Quando la morte arriva è sempre portatrice di riflessioni sulla vita, sulla sua caducità, sulla sua fallibilità. La notizia della perdita di due amici di vecchia data ha innescato nella mente del fotografo americano Rick Schatzberg l’idea di ricucire – visivamente e fotograficamente – il gruppo di amici della sua gioventù. Accanto alle immagini storiche della comitiva Schatzberg mostra l’aspetto odierno dei compagni ancora in vita: la loro attuale fisicità, nuda e cruda, i corpi segnati dal tempo che raccontano le loro storie private. Abbiamo parlato con l’autore del suo progetto The Boys, diventato anche libro nel novembre del 2020, edito da powerHouse Books.
Ha iniziato The Boys per un moto personale, come forma di terapia per la perdita dei suoi due amici, o già aveva in mente una progetto?
Diversi anni fa ero a Praga con mia moglie quando, una mattina presto, ricevetti un messaggio da Jay che mi diceva che il nostro amico John era morto di overdose. Solo nove mesi prima Eddie era morto improvvisamente per un attacco di cuore. Durante il viaggio in aereo verso casa, tutto ciò a cui riuscivo a pensare erano John ed Eddie, li ho visti vividamente con molta chiarezza. Anche se non ero stato particolarmente vicino a nessuno dei due per molto tempo, li conoscevo da oltre sessant’anni. Ripensare alle loro vite mi ha portato all’idea di fotografare il gruppo di amici rimasto: una dozzina di uomini che conoscevo fin dall’infanzia, ad alcuni dei quali sono rimasto molto legato.
Quando il mio aereo è atterrato a New York sapevo che intraprendere un progetto fotografico formale su questi uomini e la nostra amicizia di lunga data era il lavoro più significativo che potessi fare. Nei giorni successivi, ho riflettuto più a fondo e ne ho discusso con loro, li trovai tutti pronti a partecipare. Sapevo che quello che volevo fare andava oltre onorare i ricordi dei nostri amici scomparsi o creare un ricordo nostalgico. Volevo dare uno sguardo sincero all’invecchiamento, alla mortalità e alla memoria, e farne un libro attraverso la lente dell’amicizia. Anche se la morte è inevitabile, spesso la consideriamo come qualcosa che accade alle persone sfortunate. Non possiamo immaginare la nostra assenza. Volevo fare un lavoro che fosse in gran parte incentrata sul tenere a mente la fine.
Il progetto comprende immagini d’archivio del vostro gruppo, ritratti che raccontano i singoli individui nella realtà di oggi e un apparato testuale che accompagna la vostra storia di vita. Come ha fatto dialogare tutti gli elementi tra di loro?
Combinare elementi disparati in un insieme coerente può essere difficile e quindi fin dall’inizio ho fatto in modo che la ricerca di un grande book designer fosse una priorità. Un collega mi ha presentato il designer olandese Syb, di cui conoscevo già il lavoro, ed è stato chiaro fin dall’inizio che avremmo potuto lavorare bene insieme. Per due anni io e Syb abbiamo collaborato a stretto contatto. Abbiamo realizzato numerose bozze e revisioni continue, che hanno portato all’aggiornamento di innumerevoli PDF. Inizialmente c’erano diversi elementi che mi piacevano, ma poi, nel tempo, mi sono sembrate delle distrazioni e così li abbiamo ridotti. Progettare un libro è molto simile all’editing di foto o testo: un processo spietato per scartare il superfluo, per quanto lo si possa amare.
Le foto di gruppo del passato raccontano la fratellanza, l’appartenenza, la malinconia; le immagini recenti, invece, indagano più da vicino la singola persona, mettendone in rilievo la storia personale attraverso i dettagli del corpo. Come ha concepito il dialogo tra passato e presente?
Le istantanee di noi da giovani sono quasi cinematografiche, molto vivaci, così piene di cameratismo e contesto ambientale. Per i ritratti fatti ai giorni nostri, invece, ho deciso di eliminare tutti questi dettagli: ci troviamo di fronte a un uomo anziano, isolato su una parete bianca, a torso nudo o con indosso una vecchia vestaglia da casa. Intravedo sempre me stesso in questi ritratti.
Al centro del concept del libro c’era l’idea di usare le pagine apribili per rivelare le versioni più vecchie di questi uomini solo dopo aver visto il loro ‘io’ più giovane. L’apertura e la chiusura delle pagine rallenta gli spettatori e c’è un sussulto quando si scopre il ritratto nascosto. Il formato fisico del libro richiede di guardare questi corpi che invecchiano, incorniciati solo dalle pagine bianche. Poi tocca allo spettatore creare un dialogo tra la versione vecchia e quella giovane di questi uomini.
The Boys si compone prevalentemente di ritratti, l’ambiente sullo sfondo è sempre in lontananza e l’attenzione è focalizzata sulle persone. Tuttavia, la copertina del libro, le prime immagini e le ultime mostrano dei luoghi deserti, vialetti, campi da basket, portoni chiusi. Sono i luoghi che contengono le vostre storie?
Quelli sono i luoghi dove sono iniziate le nostre storie. Il mio rapporto con la città di periferia in cui ho vissuto da giovane è stato complicato, di crescente alienazione. A partire dalla mia adolescenza mi sembrava semplicemente un luogo non autentico: file di case simili, costruite tutte in una volta. Lo descrivo chiaramente con una specifica espressione, inclusa in una delle sezioni di testo del libro: ‘Veniamo dal nulla’. Nelle mie fotografie contemporanee l’ambiente ritrae proprio l’assenza, rimandando all’alienazione rappresentata nelle fotografie del passatoe giocando al contempo con il divario tra esperienza e memoria.
Oltre ad essere un suo progetto fotografico, The Boys è anche un viaggio che ha fatto dentro sé stesso. A cosa è giunto alla fine di questo viaggio?
L’opera è iniziata con la morte di due amici. Purtroppo, è anche finita così. Infatti, proprio quando pensavo che il libro fosse finito, Brad e Fred sono morti a sei settimane di distanza l’uno dall’altro. Fred morì il giorno del suo sessantacinquesimo compleanno. Solo una settimana prima mi ero seduto accanto a lui e a sua moglie a una cena informale tenuta in memoria di Brad. Con le loro morti, qualunque equilibrio avessi raggiunto nel processo di realizzazione di The Boys è stato annullato in un istante. Un altro promemoria del fatto che i nostri corpi sono orologi che ticchettano. Detto questo, è anche un potente promemoria per vivere e amare, e per fare del mio meglio per non permettere che la mia storia si riduca a una biografia puramente clinica man mano che avanzo nell’età.