Tra i miei amici ciclisti “stradisti”, moltissimi hanno venduto o declassato a muletto la bici da corsa con i freni classici, quelli con i pattini che stringono il cerchio, per passare a quella con i freni a disco. I freni a disco si sono imposti inizialmente nella mountain bike, dove serve tanta potenza, massima modulabilità e costanza di rendimento non solo sotto una pioggia improvvisa, ma anche semplicemente con terreni umidi e fangosi, condizione che nei boschi può verificarsi anche dopo giorni di cielo sereno. Agli amanti della strada, fermo restando che un acquazzone estivo può essere imprevedibile, il buon senso impone di dedicarsi ad altre attività quando c’è cattivo tempo, l’asfalto è bene che sia asciutto. Quindi dei freni a disco si potrebbe fare a meno, anche in quelle situazioni “estreme”, come certe lunghe e ripide discese alpine, che i “progressisti” ritengono ad alto rischio perché l’attrito del pattino sul cerchio potrebbe elevare a tal punto la temperatura dell’aria contenuta nello pneumatico da causarne l’esplosione. Chi ha esperienza, invece, sa come frenare, quando frenare, quanto gonfiare le gomme, con asfalto asciutto o umido, e adesso fa affari d’oro. Le biciclette con freni a disco, che comunque non sono esenti da “difetti” congeniti, tra cui il maggior peso e la maggior richiesta di manutenzione, conquistano ormai la quasi totalità delle vendite nel mercato del nuovo, e molte Case hanno lasciato a catalogo pochi modelli con freni classici o addirittura nessuno. E quelle con i freni classici, e i relativi componenti incompatibili con il sistema a disco, affollano qualsiasi mercato dell’usato, reale o virtuale, a prezzi stracciati. Una piccola parte dei miei amici ciclisti “stradisti” ne sta approfittando, allestendo bici da professionista con quattro soldi.
Tra i miei amici fotografi, moltissimi hanno venduto o declassato a muletto la reflex, quella con lo specchio, per passare alla mirrorless, quella senza specchio. La mirrorless si è imposta inizialmente per le sue doti di compattezza e leggerezza, dato che al complesso, costoso e ingombrante sistema ottico di mira, composto da specchio mobile, vetro smerigliato e pentaprisma, ha sostituito uno snello mirino elettronico che mostra un’immagine prelevata direttamente dal sensore. Negli anni, mentre questo vantaggio teorico si è infranto contro le leggi dell’ergonomia, fondate sulle dimensioni medie della mano umana, e le mirrorless sono lievitate assumendo dimensioni simili a quelle di una classica reflex, un altro è emerso con evidenza, ossia il maggior agio a disposizione dei progettisti nel disegnare ottiche di qualità eccelsa, anche di elevatissima apertura relativa. Uno spazio di manovra concesso proprio dall’abolizione dello specchio e dalla conseguente possibilità di avvicinare le lenti al sensore, nonché dall’adozione di innesti maggiorati che agevolano l’elaborazione di schemi ottici telecentrici, ossia con lenti posteriori di grande diametro che proiettano raggi quasi perpendicolari persino agli angoli del sensore. Altri aspetti, poi, anche se non sempre realmente compresi o correttamente valutati da tutti, hanno favorito l’espansione delle mirrorless. Ad esempio, i vantaggi connessi alla mira elettronica, tra cui la previsualizzazione delle impostazioni e la messa a fuoco “al buio”, l’autofocus a tutto campo in grado di rilevare e mantenere a fuoco gli elementi principali dell’immagine, e la cadenza di scatto a decine di fotogrammi al secondo, impossibile da raggiungere in un sistema a specchio mobile. Chi ha esperienza o esigenze meno esasperate continua a sfruttare la propria reflex e adesso fa affari d’oro. Il mercato della fotografia, infatti, si fonda ormai quasi esclusivamente sulle mirrorless e molte Case hanno addirittura interrotto la produzione delle reflex. Queste, insieme a obiettivi di qualsiasi focale, luminosità e pregio, affollano qualsiasi mercato dell’usato, reale o virtuale, a prezzi stracciati. Una piccola parte dei miei amici fotografi ne sta approfittando, allestendo corredi da professionista con quattro soldi.