Da anni Robin Schwartz riesce a coniugare la fotografia con la sua profonda passione per gli animali, ritraendo il loro mondo nella maniera più genuina e delicata immaginabile. Dopo la nascita della figlia, Amelia, la sua veste di fotografa e quella di madre si sono congiunte nel raccontare come la piccola Amelia abbia ereditato la sua stessa passione e come, negli anni, si sia avvicinata al mondo animale in modo naturale, quasi spinta da un senso di fratellanza. Robin ci racconta i suoi progetti fotografici, creati per e con Amelia.
Come è nata l’idea di fotografare Amelia, tua figlia, nel suo dialogo quotidiano e costante con gli animali che fanno parte della vostra vita?
Ho sempre, senza eccezioni, lavorato su progetti fotografici con animali, a volte con persone. Il mio primo libro, LIKE US: Primate Portraits (W.W. Norton & Co., 1993), pensavo fosse il mio lavoro migliore, poi ho prodotto anche Dog Watching (Takarajima Books, 1994). Non avrei mai pensato che le fotografie con Amelia avrebbero portato a qualcosa, il mio intento iniziale era semplicemente quello di fotografare e non stare lontana da mia figlia. Non siamo mai state separate, nemmeno per una notte, fino a quando a 14 anni è andata in India con la scuola.
Il progetto è iniziato quando sono andata a fotografare un cucciolo di scimpanzé e ho portato con me Amelia e mio marito. In qualche modo Ricky, lo scimpanzé, e Amelia hanno legato e si abbracciavano l’un l’altra e si baciavano. Non mi sarei mai aspettata questa connessione sbalorditiva.
Fino ad allora avevo lavorato esclusivamente in bianco e nero, ma in quell’occasione ho fotografato sia con pellicole a colori, sia in bianco e nero. Mi ero diplomata al Pratt Institute con il progetto Pets and Strays, così ho mostrato i provini a contatto al mio vecchio relatore di tesi, che mi ha suggerito di proseguire il progetto a colori. Ho ascoltato le sue indicazioni e ho continuato a fotografare. In quel periodo, tuttavia, lo stile di Sally Mann era avversato e molti esponenti dell’Università mi chiesero di smettere di fotografare mia figlia, sebbene fotografare mia figlia (gli animali non erano il problema) fosse l’unica cosa che volevo fare. Guardare Amelia che parlava e si relazionava con gli animali che incontravamo, e fotografare le nostre avventure mi rendeva molto felice.
È andata meglio all’Università solo quando sono stata invitata a presentare il mio lavoro al seminario annuale del National Geographic nel 2012. Ho capito, poi, che Amelia & the Animals e gli altri progetti sugli animali sono percepiti più sensibilmente al di fuori degli Stati Uniti. Recentemente, infatti, ho fotografato per le strade dell’Italia e di Istanbul durante le mie mostre ai festival fotografici e in Corea del Sud e in Messico, per un nuovo progetto. Mi è piaciuto molto fotografare immersa tra le culture al di fuori degli Stati Uniti.
Nel testo di introduzione di Amelia & the Animals 2002 – 2013 scrivi che Amelia è co-autrice del progetto. In che modo ti aiuta nella produzione delle immagini?
Amelia ha scritto la prefazione del libro, aveva 13 anni, il mio editor voleva che si sentisse la sua giovane voce. Per quel che riguarda il modo con cui lei partecipa attivamente al progetto, devo dire che è molto brava con gli animali, molto calma, rilassata, rilassante e paziente. Amelia fa brainstorming e si muove agilmente per raggiungere la cooperazione con gli animali, come con gli alpaca che sono molto timidi. Inoltre è molto creativa e insieme risolviamo i problemi che si presentano, sempre sotto la guida dei proprietari degli animali che sono presenti attivamente e che solitamente si divertono a guardare Amelia all’opera, che si comporta più o meno come i loro figli.
Quello che tu documenti nelle tue immagini non è semplicemente il rapporto tra uomo e animale, ma è la proiezione, resa immagine, di un mondo possibile in cui i confini tra uomo e animali sono annullati. Descrive una quotidianità emotiva e di azione. È veramente, quello che tu mostri, un mondo possibile?
È il mondo che sogno. Questo mondo, nelle mie fotografie, si trasforma in realtà per un certo tempo, a volte solo per il momento della foto, a volte più a lungo. Produrre questo lavoro è stato esaltante. Anche da bambina questo era il mio pensiero rispetto agli animali, e nel tempo non è cambiato. Ho collezionato carte, libri per bambini con scenari fantastici, ho dipinto ragazze, scimmie, gatti quando ero adolescente. Questa mentalità si applica a tutti i miei progetti, a quelli precedenti ma anche a quelli nuovi.
Per ora sono tre i lavori su questo focus: Amelia & the Animals, We are all Primate: Amelia, Emily and Babie e l’ultimo Amelia Lore. State lavorando ad altri progetti?
Il primo libro pubblicato da Aperture, curato da Tim Barber, è stato Amelia’s World, nel 2008. Una pubblicazione più estesa e pubblicata da Aperture nel 2014, invece, è Amelia & The Animals.
In futuro, un altro progetto su cui spero di lavorare con Amelia è una sorta di libro per bambini, fatto con le bambole-scimmia che Amelia portava con sé nei nostri primi viaggi. Amelia, nelle fotografie, ha creato storie, personalità per ognuna di queste bambole. Queste bambole-scimmia sono diventate i miei nipoti fino a quando non sono state messe via perché ormai era diventata grande.
Qual è stato, nella vita di tua figlia, il suo primo animale?
Amelia, più di tutti, era legata al nostro cane whippet, Rebecca, che aveva un anno e mezzo più di lei. Si nascondevano nel letto insieme fin dall’inizio. Erano affezionatissime l’una all’altra. Mentre Becky stava morendo di tumore al cervello, Amelia aveva 10 anni, Becky 12. Gli ultimi suoi mesi di vita sono stati davvero duri da affrontare: aveva convulsioni e abbiamo dormito, a turno, sul pavimento con lei. Amelia era con Becky durante quell’ultimo attacco che l’ha portata in coma. Poi siamo andati tutti insieme dal veterinario per aiutarla a morire. Amelia non è mai più stata più vicina a nessun’altro dei nostri animali come lo era stata con Becky.