Roma
Dal 23 febbraio all’11 marzo 2024
La mostra Ucraina. Storie di resistenza, con fotografie di Arianna Arcara, Mykhaylo Palinchak, Rafal Milach e Sandra Schildwachte, è il risultato di un programma di scambio culturale, l’International Visitor Leadership Program (IVLP), ad opera del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America. Ogni anno circa 4500 giovani leader in diversi settori vengono selezionati dalle Ambasciate degli Stati Uniti di tutto il mondo per parteciparvi. Nel 2021, i quattro fotografi erano stati selezionati per partecipare al A global Moment in Time, un IVLP speciale tramite cui si voleva indagare, visivamente, le conseguenze sociali del COVID-19 che ha colpito il mondo intero.
Successivamente, Arianna Arcara, Mykhaylo Palinchak, Rafal Milach e Sandra Schildwachte, come IVLP Alumni, sono stati richiamati per il progetto collettivo sull’Ucraina con l’obiettivo, questa volta, di mostrare, tramite le loro immagini, le storie di resistenza che animano i volti e i corpi della popolazione ucraina e il territorio crivellato dalla guerra. Da qui nasce il progetto Ucraina. Storie di resistenza, ora in mostra al MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo fino all’11 marzo. Abbiamo fatto una chiacchierata con Arianna Arcara.
Come avete lavorato sul campo?
Ciascuno ha lavorato in maniera autonoma. Mykhaylo, fotografo ucraino, ha seguito l’invasione russa dal suo inizio e ancora continua a documentare i riscontri della guerra nel suo Paese. Io sono partita per il primo viaggio poco dopo l’inizio dell’invasione, documentando le persone che scappavano dai territori colpiti, per poi continuare a lavorarci, nei due anni successivi, fotografando e raccogliendo testimonianze di civili che hanno subito l’invasione. Sandra ha fotografato delle famiglie ucraine rifugiate e accolte in Germania. Infine, Rafal si è concentrato sul documentare storie di persone che scappavano dall’invasione, raccogliendo testimonianze lungo il confine polacco con l’Ucraina, a Leopoli in Ucraina e poi a Varsavia. Le sue immagini sono poi confluite anche nel progetto UATLAS. War Migration Record.
Quanto la visione americana della guerra in Ucraina ha influenzato la vostra visione?
Personalmente non credo abbia influenzato il mio lavoro. Ciò che l’ha veramente influenzato è stato altro: Andy Rocchelli, uno dei co-fondatori del collettivo Cesura di cui faccio parte anch’io, è stato ucciso in Ucraina nel 2014, mentre documentava il conflitto nel Donbass. Il mio viaggio, per questo progetto, parte proprio da lì. Inizialmente quello che mi ha spinto a intraprendere questa documentazione era continuare il suo lavoro, ma poi le mie motivazioni di partenza si sono evolute, e più proseguivo nel lavoro più entravo in contatto con i civili ucraini, creando così una mia visione personale del conflitto.
Come hai progettato il tuo racconto sulla guerra in Ucraina?
Penso che i civili, in qualsiasi conflitto, siano i soggetti più colpiti dalle conseguenze delle guerre. Con il mio lavoro ho cercato di raccontare i traumi che la popolazione ucraina si porterà dietro per generazioni e che già sono vividi nelle persone che ho incontrato, ma anche nei paesaggi che ho attraversato. Ho portato avanti il mio racconto fotografico con l’idea che ritrarre quei paesaggi, in larga scala o minima, attraverso dettagli come un fiore ghiacciato o una porta crivellata, non fosse diverso dal ritrarre una persona. L’ho affrontato nello stesso modo, riportando, nell’immagine, l’intimità del momento che vivevo. Nella mia parte di lavoro per Ucraina. Storie di resistenza, le fotografie di paesaggio e quelle che colgono le persone si fortificano vicendevolmente ed è tramite questo approccio che trovo il mio equilibrio, emotivamente e stilisticamente.
È sempre difficile andare oltre gli stereotipi della guerra. Pensi di esserci riuscita?
Non mi reputo una reporter di prima linea, e non avevo mai lavorato all’interno di un conflitto, solitamente mi occupo di fotografia documentaria. In Ucraina ho portato, quindi, la stessa visione e autorialità che metto in campo anche in altri mie progetti: principalmente ho scattato con fotocamere medio formato e grande formato e ho passato diverso tempo a parlare con le persone e trascrivere quello che mi raccontavano. Questo non rende il mio lavoro migliore o diverso da quello degli altri, ma credo che le immagini prodotte e il modo in cui le sto esibendo, si distacchino dagli stereotipi ai quali siamo abituati.
Quale storia, tra quelle raccolte dai civili ucraini, ti ha particolarmente colpito
Potrei raccontarvi diverse storie, ma tra quelle che più mi sono rimaste impresse c’è quella di Dasha che vi riporterò direttamente dalle sue parole: “Durante l’occupazione, i russi ci terrorizzavano sostenendo che dovevamo evacuare con loro perché gli ucraini, nella loro controffensiva, avrebbero distrutto tutto. Ci mandavano sms con scritto: “Evacuate, vi daremo certificati, nuovi documenti e soldi”. I miei genitori cominciarono a preoccuparsi e portarono me e mio fratello dalla nonna, sulla riva sinistra del fiume, dove restammo per un anno. Ma poi i russi arrivarono anche lì, con degli assistenti sociali che volevano deportarci perché non eravamo con i nostri genitori e nostra nonna non aveva documenti né autorizzazioni per dimostrare che potevamo stare con lei.
Erano molto insistenti, venivano da noi dicendo che dovevano prenderci in custodia e poi mandarci in Russia per farci adottare. Intanto, però, comunicavamo con i nostri genitori tramite Telegram e li aggiornavamo costantemente su quello che stava succedendo. Fortunatamente mia madre, tramite conoscenti, è riuscita ad entrare in contatto con l’organizzazione Save Ukraine, che si occupa di bambini deportati o a rischio di deportazione in Russia.
Circa il 17 luglio, era un mercoledì, la mamma è venuta a prenderci con i volontari. Il giorno dopo sarebbero dovuti venire gli assistenti sociali russi per portarci via. Quando siamo arrivati a Mykolaiv, in treno, non appena ho visto papà, ho sentito che era finita. Avevo pianto quando la mamma era venuta a prenderci, ma quando ho visto papà sono impazzita. Con lui ho un legame speciale. Gli sono corsa incontro, lasciando la valigia, e mi sono gettata tra le sue braccia dicendo: “Papà, papà”, mentre le lacrime mi rigavano le guance”.
Ucraina. Storie di resistenza
- MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, via Guido Reni, 4 A – Roma
- dal 23 febbraio all’11 marzo 2024
- martedì-domenica 11-19. Lunedì chiuso
- ingresso gratuito
- www.maxxi.art