posti al Travel Photographer of the Year nella categoria Portfolio (nel 2016 e nel 2021), un primo premio all’Urban Photo Award, categoria Portfolio, e un secondo piazzamento al Portfolio Italia Fujifilm Gran Prix (entrambi nel 2020).