Il biologo marino e fotografo Emilio Mancuso è il vincitore della sezione Reportage del Vallisneri Photo Contest. Il suo lavoro, intitolato In un MARE di guai, nasce dall’esigenza dell’autore di stimolare l’essere umano a ridisegnare il proprio rapporto col mare, mostrando angoscianti tracce dell’irrispettosa attività antropica che affligge gli ecosistemi subacquei di tutto il mondo.
Competente e attento alla salvaguardia delle meraviglie racchiuse sotto la superficie dei dei mari e degli oceani, Mancuso è testimone di bellezze naturali per molti sconosciute. Lo abbiamo intervistato per saperne un po’ di più a proposito dei magnifici scenari di cui si è reso spettatore e fotografo nel corso degli anni.
È nata prima la tua passione per il mare o per la fotografia?
È decisamente nata prima la grande passione per il mare – sin da bambino – e ha caratterizzato tutte le scelte della mia vita. A sedici anni ho conseguito il mio primo brevetto e ho iniziato a dedicarmi all’attività subacquea. Da allora non ho più smesso e, con immenso piacere, sono riuscito a coniugare studi e passione, diventando biologo marino e subacqueo per mestiere.
Come hai deciso, poi, di dedicarti alla fotografia subacquea?
Un po’ per caso e un po’ per esigenze lavorative. La fotografia subacquea mi ha sempre affascinato, ma tempo fa l’attrezzatura necessaria era al di là delle mie possibilità. Nel 2007 per un progetto di foto-identificazione incentrato sugli squali balena, ho noleggiato una piccola compatta che doveva servire solo a inquadrare un brano di pelle di questi magnifici animali. Da quel brano di pelle ho iniziato a spostarmi sul muso e le branchie, dopodiché la fotografia subacquea mi ha totalmente stregato.
Qual è il pesce più straordinario che hai fotografato?
Per fortuna, e forse un po’ di bravura, il lavoro mi ha portato a vedere e fotografare piccole e grandi meraviglie di diversi mari. Sono molto affezionato agli squali balena e alle mante, che andrebbero chiamate ‘Mobule’, ma devo ammettere che uno degli incontri più emozionanti che ho avuto, con la fotocamera, è stato quello con le megattere, in Polinesia.
Nel 2017 ho avuto il privilegio di essere a Moorea, Polinesia Francese, per il loro passaggio, e di trovarmi così in freediving insieme a una coppia in fase di corteggiamento, due esemplari lunghi venti metri che ‘danzavano’ scendendo a cinquanta metri di profondità, per poi tornare delicatamente in superficie, girando l’uno sull’altro. Ho provato simultaneamente sensazioni di meraviglia, pace ed equilibrio, vivendo un momento di rara bellezza in cui la parte più difficile è stata trattenere le emozioni e portare l’occhio al mirino della fotocamera.
Hai qualche aneddoto di vita sottomarina, in fase di scatto, da raccontarci?
Tra i tanti animali marini che adoro, i polpi hanno un posto in prima fila, specialmente il coconut octopus [polpo del cocco, n.d.r.]. Appartiene ad una specie tropicale ed è veramente geniale e buffo. Per adattarsi all’ambiente è solito usare i detriti come nascondigli temporanei, e così mi è capitato di vederlo usare grosse conchiglie, pezzi di noci di cocco, e purtroppo anche tentare goffamente di nascondersi dentro barattoli e bottiglie di vetro o persino confezioni di plastica trasparente.
Quali sono le più grandi difficoltà per un fotografo subacqueo?
Prima di tutto occorre essere bravi subacquei: il controllo dell’assetto permette di non urtare il fondale, evitando di sollevare sabbia, detriti o pulviscolo e di ‘inquinare’ il set con movimenti insensati; la respirazione corretta aiuta a non sprecare aria e a non spaventare gli animali, dato che le bolle producono rumore. Vista la necessità di concentrarsi sull’osservazione e sulla ripresa è necessario che la gestione della sicurezza in immersione faccia parte del DNA del fotografo subacqueo. Solo così si può riuscire a portare a casa qualche scatto interessante.
