Con The Edge of Life Giulio Di Sturco parla indirettamente anche di sé, della sua famiglia, della sua esperienza, ma anche della società contemporanea, della ricerca scientifica che evolve e di una nuova generazione di genitori e bambini: i “sopravvissuti”, come li chiama lui.
Ai bambini prematuri, nati dopo appena 21 o 22 settimane di gestazione, grazie alla tecnologia e al progresso della scienza medica è data la possibilità di vivere. Non ovunque però. Giulio racconta cosa succede all’interno dell’unità di terapia intensiva neonatale del Bristol Southmead Hospital, nel Regno Unito.
Come nasce l’idea di produrre The Edge of Life?
Mia figlia è nata prematura e volevo raccontare cosa succede all’interno della terapia intensiva per i bambini nati nelle stesse condizioni. In realtà oltre che con finalità di documentazione e narrazione ho iniziato a produrre questo documentario anche per capire meglio, in maniera lucida e senza essere coinvolto in prima persona, quello che succede all’interno di questo reparto e cosa implichi trasversalmente. Inizialmente ho frequentato l’intensive care del Bristol Southmead Hospital per una settimana, cercando di capire quale accesso avrei potuto avere, come avrei potuto raccontare la storia e soprattutto che tipo di reazione io stesso avrei avuto nel tornare in un reparto di terapia intensiva neonatale. Solo stando lì ho capito che il miglior medium per raccontarlo era il video.
Perché?
Perché la fotografia in questo caso la sentivo limitante. Un elemento fondamentale di questo progetto è il suono, rendere percepibile i rumori del reparto: le voci, il modo in cui i medici parlano ai genitori, come si rivolgono ai bambini, i macchinari, e soprattutto gli allarmi. Avendo vissuto in prima persona quell’esperienza ricordo vividamente i suoni che animavano l’unità di terapia intensiva neonatale e per questo motivo dovevo e volevo riuscire a riprodurli. Con il video ci sarei potuto riuscire, con la fotografia ovviamente no.
Il documentario avrà una distribuzione?
Sicuramente. Per ora abbiamo prodotto il teaser, con dei finanziamenti da parte di alcune fondazioni pediatriche, e l’idea è quella di usarlo per raccogliere fondi per il documentario e, di conseguenza, per il mondo della neonatologia.
Perché ti sei concentrato sull’unità di terapia intensiva neonatale del Bristol Southmead Hospital?
Perché il Bristol Southmead Hospital è uno dei pochi ospedali in Europa che gestisce la terapia intensiva di bambini nati dopo appena 21/22 settimane di gestazione, ed inoltre perché, per caso, durante un periodo di vacanza, ho conosciuto un neonatologo tedesco, il dottor Charles Roehr, presidente dello European Society for Pediatric Research, che lavora in quell’ospedale e che aveva voglia di mostrare anche all’esterno cosa è un reparto di intensive care neonatale e di cosa sia davvero la neonatologia, una branca della medicina poco conosciuta e vista con diffidenza, se non ci sei passato in prima persona.
In cosa consiste l’intensive care neonatale, quindi?
È la terapia intensiva per i bambini prematuri. Lì ci sono bambini che alla nascita non hanno ancora sviluppato appieno polmoni, cervello, e che pesano dai 400 ai 700 grammi. Hanno bisogno di macchinari per essere mantenuti in vita, e restano mesi in un’incubatrice in cui vengono nutriti e aiutati a crescere come se fossero ancora nella pancia della mamma.
E in Italia che politica c’è in merito alla neonatologia e alla cure intensive neonatali?
In Italia, se il bambino nasce di 21/22 settimane, è il medico a decidere se intervenire o meno. Il problema è che un bambino tanto prematuro non respira da solo, tant’è vero che esiste una figura medica, chiamata “il resuscitatore”, che li intuba e, per certi versi, li riporta in vita. In Italia, per legge, se un bambino nasce prima delle 24 settimane, il medico può decidere di non aiutarlo.
Il documentario ha delle valenze anche politiche?
Sicuramente l’intento è di non farne un documentario tecnico. L’unità di intensive care neonatale è una specie di bolla, con il suo linguaggio, ed è spesso compresa solo dal personale medico e dalle famiglie coinvolte. Il mio intento, invece, è quello di espandere anche all’esterno la conoscenza di questa realtà, di questo processo, secondo un linguaggio comprensibile a tutti.
Il tuo lavoro è un progetto trasversale: oltre a mostrare cosa succede nel reparto indaga anche su cosa questo nuovo modo di venire al mondo implichi nella società…
Sì, certo. Ho voluto raccontare di una nuova generazione di genitori e bambini che vent’anni fa non esisteva. Allora i bambini di 21/22 settimane non ce l’avrebbero fatta. È una nuova generazione di “sopravvissuti”.
In futuro, quindi, la tua idea è anche di raccontare le storie specifiche di questi “sopravvissuti”?
Assolutamente sì. L’idea di base è di trovare una serie di coppie che acconsentano ad essere seguiti prima, durante e dopo il parto.
Hai preso in considerazione di raccontare la storia di tua figlia e della vostra famiglia?
No perché non ho molto materiale di quando, in prima persona, abbiamo dovuto vivere l’unità di terapia intensiva. Sicuramente sarà inserita nel documentario in qualche modo, ma ancora non so come.
Nella produzione di The Edge of Life vedi un collegamento con i tuoi progetti passati?
Sì, certo. Anche il documentario, come i miei lavori passati, è impregnato del concetto di tecnologia e futuro, e della mia volontà di raccontare uno spaccato sociale. Ritraggo, infatti, i nuovi macchinari e le nuove tecnologie che garantiscono un nuovo modo di venire al mondo. Inoltre una parte del progetto sarà sulla fecondazione in vitro, direttamente collegata alla prematurità, e su come nasceremo tra vent’anni. Ora mi trovo a Berlino, ad esempio, perché stanno sperimentando la placenta artificiale e l’utero artificiale. Gli incubatori, soprattutto quelli di ultima generazione, sono vitali per la sopravvivenza di molti prematuri, ma la maggior parte di questi bambini muore per infezioni: probabilmente ricreare un ambiente che riproduca l’utero materno è utile a proteggerli più adeguatamente da questi rischi. In The Edge of Life continuo a trattare e a raccontare il proiettarsi nel futuro della società contemporanea.
Per saperne di più sul lavoro di Giulio Di Sturco www.giuliodisturco.com