Agrigento
Dal 10 aprile all’8 dicembre 2025
VIVA! Orizzonti sensibili sull’universo femminile, a cura di Benedetta Donato e promossa dal Rotary Club di Agrigento, con il supporto di FUJIFILM Healthcare Italia, è una mostra che riflette sul mondo femminile, su un immaginario che delinea un concetto di donna non stigmatizzato, non stereotipato. Ospitata fino all’8 dicembre 2025 al Chiostro di San Domenico dell’ex Chiesa di Santa Sofia, ad Agrigento, l’esposizione si compone di venticinque immagini, un’immagine per venticinque autori, ricucendo insieme un panorama eterogeneo sul tema.
Se, da una parte, in questo momento storico, la donna è spesso al centro della cronaca nazionale per violenze, soprusi e omicidi di cui è vittima, dall’altra è anche vero che dal punto di vista storico e artistico è un periodo proficuo per un certo revisionismo che permetterà di sanare molte lacune che hanno visto cancellare la donna dal panorama artistico e fotografico a causa di un passato imbevuto di patriarcato. Da questo punto di vista, infatti, la mostra si tinge anche di un certo attivismo politico, che invoca al dialogo, allo scambio e alle sensibilità comuni tra i venticinque autori, dieci fotografi e quindici fotografe. Con Benedetta Donato, visitando la mostra dal vivo, abbiamo parlato del progetto espositivo e dei significati reconditi di un immaginario relativo alla donna in costante evoluzione.
Alberto Alicata, Federica Belli, Guia Besana, Simona Bonanno, Alessandra Calò, Emanuele Camerini, Iole Carollo, Gabriele Cecconi, Francesca Cesari, Yvonne De Rosa, Francesco Faraci, Fabio Florio, Sara Grimaldi, Sara Lando, Valeria Laureano, Mattia Marzorati, Ivana Noto, Daniele Ratti, Alessia Rollo, Mirko Sperlonga, Carla Sutera Sardo, Valentina Tamborra, Sofia Uslenghi, Filippo Venturi e Nuccio Zicari.
Come nasce il progetto espositivo VIVA! Sguardi sensibili sull'universo femminile?
La mostra, realizzata nell’ambito di Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025, nasce dall’incontro tra Alfonso Lo Zito, Presidente del Rotary Club Agrigento, e Davide Campari, Managing Director Fujifilm Healthcare Italia. Io sono stata invitata a saltare dentro a questa avventura come curatrice di un’esposizione che doveva approfondire la rappresentazione del mondo femminile.
Dopo un’attenta riflessione, mi sono soffermata sull’idea che negli ultimi anni si è portata avanti una sorta di riscrittura della storia della fotografia, portando alla luce ciò che prima era stato oscurato, il lavoro e il pensiero delle fotografe donne. In questo modo si è potuto sanare un ‘buco’ storico e artistico non indifferente. Negli ultimi anni sono state tante le iniziative per superare questo gender gap e noi, con questa mostra, abbiamo voluto metterci del nostro.
La cosa interessante di questa mostra è anche che hai voluto far dialogare la visione delle fotografe con quella dei fotografi. Quale è stato il risultato finale?
Ho pensato che, mai come in questo momento, fosse importante dare risalto alle sensibilità che cambiano. La fotografia non è una questione di genere, ma una questione di sguardi, di cultura, di educazione ad un guardare sensibile, in questo caso verso il mondo femminile. Per questo motivo, questa mostra vuole essere una commistione di linguaggi, oltre che di generi. Inoltre, avere la riprova visibile di uno sguardo maschile sulla donna, sensibile e garbato, rende possibile pensare a un percorso di educazione, soprattutto per i giovani, attraverso l’arte e la fotografia. Spero, infatti, che la mostra abbia un seguito, anche e soprattutto, nelle scuole e che aiuti a intavolare una riflessione con gli studenti.
