Viene inaugurata in questi giorni una mostra su uno dei grandi maestri del Novecento. Un autore diventato un classico nella storia della fotografia grazie alla sua predisposizione a rompere gli schemi del passato.
Sono passati poco più di due anni dalla scomparsa di Frank Horvat e il museo parigino Jeu De Paume ne celebra la carriera mettendo in mostra circa 170 stampe e una settantina di reperti d’archivio. In realtà l’esposizione non copre l’intera produzione del fotografo ma si concentra sul periodo tra il 1950 e il 1965, quando Horvat si fece conoscere in tutto il mondo sia come fotoreporter, sia come fotografo di moda. I suoi servizi furono pubblicati da importanti testate come Epoca, Paris-Match, Picture Post, Life, Harper’s Bazaar, Vogue e una rivista il cui nome potrebbe non dire molto ma che pubblicò una delle foto di moda più iconiche di tutti i tempi, proprio a firma di Horvat. Si tratta del mensile Le Jardin des Modes, stampato dal 1922 al 1997.
Frank Horvat: francese d’adozione ma italiano di nascita
Fu tra le pagine di Le Jardin des Modes che nel 1958 comparve il ritratto di una modella con un cappello di Givenchy che le nascondeva il volto quasi interamente mentre cinque uomini di spalle erano intenti a seguire un’immaginaria corsa di cavalli. È uno degli scatti di moda che nessuno può dire di non avere mai visto, però la cosa che pochi sanno è che la sua paternità è italiana. Infatti Horvat, nonostante il cognome possa trarre in inganno, era francese d’adozione ma italiano di nascita. Infatti nacque nel 1928 nella città di Abbazia, oggi in Croazia ma allora suolo italiano. I suoi genitori erano originari dell’Europa centrale e lo chiamarono Francesco.
Essendo di religione ebraica nel 1939 dovettero cercare rifugio in Svizzera, ma il figlio si trasferì a Milano dopo la guerra e lì iniziò la sua carriera sulle orme di Henri Cartier-Bresson, da cui prese l’idea di scattare con la pellicola a 35mm. Seguì un viaggio in Pakistan e India tra il 1952 e il 1954, di ritorno dal quale Horvat emigrò a Parigi. A tracciarne un succinto ritratto umano e professionale è Virginie Chardin, autrice di vari testi monografici sulla storia della fotografia e curatrice della mostra parigina che apre i battenti il 16 Giugno. L’abbiamo intervistata proprio a proposito dell’esposizione.
Frank Horvat è un autore che potrebbe essere definito un ‘classico’, uno di quegli autori che non possono essere tralasciati quando si studia la storia della fotografia. Ma che si intende con quel termine? Qualcuno la cui opera va studiata per conoscere ciò che è successo nella storia della fotografia, o qualcuno che può ancora insegnare qualcosa di nuovo? Cosa può imparare da Horvat un giovane fotografo?
Un ‘classico’ è un fotografo che ha già fatto storia, che è diventato un punto di riferimento e del quale alcune immagini sono molto note. Nel caso di Horvat, per esempio, il ritratto della donna con il cappello bianco di Givenchy. Ma si tratta anche di un autore che può essere di ispirazione ai fotografi di oggi, dato che ha messo in discussione le regole e le consuetudini della fotografia di moda del proprio tempo – fotografando le modelle per strada con una Leica e la sola luce naturale, liberandole dalle pose stereotipate dell’epoca. Allora è stato un iconoclasta. Tutt’oggi può essere considerato tale, dato che spesso sono il conformismo sociale e la norma che ispirano la stragrande maggioranza dei post, a partire dai selfie, nei social network.
Negli anni Cinquanta e Sessanta Horvat ha fatto una riflessione sulla fotografia. È stata una sua peculiarità oppure un segno dei tempi? È stato l’unico o l’hanno accompagnato altri fotografi?
Sebbene il suo approccio sia stato profondamente personale, era anche legato all’evoluzione della moda e dell’idea di eleganza, con l’ascesa del prêt-à-porter accessibile a tutte le donne della classe media. C’era anche una corrispondenza con l’evoluzione dello status delle donne alla fine degli anni Cinquanta: donne che lavoravano, erano indipendenti e chiedevano più libertà e diritto di essere loro stesse. Lungo questo percorso Horvat ha incrociato numerosi fotografi che come lui hanno scardinato i codici della fotografia di moda, come William Klein, Jeanloup Sieff e Helmut Newton.
La mostra di Parigi si concentra sul primo quindicennio della carriera di Horvat. Perché come curatrice ha deciso di focalizzarsi su un periodo così breve in una carriera tanto lunga?
