The Day May Break di Nick Brandt rientra tra le dodici mostre di respiro internazionale in programma per la quarta edizione di Fotografica. Festival della fotografia di Bergamo, in partenza sabato 14 ottobre a Città Alta (BG). La serie prodotta dal fotografo inglese consiste in un lavoro in corso d’opera finalizzato a ritrarre persone e animali vittime del degrado ambientale, con una coerenza stilistica magistrale. Con consapevolezza e determinazione Brandt piazza tutte le sue opere lungo un fumoso confine tra realtà e sogno, spiazzando il pubblico con una surreale compresenza di placidi animali selvatici ed esseri umani incredibilmente quieti.
The Day May Break si può definire un lavoro dedicato ai sopravvissuti?
Beh, è un modo possibile di sintetizzare il progetto dato che, di fatto, tutte le persone e gli animali ritratti sono dei sopravvissuti. Gli esseri umani fotografati per questa serie sono stati duramente colpiti da disastri ambientali collegati al cambiamento climatico: alcuni sono stati sfollati in seguito alla violenta azione di cicloni che hanno distrutto le loro abitazioni, altri – come Kuda, in Zimbabwe – hanno perso i loro figli, travolti dalle inondazioni.
Gli animali presenti nelle immagini, ospiti a lungo termine in diversi santuari (in Africa e in Bolivia, n.d.r.), sono a loro volta esemplari messi in salvo da situazioni di pericolo o disagio di varia natura, come la perdita dei loro genitori per mano del bracconaggio, la distruzione del loro habitat, o il commercio illegale di fauna selvatica. Quindi tutti i protagonisti di The Day May Break hanno attraversato delle difficoltà, ma sono sopravvissuti. Sono vivi, e se c’è vita c’è ancora una possibilità.
Come sei entrato in contatto con le persone che hai fotografato?
Dato che gli animali sono ospiti dei santuari, avevo bisogno che le persone da fotografare raggiungessero i centri dedicati alla fauna selvatica in cui avremmo effettuato le riprese. Per questa ragione, qualche settimana prima del mio arrivo sul posto diversi ricercatori viaggiavano esplorando i dintorni in cerca di uomini e donne colpiti in qualche modo dal cambiamento climatico. In Kenya, ad esempio, la squadra ha trovato delle persone che erano migrate da una città vicina perché ormai totalmente prive di mezzi di sussistenza, mentre in Zimbabwe i protagonisti delle immagini avevano affrontato viaggi decisamente più lunghi.
La nebbia è un elemento ricorrente della serie. Che ruolo ha?
La nebbia è l’elemento visivo unificante, che simbolicamente fa svanire un mondo un tempo ben definito. Gli animali e gli esseri umani condividono l’inquadratura, ma sono disconnessi; sebbene stiano nello stesso spazio non stabiliscono mai un contatto fisico o visivo. Tuttavia, era mia intenzione sfruttare la nebbia per rendere gli animali simili a un sogno, o un ricordo di ciò che le persone fotografate potrebbero aver visto nella loro vita, creando una sorta di legame.
Naturalmente la nebbia, del tutto atossica e creata sul posto con macchine per la nebbia a base d’acqua, è anche un rimando al fumo soffocante degli incendi selvaggi che stanno devastando gran parte del Pianeta e che spesso sono provocati dal cambiamento climatico.
Tecnicamente, come sei riuscito a ottenere un’atmosfera così malinconica in tutti gli scatti che compongono questo progetto?
Con la nebbia, appunto, e aspettando ogni giorno l’orario in cui le nuvole avrebbero cominciato a coprire il sole. A mio avviso la luce diffusa di quel fugace momento, specialmente nella fotografia in bianco e nero, contribuisce in modo fondamentale a generare un’atmosfera malinconica.
C’è una surreale e commovente coesistenza di animali ed esseri umani che condividono rispettosamente lo stesso ambiente. Ci sono state difficoltà pratiche in questo senso?
No, non per quanto riguarda la compresenza di esseri umani e animali. Le persone davanti alla fotocamera erano molto rilassate nonostante la ridotta distanza con i loro compagni di scena. Di tanto in tanto, rinoceronti o elefanti si avvicinavano lentamente per dare un colpetto a qualcuno, come ha fatto il rinoceronte Najin con James o l’elefante Kura con Luckness. La reazione delle persone si è esaurita in un impercettibile sussulto, e questo dimostra l’assoluta fiducia che tutti noi abbiamo riposto nei guardiani di ciascuno dei santuari in cui abbiamo lavorato. Il personale addetto era in perfetta sintonia con gli animali e la loro affinità era tangibile.