Hai creato consapevolmente uno spazio comune di dialogo sul mondo femminile, tuttavia si percepiscono approcci differenti: le fotografe hanno indagato la questione con progetti specificamente tesi all’analisi della loro identità di genere, mentre per i fotografi capita spesso che le immagini relative alla rappresentazione della donna rientrino in progetti dedicati ad altre tematiche, come ad esempio l’immigrazione…
Per selezionare le immagini dei fotografi ho riflettuto con loro sul modo in cui approcciano il femminile, anche, come dici tu, in progetti che non riguardano specificamente questa tematica. La mostra è stata quindi un’occasione, anche per gli uomini, per analizzare il loro lavoro da un altro punto di vista, guardandolo con occhi diversi. Mi ha sicuramente avvantaggiato il fatto che gli autori in mostra sono quasi tutti fotografi di cui già conoscevo il lavoro, con cui avevo già interagito, per un motivo o l’altro, e questo mi ha permesso di avere uno sguardo complessivo su cosa i loro progetti potessero offrire alla tematica che avevamo scelto per la mostra.
Nel caso di Mattia Marzorati, ad esempio, con Lebanese Limbo, si tratta di un reportage realizzato nel 2018 in Libano che racconta lo stato di salute dei rifugiati siriani in territorio libanese. Relativamente a questo specifico lavoro ho chiesto all’autore che valore e che importanza abbia dato alla narrazione sulla donna e da questa semplice domanda è nata la selezione dell’immagine che poi è attualmente in mostra. Infatti, visionando le fotografie di Mattia di Lebanese Limbo ho notato che ritraeva spesso un concetto di donna legata all’essere madre, all’accudimento, alla protezione nei confronti dei figli.
Poi ci sono casi come quello di Fabio Florio, con Closer, un progetto che parte, intenzionalmente, come una storia sul femminile, raccontando la vita di due sorelle che vivono su un’isola, a stretto contatto con la natura del posto. Nel caso di The twelfth night del fotografo documentarista Emanuele Camerini, invece, le immagini sono dedicate a una leggenda, quella della donna foca. Inizialmente mi aveva mandato, da selezionare, molti volti femminili che appartenevano al progetto, concentrandosi, quindi, sul concetto figurativo di donna, ma volevo che lui esprimesse il mondo femminile in maniera più concettuale e, così, siamo arrivati all’immagine che poi abbiamo esposto, in cui è rappresentato il Mare del Nord in una notte oscura, con un gioco di ombre e luci che riporta al valore ancestrale della leggenda e dell’entità femminile della donna foca.
Che riscontro ti hanno dato i fotografi uomini dopo aver fatto questo lavoro?
Proprio Mattia Marzorati mi raccontava che dopo aver lavorato insieme alla mostra si è reso consapevole dell’attenzione, prima sottotraccia, che fino a quel momento aveva riservato al mondo femminile. Per questo motivo vorrebbe riguardare a posteriori i suoi progetti passati per comprendere meglio il suo sguardo fotografico e analizzarlo in base anche a questa lettura ritrovata. Questo lo trovo, oltre che interessante, molto importante per un concetto di fotografia che includa visioni prima inespresse.
Al di là della differenziazione di genere, la mostra ospita anche una certa eterogeneità di linguaggi fotografici…
Sì, ci sono approcci più concettuali come quello di Sara Lando, Ambassador Fuji, con Ship of Theseus, o di Sofia Uslenghi, con Flora, e Alessandra Calò, con Kochan, ma anche lavori più documentaristici come quello di Simona Bonanno, con Neve, che ha seguito, per anni, la vita di una bambina che, a differenza delle sue coetanee impegnate a interpretare principesse e a sognare il principe azzurro, amava spasmodicamente i pony, con cui passava la maggior parte del suo tempo. Per molto tempo Simona ha documentato il loro rapporto, testimoniando il senso di libertà della bambina.
O ancora Francesca Cesari con In the room, in cui la fotografa ritrae il momento in cui le donne addormentano il proprio figlio tramite l’allattamento al seno. Francesca con questo lavoro riesce a cogliere l’intimità del gesto ma anche l’intimità che abbraccia il rapporto madre/figlio. In mostra anche la messa in scena dei cliché che il mondo femminile ha dovuto subire per anni, con il lavoro di Guia Besana, Under Pressure, che racconta, con uno stile staged, il conflitto interiore tra ciò che una donna è, ciò che vorrebbe essere e ciò che la società si aspetta che sia.
