Milano
Dal 9 febbraio al 1° aprile 2024
Daniele Tamagni aveva uno stile tutto suo, che sapeva mettere in connessione la documentazione fotografica con la ricerca del fashion, dell’elemento più sgargiante e modaiolo. Colori, abiti, personaggi, luoghi, nuovi Paesi, tutto per lui aveva un senso di cultura e di ricerca, ed è questo che lo attirava in giro per il mondo, alla scoperta di nuove storie da raccontare, come quella dei sapeurs congolesi, che Daniele ha sapientemente colto in Gentlemen of Bacongo.
Daniele Tamagni. Style is Life, a Palazzo Morando di Milano fino al 1° aprile, a cura di Aïda Muluneh e Chiara Bardelli Nonino, è la mostra che gli rende omaggio, che rende omaggio al suo stile così rivoluzionario. Ne abbiamo parlato con una delle curatrici, Chiara Bardelli Nonino, e il padre di Daniele, Giordano Tamagni.
La mostra racchiude sette anni di produzione di Daniele. Come avete ideato il progetto?
CBN: Lavorando sull’archivio di Daniele, insieme a Aïda Muluneh, ci siamo trovate a tornare sempre sugli stessi temi, che si intersecano tra loro in tutta la mostra: la sua particolare attenzione per le controculture e la rappresentazione della moda lontana dallo sguardo eurocentrico. Nella nostra visione curatoriale, la fotografia, per Daniele, diventa prima di tutto uno strumento di ricerca di spiriti affini, un modo per creare una comunità con cui condividere gli stessi valori, in cui sentirsi accolto. Le sue foto, quindi, sono sempre un dialogo, hanno un’impronta relazionale e partecipativa attraverso cui non solo i soggetti sono sempre inclusi nel processo creativo, ma anche lo spettatore si sente invitato a diventarne parte, con la propria interpretazione.
Nelle immagini di Daniele si percepisce una regia. Come le realizzava?
GT: Prima di tutto, ogni suo progetto prevedeva un’approfondita ricerca tramite fonti bibliografiche, articoli di giornali, video sul web, per documentarsi sul contesto ambientale, sociale e culturale con cui si sarebbe trovato in contatto. Inoltre, prima dello scatto Daniele cercava sempre di conoscere il suo soggetto nel suo ambiente, anche familiare. Quando poi passava alla fase fotografica, lasciava l’iniziativa ai suoi soggetti, che, frequentandolo, entravano in empatia con lui, comportandosi in modo naturale. Per quanto riguarda, invece, la preparazione della scena, solitamente ricercava uno sfondo mai neutrale o troppo artificiale, doveva avere una propria storia, una propria vita, come una vetrina colorata o un cartellone pubblicitario. Per quanto riguarda la composizione dell’immagine cercava sempre ispirazione dalla storia dell’arte come da Antonio del Pollaiolo, Van Gogh o Rembrandt.
Negli anni Daniele si è concentrato sulla documentazione della moda di strada, incontrata in giro per il mondo. Come si è avvicinato a questo particolare focus?
CBN: Daniele aveva un istinto formidabile per trovare storie lontane dai riflettori dei canali mainstream, un’urgenza molto forte di comunicarle, e l’enorme problema di non trovare lo spazio adatto che le ospitasse. Basta pensare a Gentlemen of Bacongo, il libro pubblicato da Trolley Books, che lo ha lanciato sul panorama internazionale nel 2009. Sfogliando le riviste europee e americane di quel periodo, è molto chiaro quanto la visione di Daniele fosse pionieristica, e quanto poco i magazine tradizionali fossero pronti ad accoglierla. E così, con una specie di acrobazia impossibile, Daniele non solo si è inventato un linguaggio personalissimo, che tenesse assieme street photography, moda e fotografia documentaria, ma si è anche creato lo spazio globale dove esprimerlo.
In Gentlemen of Bacongo Daniele racconta, per immagini, la vita dei Sapeurs congolesi, i “dandy” di Brazzaville. Qual è la loro storia e come avvenne l’incontro con Daniele?
GT: I Sapeurs sono i membri della Société des Ambianceurs et des Personnes Élégantes (Società dei creatori del gusto e delle persone eleganti). Si tratta di un movimento nato in Congo, negli anni Venti del Novecento, durante il colonialismo francese, specificamente nel quartiere Bacongo di Brazzaville. I giovani congolesi restarono affascinati dal modo elegante e raffinato di vestire dei francesi e cominciarono ad imitarli. Spesso, infatti, chi lavorava per loro riceveva, come paga o in regalo, i vestiti usati. I Sapeurs si contraddistinguono per essere dei gentlemen, possedere sofisticata eleganza e buongusto nel vestire.
Daniele frequentava Brazzaville già dal 2006. Nel 2007 gli era stato segnalato questo gruppo di “dandy” dal direttore della rivista italiana Africa. Inizialmente, prima di incontrarli, ne approfondì la storia e la simbologia leggendo i due libri di Justin-Daniel Gandoulou, Dandies à Bacongo: Le culte de l’élégance dans la société congolaise contemporaine (L’Harmattan, 1989) e Au coeur de la Sape (L’Harmattan, 1985). Grazie, poi, alle relazioni locali che aveva stabilito in precedenza fu facile per lui entrare in contatto con alcuni di loro, che a loro volta lo introdussero via via ad altri Sapeurs.
L’abbigliamento, che fotografava per le strade del mondo, rappresentava, secondo lui, anche un atto politico?
CBN: A me sembra che a Daniele interessasse moltissimo la moda, ma in un’accezione molto particolare, ovvero quando diventava un atto di resistenza, di affermazione identitaria. Che fossero i Sapeurs, gli Afrometal o le Cholitas, le storie che sceglieva di raccontare avevano quasi sempre gli stessi protagonisti: la moda e le controculture. E sono due temi che, quando legati indissolubilmente, hanno necessariamente una valenza politica.
Fotograficamente, chi sono gli autori che l’hanno influenzato?
GT: Sicuramente Henri Cartier-Bresson, per il suo “momento decisivo”, la naturalezza e la spontaneità con cui coglieva i suoi soggetti, senza far rilevare troppo la sua presenza; Alex Webb, per i suoi colori e le sue geometrie; ed infine Nino Migliori, che, con la sua serie degli anni Settanta Muri, ispirò il lavoro di Daniele Vita da muri, il suo primo progetto, esposto alla libreria Hoepli di Milano. In quel caso, ponendosi a distanza dal muro, aspettava che i passanti lo ispirassero e che potessero, con la parete urbana, entrare in dialogo, esprimendo un sentimento, un’emozione o uno stato d’animo.
Daniele Tamagni. Style is Life
- A cura di Aïda Muluneh e Chiara Bardelli Nonino
- Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, via Sant'Andrea, 6 – Milano
- dal 9 febbraio al 1° aprile 2024
- mar-dom 11-19. Lunedì chiuso
- ingresso gratuito