Bard (AO)
Dal 28 ottobre 2023 al 3 marzo 2024
Gian Paolo Barbieri. Oltre, fino al 3 marzo al Forte di Bard, a cura di Emmanuele Randazzo, Giulia Manca e Catia Zucchetti, è una lente di ingrandimento sulla vita professionale del fotografo di moda, e non solo, Gian Paolo Barbieri. Dedicatosi alla moda con una passione spasmodica per le immagini e la pittura, Barbieri ha saputo anche mutare pelle nel corso della sua carriera, riplasmare il suo pensiero esistenziale e conseguentemente anche il suo stile fotografico, ricercando costantemente l’autenticità e la bellezza. Gian Paolo Barbieri. Oltre è una carrellata di immagini che ricongiunge tutto il suo lavoro. Ne abbiamo parlato con lui.
Cosa l’ha spinta a interessarsi al mezzo e al linguaggio fotografico?
In realtà non avevo mai pensato di fare il fotografo, non ho mai studiato fotografia. La mia aspirazione più grande era diventare attore, ma la fotografia accompagnava sempre le mie giornate, impegnate nel rifacimento delle pièce teatrali, dei romanzi o del cinema, insieme al “Trio”, gruppo fondato da me e dai miei amici. Sperimentavo l’utilizzo della luce e cercavo di imitare ciò che vedevo nel cinema e nel teatro.
Il cinema, l’arte e la letteratura hanno un ruolo fondamentale nel mio lavoro. Si può dire che sia tutto iniziato da lì: dalla scelta della luce a quella del trucco, fino al dinamismo che ho sempre cercato di dare alla mia fotografia. Ho sempre cercato di raccontare qualcosa che stava accadendo: come nel teatro o nel cinema tutto scaturisce da un conflitto sia interiore che esteriore, così accade nelle mie fotografie.
Qual è il concetto di “corpo” che ha perseguito nell’intero arco della sua produzione fotografica?
Il corpo e le sue forme mi hanno da sempre attratto. Dapprima attraverso la moda, poi attraverso la natura e infine con la complessità dell’uomo. Per tutta la vita ho cercato di declinare i molteplici aspetti che lo caratterizzano. Dovevo sperimentare per conoscere a fondo l’umanità attraverso l’introspezione ed ero convito che fossi in grado di farlo grazie alla fotografia.
Nelle sue immagini è evidente il richiamo all’arte pittorica. Chi lo ha influenzato di più e come lo ha inserito nel suo linguaggio contemporaneo?
Fin da piccolo l’arte in generale è stata per me la finestra su un altro mondo che mi permetteva di imparare e creare. Mi recavo in Galleria Vittorio Emanuele e compravo delle cartoline di dipinti famosi da cui prendevo ispirazione per i miei disegni che poi rivendevo durante l’estate a Santa Margherita Ligure per guadagnarmi un po’ di soldi. Mi nutrivo di figure e di colori che poi cercavo di riportare nella fotografia. Adoro in particolar modo la pittura, ho dipinto diverse cose e lo stile di Gauguin è quello che mi appassiona di più. In fotografia ho cercato di simulare l’effetto della pittura ad olio mettendo sull’ottica della vasellina; e spesso le scenografie le dipingevo io: costruivo delle vere e proprie ambientazioni che ricordassero qualche dipinto o lo stile di un pittore che amo. Come ad esempio la campagna realizzata per Vivienne Westwood nel ’98: lo scatto in mostra rappresenta una ragazza seduta all’interno di una stanza di Matisse.
Negli anni Novanta numerosi viaggi in zone esotiche e a contatto con altre culture l’hanno portata a raccontare queste realtà tramite la fotografia. Come la sua estetica correlata alla fotografia di moda rientra in queste nuove narrazioni etnografiche?
La curiosità è ciò che mi ha sempre guidato e che mi ha condotto attraverso il lontano e l’ignoto. Negli anni ’80 ci fu un cambiamento molto significativo per la mia carriera: quando il Signor Sartori morì, subentrò al suo posto la Signora Sozzani, la quale prese in mano le redini di Vogue Italia dando maggiore spazio ai fotografi stranieri e lasciando nella penombra quelli italiani. Fu durante quel periodo che mi spinsi altrove, per ritrovare me stesso. Riuscii per la prima volta dopo tanti anni a fermarmi e chiedermi davvero cosa volessi.