Come hai selezionato gli autori?
Sono tutti autori che hanno gravitato attorno al mio lavorare in ambito fotografico. Inoltre, sono tutti fotografi che, negli ultimi dieci/quindici anni, hanno svolto delle ricerche focalizzandosi sul femminile con uno sguardo diverso rispetto alla tradizione fotografica che ha sempre rappresentato la donna inserendola all’interno di una certa categoria, quella di madre, moglie e amante. Inoltre, con i loro lavori volevo uscire dagli stereotipi propri soprattutto alla fotografia di moda, ad esempio, secondo cui la donna deve suscitare avvenenza, assumendo il ruolo di oggetto. Con questa esposizione non volevo che parlassero solo le donne delle donne, esiste un dialogo ed è bene che venga reso noto.
Perché il titolo VIVA!?
VIVA! è un’esclamazione, un’esortazione, e soprattutto l’augurio che un’energia vitale caratterizzi la storia delle donne, soprattutto in un periodo come questo.
Il percorso della mostra segue dei temi?
Sì, lungo la mostra si manifestano vari temi come quello della sorellanza, del rapporto con la natura, della maternità, della bellezza imposta dai giornali, degli stereotipi. La cosa interessante è che, però, sono tematiche sviscerate nella loro complessità di sguardo. Ogni autore fa trasparire la propria lettura, conferendo alla mostra una natura eterogenea. Era la diversità di sguardo che volevo che emergesse, proprio per non relegare questo argomento dentro a classificazioni e stigmatizzazioni.
Inoltre, quello che ci terrei a sottolineare è che questa mostra espone un corpus di immagini che non sono state fatte necessariamente oggi, ma che vanno ad interessare un gap temporale di più di dieci anni.
Non seguo, infatti, il pensiero di un certo tipo di fotografia “modaiola”, mordi e fuggi, secondo me questo linguaggio ha bisogno del suo tempo per essere metabolizzato e affinché possa a sua volta metabolizzare un certo tipo di contenuti e di messaggi. Spesso, dalle dinamiche di settore, non viene dato il giusto tempo ai fotografi per far respirare i loro progetti, per farli sedimentare e renderli comprensibili con una certa profondità di sguardo. Solo così le immagini potranno entrare in un immaginario storico e affrontare con le dovute premesse l’importanza di certe tematiche come il mondo femminile e la sua rappresentazione. Invece, ora come ora, spesso, lavori di dieci anni fa vengono considerati già passati. Per questo motivo, agli autori, per demarcare quello che dovrebbe essere il valore storico delle loro immagini, in alcuni casi, ho chiesto un’immagine di dieci, anche quindici anni fa.
Questa mostra vuole fare il punto della situazione sullo sguardo fotografico rivolto al mondo femminile. A che conclusioni sei arrivata?
Non so se sono arrivata a delle vere conclusioni. Sicuramente mi ha dato modo, e spero lo dia anche alle persone che vedranno la mostra, di riflettere. Ai giorni nostri, molte sono le iniziative rivolte esclusivamente alle donne, giustamente vista la passata discriminazione, è un modo per pareggiare l’ago della bilancia rispetto al mondo maschile, ma bisogna fare attenzione al fatto che contemporaneamente devono anche essere creati degli spazi per lo scambio di una cultura che deve essere femminile e maschile, insieme. Il dialogo deve essere alla base di una ricostruzione culturale e artistica.
VIVA! Orizzonti sensibili sull'universo femminile
- A cura di Benedetta Donato
- Ex Chiesa di Santa Sofia/Palazzo San Domenico, piazza Pirandello, 8 – Agrigento
- dal 10 aprile all’8 dicembre 2025
- lun-ven 10-20, sab 10-16. Domenica chiuso
- ingresso gratuito
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