Come ti approcci ai pesci quando li devi fotografare?
Sapere con chiarezza cosa si vuole cercare e fotografare aiuta la pianificazione e la scelta dell’attrezzatura fotografica, visto che sott’acqua non si può cambiare obiettivo. Disporre di un fisheye piuttosto che di un obiettivo macro, ad esempio, cambia radicalmente l’approccio alla sessione di ripresa. Una volta trovato il soggetto o la scena desiderata bisogna sempre fare i conti con la luce ambientale e la luce dei flash, perché lo scatto appaia come desiderato. La cosa più importante, però, è il rispetto per l’ambiente e per l’animale, che non vanno assolutamente alterati o disturbati. Quando il soggetto si trova in una posizione poco idonea alla ripresa è opportuno desistere per essere certi di non arrecare danni all’ambiente circostante.
Il tuo lavoro, oltre a raccontare la fauna marina, porta all’attenzione dello spettatore anche una critica ambientale. Come la ricerca estetica e compositiva delle tue immagini entrano in dialogo anche con questo aspetto?
All’inizio della mia esperienza di fotografo subacqueo naturalista uno degli aspetti più difficili era, soprattutto nella fotografia grandangolare, evitare di includere nel fotogramma qualche brutta traccia del passaggio dell’uomo. Era un esercizio di sottrazione dell’impronta che l’uomo lascia negli ecosistemi marini, finalizzato a portare a casa lo scatto di una natura incontaminata.
A un certo punto, però, il confronto costruttivo con amici e colleghi sia biologi che fotografi, mi ha indotto a includere queste tracce nello scatto, come parte di un lavoro di testimonianza e di comunicazione: noi uomini siamo stati e siamo causa di molti problemi, e spero che le mie immagini stimolino la società civile a ripensare il rapporto col mare e in generale col nostro Pianeta.
Pensi che avrebbe senso fotografare in bianco e nero il mondo sottomarino?
Mi è capitato qualche volta, con soggetti molto carismatici come le verdesche o le tartarughe marine che hanno forme ed eleganza che vengono esaltate dal bianco e nero.
Quanto incide la postproduzione sulla tua estetica?
Indubbiamente può aiutare a rendere l’immagine più leggibile ma non è risolutiva: lo scatto deve essere immaginato e costruito prima che il dito faccia pressione sul tasto di scatto, e nella fotografia naturalistica subacquea questo richiede tanta pazienza e tanta conoscenza degli ecosistemi in cui ci si immerge.
Quali sono i tuoi riferimenti fotografici e culturali?
Fortemente permeato dalla cultura e dalla curiosità scientifica, ho la fortuna di annoverare tra amici e colleghi sia biologi marini che fotografi subacquei strepitosi, professionalmente e umanamente, sempre aperti al confronto e sempre generosi nel raccontare dettagli e retroscena da cui ho imparato e continuo a imparare tanto. In questo dialogo costante tra scienza e arte cerco di usare la fotografia subacquea per dare voce a quello che Jacques Cousteau chiamò ‘Il mondo del silenzio’, per far sì che le persone conoscano l’importanza del mare attraverso la sua infinita bellezza. La mia più grande ambizione è riuscire a trasmettere, attraverso le mie fotografie, le emozioni che provo al momento dello scatto.
Lo scorso 9 ottobre FOTO Cult, in collaborazione con EIZO, ha dedicato un incontro in diretta del ciclo ON AIR alla fotografia subacquea. Il pluripremiato fotografo Pietro Formis ha mostrato e raccontato una selezione del suo vasto e suggestivo repertorio di immagini realizzate sott’acqua.
Il video integrale della diretta è disponibile sul canale YouTube di FOTO Cult ed è raggiungibile tramite il collegamento che segue questo paragrafo.
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