La vera difficoltà pratica è stata rappresentata dal vento relativamente alla nebbia che, come detto poco fa, veniva creata sul posto. Quando il tempo era nuvoloso, fresco e umido, la nebbia ammantava i soggetti come un velo etereo, ma in Zimbabwe abbiamo avuto delle difficoltà: temperature calde, intorno ai 32° C, umidità al 10% e vento estremo. La combinazione di questi tre elementi faceva evaporare la nebbia quasi nel momento stesso in cui usciva dalle macchine. In casi come questo, avevo a disposizione solo mezz’ora prima dell’alba e mezz’ora dopo il tramonto per fotografare. Ad ogni modo posso affermare che, malgrado la ridotta finestra temporale a disposizione, gli animali sono stati impeccabili e non hanno perso un colpo.
Spesso sembra che le anime degli esseri umani e degli animali siano profondamente connesse; si ha la sensazione che condividano la stessa sofferenza e in alcuni casi assumono pose quasi identiche. Com’è potuto succedere?
Bene, mi fa piacere sapere che la pensi così. La posa simile era intenzionale e aveva lo scopo di enfatizzare una connessione emotiva o un’affinità di sensazioni tra animali e umani, che sono a loro volta in qualche modo animali. Così ho dovuto attendere, di volta in volta, che gli animali assumessero una posa simile a quella scelta dal protagonista umano della scena.
Che funzione ha la lampadina che spesso compare nelle immagini della serie?
Gli oggetti di scena che compaiono nelle foto di The Day May Break rappresentano lo stretto necessario per vivere: una sedia, un tavolo, un letto e, per quanto riguarda la luce, una singola lampadina nuda per illuminare l’oscurità. Alcuni interpretano la lampadina come un simbolo di speranza e a me sta bene che scelgano di vederla in questo modo.
Qual è la specie più a rischio tra quelle da te fotografate?
I due esemplari di rinoceronte bianco settentrionale della riserva faunistica Ol Pejeta Conservancy, in Kenya, sono gli ultimi due rimasti al mondo. Quando Fatu, la figlia di Najin morirà, la specie sarà estinta. Tanto tempo fa l’areale di questi animali si estendeva in tutta l’Africa centrale, ma decenni di bracconaggio hanno segnato irreversibilmente il loro destino. Ogni anno si sperimentano complesse procedure di fecondazione in vitro nel tentativo di evitare l’estinzione della specie. Nel frattempo, la sicurezza armata vigila su Najin e Fatu sette giorni su sette, ventiquattro ore al giorno.
Perché The Day May Break si può definire un progetto carbon-neutral?
Sarebbe stato incoerente e inaccettabile non curarsi dell’emissione di anidride carbonica nel processo di realizzazione di un lavoro fotografico che vuole mettere in risalto proprio il problema del cambiamento climatico. Abbiamo preso in considerazione i voli, il trasporto di attrezzature, il carburante consumato da veicoli e generatori e abbiamo effettuato i pagamenti equivalenti per la compensazione del carbonio, sebbene abbiamo mantenuto una soglia di emissioni relativamente bassa. Nonostante la questione dei crediti di carbonio stia prendendo una piega particolarmente controversa di recente, con non pochi interrogativi circa l’effettiva efficacia del meccanismo, conosco personalmente luoghi in cui i crediti di carbonio hanno contribuito enormemente alla scoperta di aree selvatiche da preservare.
Qual è lo scopo di questo incredibile lavoro?
Quando realizzo un lavoro fotografico lo faccio sempre per me stesso, certamente augurandomi che qualche tappa del processo possa essere utile a sensibilizzare gli altri, aumentare la loro consapevolezza rispetto al disastroso impatto dell’azione dell’uomo sulla Terra. Spero che una volta acquisita questa consapevolezza le persone prendano decisioni più sagge e che tutti si fermino a pensare: ‘Siamo dei buoni antenati? Stiamo considerando l’impatto ambientale che le nostre azioni avranno sui miliardi di persone non ancora venute al mondo?’. Come disse Jonas Salk, il virologo che inventò il vaccino antipolio, ‘Se vogliamo essere buoni antenati, dobbiamo mostrare alle generazioni future il modo in cui abbiamo affrontato un’epoca di grandi cambiamenti e grandi crisi’.
La mostra The Day May Break di Nick Brandt nell’ambito di Fotografica 2023 è a cura di Arianna Rinaldo. Tutte le informazioni su festival e sulle mostre in programma sono disponibili sul sito ufficiale fotograficafestival.it.