Così mi allontanai e mi rifugiai nei mari del Sud. Nell’impossibilità e nell’inutilità di ricostruire dei set analoghi a quelli della moda, quel che mi rimaneva era osservare quanto più possibile e attraversare lo sguardo di quella gente e di quei luoghi. Mi sentivo come un fotografo d‘oltre mare alla scoperta del diverso. Era tutto più naturale in quanto l’anima delle persone era piuttosto familiare, di una familiarità basata sul contatto; non c’era bisogno di costruire il fascino, di inventare una distanza perché i personaggi ritratti erano davvero distanti e lo sforzo da fare era quello dell’avvicinamento.
Dopo aver rappresentato per tanto tempo gli occhi, il trucco, il maquillage, ho cercato lo sguardo, l’interiorità della persona, il suo sentire che vibra attraverso lingue sconosciute e risonanze misteriose. Ma non solo. Nonostante i tropici fossero già diventati territorio di abusi e conquiste, ho cercato di inseguire ancora la bellezza e l’autenticità, in parte provando a ricalcare le orme di Gauguin. Ma è nella mia natura manipolare la realtà, compiaciuto di nascondere i confini fra vero e falso, fra spazio artificiale e spazio praticabile. Decisi quindi di cambiare il punto di vista, ribassandolo e trasformando i soggetti, soprattutto gli elementi naturali, in un’architettura monumentale, una costruzione che domina la sua mole. È ciò che più amo di van Dyck, El Greco e Rubens: un taglio che distorce lo spazio, lo ribalta verso di noi, eleva la figura e in generale il soggetto, come un’entità superiore.
I suoi set, dall’allestimento scenografico al trucco e agli accessori dei modelli, sono conosciuti per essere pensati e prodotti da lei in persona con attenzione al minimo dettaglio. Ci sono degli aneddoti che ha voglia di raccontarci?
Mi piace ricordare la volta che con Valentino ho dato libero estro alle mie “follie”. Era il 1967, quando mi trovavo a Roma nel suo atelier, intento a progettare la campagna per la sua collezione ispirata al deserto. Decisi di riempire di semolino il piano interrato del suo studio per ricreare un deserto; disegnai le dune con il carboncino e in base allo scatto che volevo realizzare, cambiavo il fondale. Il tutto con il suo fondamentale supporto. È sempre stato un ottimo compagno di squadra, tanto che per l’ultima sfilata della Maison ha ricreato la stessa scenografia che nel ’67 realizzammo insieme.
Il pensiero di quale stilista sente più affine al suo linguaggio fotografico?
Difficile eleggere un unico stilista in termini di affinità di linguaggio. Walter Albini, Valentino e io abbiamo contribuito alla creazione del prêt-à-porter italiano e con Armani e gli altri abbiamo fatto sì che la moda italiana avesse una risonanza anche al di fuori dei suoi confini. Con Valentino e Armani, condividevo la passione per il bello, se pur da angolazioni diverse, ma comunque avevamo tutti la voglia di cambiare qualcosa. Poi c’è Gianfranco Ferré, un grande amico prima di tutto e uno dei più grandi stilisti con cui ho collaborato. Le nostre visioni si incastravano perfettamente: Ferré sapeva esattamente ciò che avrebbe voluto ottenere e riusciva a trasferirmi il suo immaginario, al quale io sapevo aggiungere una visione altra della realtà così da “costruirci” vicendevolmente.
Come valuta l’estetica attuale legata alla moda?
Da quando la moda porta questo nome, è sempre stata il linguaggio universale attraverso cui le persone hanno misurato e modificato la propria efficienza estetica, con l’obiettivo di arrivare a essere desiderati dai propri simili. La moda è ciclica, viene e va, per poi tornare ancora. In questo momento storico c’è un particolare attaccamento agli anni ’90, uno sguardo che si concentra sull’estetica di quegli anni. È un modo per mantenere intatto un legame tra il nostro mondo e quello che piano piano sta svanendo. Si cerca di far respirare ancora, attraverso la materia, un tempo che ha determinato molti di noi.
Ulteriori informazioni sulla mostra sono disponibili nel sito ufficiale fortedibard.it.
Gian Paolo Barbieri. Oltre
- A cura di Emmanuele Randazzo, Catia Zucchetti e Giulia Manca
- Forte di Bard, 11020 Bard (AO)
- dal 28 ottobre 2023 al 3 marzo 2024
- martedì-venerdì 10-18, sabato, domenica e festivi 10-19. Lunedì chiuso
- intero 8 euro, ridotto 7 euro
- fortedibard.it