Frank Horvat è scomparso recentemente, lasciando un enorme archivio nella sua casa-studio, che oggi è diretta da sua figlia Fiammetta. Il museo Jeu de Paume ha voluto celebrarlo come un autore fondamentale per la fotografia francese ed europea (a tal proposito è da ricordare che era di origini italiane e che da giovane viveva in Svizzera). Presto è emerso che lo studio del suo archivio avrebbe richiesto parecchi anni di lavoro. Quindi abbiamo scelto di iniziare concentrandoci sui primi quindici anni della sua carriera, che sono estremamente densi e ricchi sia sul versante del reportage sia su quello della moda. Il 1965 è stato il momento in cui Horvat ha smesso di lavorare per l’informazione stampata allo scopo di dedicarsi a sperimentazioni più personali, tagliando i ponti con ciò che aveva fatto fino ad allora. Quindi il periodo dal 1950 al 1965 è stato particolarmente rilevante nella sua carriera.
In alcune interviste Horvat ha spiegato che per lui era importante il ruolo delle donne nelle sue fotografie. Cosa univa le modelle che posavano per i suoi scatti di moda e quelle che fotografava per i suoi progetti di reportage e street photography?
Diceva sempre che sotto sotto non si sentiva un fotografo di moda. Voleva che la sua fotografia di moda fosse spontanea come la sua street photography. Ciò che lo interessava era soprattutto la “donna reale”, come diceva lui, ed essere in grado di catturare la personalità e la genuina sensibilità che si trovavano al di sotto delle ciglia finte delle sue modelle. In un certo senso i suoi scatti di moda possono essere considerati a tutti gli effetti ritratti femminili. Ha collaborato attivamente con le sue modelle per realizzarne i ritratti e con alcune di loro ha mantenuto un rapporto di amicizia e complicità per tutta la sua vita.
La carriera di Horvat è stata scandita da alcune scoperte o momenti di passaggio. Per esempio il suo uso della luce naturale nella fotografia di moda, la sua adozione del colore, l’essere stato tra i primi grandi maestri, negli anni Novanta, a esplorare Photoshop. Infine la sua creazione di Horvatland, un’applicazione per iPad (oggi purtroppo non più disponibile). Quale crede che sia la più importante e che ne riveli maggiormente la personalità?
Horvat si è sempre considerato al di fuori di ogni gioco. Non gli piaceva per niente appartenere a un gruppo, a un’agenzia, a una scuola. Ciò che gli premeva era la sperimentazione. Il suo approccio era introspettivo, quasi autoanalitico, e durante l’intero corso della sua esistenza si è ininterrottamente interrogato su sé stesso. Questo spiega perché per gli storici della fotografia sia così difficile metterlo a fuoco e incasellarlo. Non è inquadrabile! Però io credo che grazie a questa mostra sia chiaramente visibile il filo rosso che collega tutte le sue immagini. Lo scambio di sguardi tra uomini e donne, l’intimità dei corpi, il voyeurismo, la timidezza e una certa delicatezza disincantata sono temi che emergono spesso nei suoi scatti.
Nel Novecento autori come Horvat, Henri Cartier-Bresson, William Klein e tanti altri hanno permesso alle persone di scoprire il mondo, si trattasse delle loro città o di terre lontane. Oggi ognuno ha in tasca uno strumento per scattare fotografie. Per esplorare il mondo attraverso le immagini c’è ancora bisogno dei fotografi, oppure ognuno può fare da sé?
Ovviamente la fotografia praticata in modo autonomo grazie a uno smartphone sta mettendo a dura prova i professionisti del reportage. Anche solo dal punto di vista economico sta diventando quasi impossibile guadagnarsi da vivere in un momento in cui la fotografia è percepita come gratuita e condivisibile. L’essere testimoni diretti resta essenziale per i fotogiornalisti che si occupano di temi difficili come la guerra o situazioni estreme. Ma per la vita di tutti i giorni sta effettivamente diventando arduo farsi notare nella mole di immagini che circolano nei social network. Ciononostante in qualsiasi disciplina ci sarà sempre l’opportunità per gli spiriti creativi di inventare, innovare, sorprendere e lasciare il segno nel proprio tempo. È lo stile che conta e nella storia dell’arte ogni epoca ha avuto i suoi artisti.
Frank Horvat. Paris, le monde, la mode
- A cura di Virginie Chardin
- Jeu de Paume, 1 Place de la Concorde, Jardin des Tuileries – Parigi
- dal 16 giugno al 17 settembre 2023
- martedì, 11-21; mercoledì-domenica, 11-19
- intero 12 euro, ridotto 9 euro
- jeudepaume.org